«Questo è un trionfo»

La rispettata rivista medica NEJM ha pubblicato i risultati di una nuova ricerca sul vaccino contro il coronavirus di Pfizer-BioNTech, e li ha commentati con insolito entusiasmo

(Samuel Corum/The New York Times via AP, Pool)
(Samuel Corum/The New York Times via AP, Pool)

Il New England Journal of Medicine (NEJM), tra le riviste mediche più importanti al mondo, ha definito in un proprio editoriale “un trionfo” i risultati ottenuti da Pfizer-BioNTech durante la sperimentazione clinica del loro vaccino contro il coronavirus. È raro che la rivista si sbilanci in questo modo e utilizzi toni così entusiastici nelle pagine degli editoriali, dove sono solitamente pubblicati articoli di contesto e opinione sui progressi raccontati nelle ricerche scientifiche, pubblicate dallo stesso giornale dopo le necessarie verifiche.

Il commento è stato diffuso contestualmente alla pubblicazione dei risultati dell’ultima fase (su 3) dei test clinici condotti da Pfizer-BioNTech, anticipati nelle scorse settimane dalle due aziende, seppure con pochi dettagli e senza ulteriori attività di verifica da terze parti.

Cosa dice la ricerca
I test di fase 3 hanno interessato 21.720 volontari cui è stato somministrato il vaccino BNT162b2 e altri 21.728 volontari che hanno invece ricevuto una sostanza che non fa nulla (placebo). Entrambi i gruppi hanno ricevuto due dosi a 21 giorni di distanza. I volontari in ogni gruppo comprendevano individui con problemi di salute, come l’obesità, e il 40 per cento di loro aveva almeno 55 anni (gli individui con più anni sono in media più a rischio).

I responsabili della sperimentazione clinica hanno poi effettuato test sui volontari che avevano sviluppato sintomi che facessero sospettare casi di COVID-19. Ogni volontario doveva inoltre segnare ogni giorno su un diario l’eventuale comparsa di effetti avversi dopo le iniezioni.

Tra i volontari sono stati rilevati 170 casi di COVID-19 in un periodo di due mesi circa. Solo 8 di questi si sono verificati nel gruppo dei vaccinati, rispetto ai 162 rilevati nel gruppo con il placebo. Su questi dati, è stata calcolata un’efficacia del vaccino pari al 95 per cento. L’efficacia sembra mantenersi sia tra gli individui a basso rischio sia tra quelli ad alto rischio, perché più anziani o con altri problemi di salute.

La ricerca conferma anche quanto era stato comunicato nelle scorse settimane sugli effetti avversi. Sono stati nella maggior parte dei casi transitori e hanno compreso dolore o eritema nel punto dell’iniezione, mentre meno rari sono stati effetti più consistenti come febbre e affaticamento. Le reazioni avverse sono in linea con quelle che si riscontrano dopo la somministrazione di altri vaccini impiegati ormai da tempo sulla popolazione.

La quantità di casi gravi di COVID-19 rilevati nel test clinico è stata invece troppo bassa per arrivare a qualche conclusione: un caso tra i vaccinati e nove tra i volontari con placebo. Con questi dati non è nemmeno possibile stabilire se i rari casi che si riscontrano tra i vaccinati siano più gravi.

I responsabili del test clinico avevano chiesto a ogni partecipante di valutare l’eventuale comparsa di sintomi e di presentarsi per sottoporsi a un test, in modo da verificare se si trattasse o meno di COVID-19. Considerato che il vaccino può comportare effetti avversi, sui quali i volontari erano informati, non si può escludere che alcuni abbiano attribuito i loro sintomi lievi alla vaccinazione escludendo che potesse trattarsi di COVID-19, e non segnalando quindi la circostanza ai ricercatori.

“Trionfo”
Sulla base dei dati e delle analisi della ricerca appena pubblicata, l’editoriale di NEJM definisce comunque “notevoli” e un “trionfo” i risultati ottenuti nel test clinico:

A ogni modo, i risultati del test clinico sono notevoli e reggono qualsiasi tipo di analisi concepibile. Questo è un trionfo. Molti vaccini hanno richiesto decenni per essere sviluppati, ma questo passerà probabilmente dalla sua ideazione all’impiego su larga scala entro un anno.

Il risultato appare ancora più notevole se si considera che il vaccino di Pfizer-BioNTech è basato sull’RNA messaggero (mRNA) con tecniche mai impiegate prima su larga scala nella popolazione. L’mRNA è la molecola che si occupa di codificare e portare le istruzioni contenute nel DNA per produrre le proteine. I vaccini basati su questo sistema impiegano forme sintetiche di mRNA – realizzate in laboratorio – che contengono le istruzioni per produrre alcune proteine specifiche del coronavirus. In questo modo il sistema immunitario impara a riconoscerle e a contrastarle, ma senza i rischi che si correrebbero nel caso di un’infezione con il coronavirus vero e proprio. Le conoscenze acquisite nel contrastare queste proteine possono poi essere impiegate dal sistema immunitario per contrastare un’eventuale infezione vera e propria.

Il vaccino BNT162b2 è già impiegato nel Regno Unito (e lo sarà presto negli Stati Uniti e in Europa) non solo per merito di BioNTech che l’ha sviluppato e di Pfizer che ne sta gestendo produzione e distribuzione, ma anche grazie al lavoro svolto da diversi altri centri di ricerca all’inizio della pandemia. Il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie in Cina è riuscito a produrre in poche settimane la sequenza genetica del coronavirus (SARS-CoV-2) e l’ha poi resa pubblica, rendendo possibili i successivi sviluppi per identificare le porzioni del materiale genetico da sfruttare per creare il nuovo vaccino. E senza un coordinamento con pochi precedenti per realizzare i test clinici, mantenendo alti standard nelle verifiche e nei controlli, probabilmente non avremmo avuto a disposizione una soluzione così promettente in poco tempo, spiega l’editoriale.

Cautele
Il fatto che un vaccino molto promettente inizi a essere distribuito e somministrato non deve comunque distogliere da alcuni interrogativi che restano aperti, spiega NEJM:

Solo 20mila persone hanno ricevuto questo vaccino. Emergeranno problemi di sicurezza inattesi man mano che il numero di vaccinati aumenterà di milioni e potenzialmente di miliardi? Emergeranno effetti collaterali di lungo periodo? Gestire un vaccino che richiede due dosi è una sfida non indifferente. Che cosa accadrà al numero inevitabilmente ampio di persone che non si sottoporranno alla seconda dose? Per quanto il vaccino sarà efficace? Il vaccino previene i casi asintomatici e limita la trasmissione del coronavirus? E che dire dei gruppi di persone non rappresentati in questo test clinico, come i bambini, le donne incinte e gli immunodepressi?

A questi dubbi si uniscono quelli discussi ormai da settimane sulla logistica. A differenza degli altri vaccini, quello di Pfizer e BioNTech deve essere conservato a una temperatura intorno ai -70 °C, e questo potrebbe essere un problema per la sua distribuzione. Garantire la catena del freddo sarà una delle principali sfide per la logistica del nuovo vaccino, anche se Pfizer ha annunciato di avere sviluppato contenitori con materiale isolante e ghiaccio secco, che dovrebbero garantire il mantenimento dei -70 °C per diversi giorni.

Per ora la gestione delle dosi per la distribuzione nel Regno Unito non è stata un problema, ma è anche vero che le quantità impiegate sono state nell’ordine delle decine di migliaia. Quando sarà necessario distribuirne milioni ogni giorno, e in paesi molto diversi tra loro, ci potranno essere maggiori complicazioni e difficoltà.

A oggi il vaccino di Pfizer-BioNTech, insieme a quello simile di Moderna, continua comunque a essere la soluzione più promettente per provare a rallentare – e in ultima istanza fermare – la pandemia. Giovedì un gruppo consultivo di esperti ha raccomandato alla Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia che si occupa di farmaci negli Stati Uniti, di procedere con un’autorizzazione di emergenza per il vaccino. Salvo imprevisti o ritardi, l’autorizzazione potrebbe essere concessa entro il fine settimana, portando all’avvio delle vaccinazioni negli Stati Uniti in tempi molto brevi. Entro fine anno dovrebbe arrivare un’autorizzazione di emergenza anche da parte dell’Unione Europea.