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  • Domenica 22 novembre 2020

Perché le orche attaccano le barche nell’Atlantico

Sono state fatte diverse ipotesi, ma la maggior parte degli esperti sostiene che vogliano soltanto giocare

 (AP Photo/ Elaine Thompson, File via LaPresse)
(AP Photo/ Elaine Thompson, File via LaPresse)

Tra luglio e ottobre sono stati segnalati almeno 40 attacchi da parte di gruppi di orche a imbarcazioni che navigavano in diverse zone lungo le coste di Spagna e Portogallo, sia nel mar Cantabrico – nel nord della Spagna – sia vicino allo stretto di Gibilterra. Questi episodi, oltre ad aver impaurito chi stava a bordo, hanno sorpreso i biologi marini, perché si tratta di un comportamento piuttosto insolito. Dalle ricerche svolte negli ultimi mesi sono emerse alcune ipotesi su cui la maggior parte degli scienziati è d’accordo: non si tratterebbe di attacchi fatti per minacciare l’uomo, come avevano ipotizzato alcuni giornali, bensì di una particolare forma di gioco.

Secondo le persone che hanno subito questi attacchi le orche sembravano aver preso di mira le loro imbarcazioni, inseguendole e colpendole ripetutamente per decine di minuti – soprattutto quelle a vela. A settembre la barca di un uomo che stava navigando dalla Spagna verso la Scozia fu avvicinata da un’orca che per circa 45 minuti colpì e addentò il timone, sfondando anche una porzione della parte laterale dello scafo e facendo ruotare la barca su se stessa. A ottobre uno skipper inglese che si trovava a una trentina di chilometri dalla città di Porto raccontò di essersela vista brutta perché non riusciva più a controllare la barca: «Io non mi spavento facilmente, ma è stato terrificante».

Non è insolito vedere le orche in queste parti dell’oceano Atlantico: è in queste acque che cacciano il tonno rosso – una delle loro prede preferite – ed è passando attraverso lo stretto di Gibilterra, che separa l’Europa dall’Africa, che raggiungono le acque più calde del Mediterraneo, dove vanno a riprodursi. Un comportamento simile però non era mai stato osservato, e sebbene non ci fosse stato nessun morto su vari giornali si era parlato di “orche assassine” che stavano «tramando degli attacchi»; il quotidiano scandalistico britannico Sun, per esempio, aveva scritto che le orche erano «a caccia di sangue» per vendicarsi delle arpionate dei bracconieri. In realtà, secondo gli scienziati ci sono spiegazioni più razionali per questi “attacchi”.


«Le orche sono da sempre curiose delle barche» e per questo ci si avvicinano, ha detto a BBC l’esperta di orche Ruth Esteban, che fa parte del team di scienziati che sta analizzando i casi assieme al biologo marino Renaud De Stephanis, uno dei fondatori dell’organizzazione per lo studio e la preservazione dei cetacei CIRCE (Conservación, Información y Estudio sobre Cetáceos).

Gli esperti hanno confrontato le immagini dell’archivio di CIRCE con i video degli episodi di quest’estate e hanno notato che le orche puntano soprattutto il timone delle imbarcazioni e attaccano lo scafo con minore frequenza. Esteban quindi ha ipotizzato che le orche colpiscano il timone per gioco, perché è una parte mobile della barca che permette loro di spostare l’intera imbarcazione e quindi di mostrare la propria forza: una cosa che secondo Esteban «forse le entusiasma parecchio» ma che può ovviamente fare danni alle barche e a chi sta a bordo.


Le foto e i video hanno anche permesso ai ricercatori di identificare gli animali grazie alla particolare macchia che hanno dietro la pinna dorsale, unica per ciascuna orca, e di arrivare quindi a un’altra interessante conclusione.

Nella maggior parte dei casi, infatti, gli attacchi erano stati compiuti da tre esemplari di giovani maschi, che nei registri ufficiali erano stati chiamati Gladis nero, Gladis bianco e Gladis grigio. Come ha spiegato De Stephanis, durante la caccia le orche sono silenziose e furtive, e questo permette loro di attaccare animali anche molto più grossi, come i capodogli (un capodoglio può pesare anche 45 tonnellate, mentre le orche vanno dalle 4 alle 6). Il comportamento aggressivo e le dimostrazioni di forza verso le barche potrebbero pertanto fare parte di una sorta di “gioco” di formazione.

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Le orche vivono, si muovono e cacciano in gruppi familiari strettamente connessi tra loro, dove è la femmina che comanda. Generalmente la nonna insegna ai piccoli a cacciare, e spesso i giovani maschi migrano, si mischiano e si accoppiano con altri gruppi, insegnando e apprendendo a loro volta tecniche di caccia e metodi di comunicazione diversi. Come ha spiegato Michael Weiss, ricercatore dell’università di Exeter (Inghilterra) e del Center for Whale Research dello stato di Washington, il gioco potrebbe creare «forti legami sociali» tra le orche.

Oltretutto, il cervello delle orche ha diverse parti simili a quello umano e una di queste è il sistema limbico, che comprende le strutture cerebrali che coinvolgono per esempio l’emotività e l’istinto. Da questo punto di vista, secondo la neuroscienziata Lori Marino, che è presidente dell’organizzazione Whale Sanctuary Project, potrebbe essere utile osservare il comportamento delle orche, perché se sembra che siano arrabbiate, felici o doloranti «probabilmente è quello che stanno provando».

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Secondo quanto ha ricostruito CIRCE, attualmente le orche che vivono al largo delle coste spagnole e portoghesi sarebbero una sessantina. Nel 2011 ne erano state registrate solo 39, un numero che secondo l’organizzazione era dovuto al calo di tonni rossi anche per via dell’incremento della pesca nelle acque del Mediterraneo e dell’Atlantico, e che ha ricominciato a crescere soltanto dopo l’introduzione di leggi internazionali per la tutela della specie.

Una spiegazione ulteriore e in parte alternativa per gli attacchi era stata fin qui legata proprio al fatto che la zona dello stretto di Gibilterra è piena di reti e lenze per la pesca, in cui di tanto in tanto le orche rimangono impigliate: la ricercatrice dell’Università di Siviglia, Rocío Espada, aveva pertanto ipotizzato che tra i motivi scatenanti degli attacchi delle orche potevano esserci anche lo stress o l’idea del pericolo.

A metà degli anni Novanta i ricercatori avevano notato che un piccolo gruppo di orche aveva iniziato a rubare i tonni dai pescherecci o a mangiarli attraverso le reti da pesca trascinate in mare; avevano poi osservato che il gruppo si era allargato e che i “furti” di pesce erano aumentati. Secondo De Stephanis – che non ha trovato prove ma crede che i tre Gladis facciano parte di questo gruppo – le orche non vogliono in alcun modo vendicarsi né danneggiare deliberatamente le barche che seguono: l’aumento della pesca di tonni rossi potrebbe tuttavia aver portato a un cambiamento nel comportamento delle orche e a una nuova cultura predatoria che potrebbe aiutarle a sopravvivere.

De Stephanis ha detto che le orche «giocano, giocano e giocano», ma che il gioco sta diventando sempre più pericoloso e sta iniziando a preoccupare anche gli esperti. Nel frattempo la guardia costiera portoghese e quella spagnola hanno vietato la circolazione delle barche a vela in alcune delle aree dove sono stati segnalati gli attacchi.