La volta che i britannici bombardarono Taranto, 80 anni fa

A seguito dell'offensiva militare italiana in Grecia, la Royal Navy decise di attaccare a sorpresa la marina militare italiana: fu un trionfo, per loro

La base navale di Taranto vista dall'alto dopo il bombardamento britannico (Wikimedia Commons)
La base navale di Taranto vista dall'alto dopo il bombardamento britannico (Wikimedia Commons)

Nella tarda sera dell’11 novembre 1940, ottant’anni fa, una flotta di 21 biplani Swordfish della Royal Navy britannica stava sorvolando la costa pugliese, diretta verso il porto di Taranto per attaccarlo. Lì erano ormeggiate alcune delle principali navi da guerra della marina italiana: circa una ventina in totale, tra cui 6 corazzate, 9 incrociatori e diversi cacciatorpedinieri. I biplani erano partiti in due gruppi separati, il primo decollato alle 20.30, il secondo alle 21.20, entrambi dalla portaerei Illustrious, posizionata a 170 chilometri da Taranto.

Per capire perché la marina britannica avesse organizzato questo attacco bisogna fare un passo indietro e ripercorrere ciò che era successo nei mesi precedenti: l’Italia era entrata in guerra a giugno, con il famoso discorso di Benito Mussolini dal balcone di piazza Venezia. A ottobre era iniziata l’offensiva italiana in Grecia e il nuovo fronte aveva modificato la normale distribuzione delle navi italiane tra i diversi porti: per avere tutta la flotta pronta a intervenire in caso di un intervento militare più sostanzioso da parte dei britannici – che avevano cominciato a fornire aiuti alla Grecia già ai primi di novembre – tutta la flotta italiana era stata concentrata a Taranto.

Tutto questo aveva sensibilmente allarmato gli inglesi, che dall’Egitto dominavano il Mediterraneo: se l’Italia avesse vinto in Grecia sarebbe riuscita a ottenere il controllo di buona parte del Mediterraneo orientale. Quindi il proposito di attaccare Taranto si concretizzò nell’attacco dell’11 novembre, il cui nome in codice era operazione Judgement.

– Leggi anche: «L’ora delle decisioni irrevocabili»

La base navale di Taranto era ben attrezzata per la riparazione delle navi danneggiate, ma non altrettanto per proteggere quelle stesse navi da un eventuale bombardamento aereo o dal lancio dei siluri. Fu sicuramente presa alla sprovvista, eppure il comando era in stato di preallarme a causa di alcuni movimenti delle forze inglesi, segnalati dalla ricognizione aerea nei giorni precedenti. Nonostante questo, la sera dell’11 novembre le navi ormeggiate erano dotate di scarsa protezione.

Attorno ai cosiddetti due mari di Taranto c’erano 101 cannoni contraerei, 68 complessi di mitragliere e 110 mitragliere leggere. Secondo i rapporti ufficiali la base era ben difesa, ma il giorno prima forti raffiche di vento avevano buttato giù gran parte dei palloni di sbarramento – i grossi palloni aerostatici che servivano a ostacolare gli aerei nemici – e non erano stati ancora sostituiti. Inoltre, le reti anti-siluro erano circa un terzo di quelle che sarebbero servite ed erano state distese a molta distanza dalle navi: cosa che avrebbe permesso di salpare rapidamente (senza doverle rimuovere) ma comprometteva l’efficacia della difesa.

I britannici si prepararono bene all’attacco: i ricognitori aerei scattarono fotografie della base che permisero di calcolare l’esatta posizione delle reti di protezione e i mezzi militari a disposizione per contrastare eventuali attacchi. Il loro piano era di arrivare alla base cogliendo alla sprovvista il comando, sparare dei bengala per illuminare la notte e permettere ai piloti di individuare le sagome delle navi, e infine lanciare i siluri per danneggiare quante più navi possibili.

Alla fine fu un trionfo per la Royal Navy: nonostante il fuoco di sbarramento da parte delle contraerei, gli aerei della Royal Navy danneggiarono la metà delle navi da battaglia italiane tra cui la corazzata Conte di Cavour in modo irreparabile. Il bilancio finale per la marina italiana fu di 58 morti e di 581 feriti.

– Leggi anche: La vera storia di “Dunkirk”

L’idea degli inglesi – colpire la marina italiana e fermare gli obiettivi colonialistici di Mussolini – risale già al 1935, durante la guerra d’Etiopia: la Royal Navy aveva studiato un piano di attacco aereo notturno alla base navale di Taranto che non venne attuato in quegli anni ma venne ripreso nel 1940. Per avere informazioni e immagini aggiornate giornalmente sulla situazione del porto di Taranto, l’aeronautica militare del Regno Unito trasferì a Malta una squadra di ricognitori. Furono inviate come rinforzo diverse navi da battaglia sia verso Malta sia verso il canale di Otranto, per intercettare le navi italiane che in quei giorni si muovevano tra Grecia e Albania. L’attacco venne inizialmente fissato il 21 ottobre (anniversario della vittoria di Nelson a Trafalgar) ma un incendio a bordo della portaerei inglese Illustrious causò un rinvio.

Galeazzo Ciano, allora ministro degli Esteri e genero di Mussolini, commentò così l’attacco degli inglesi nel suo diario:

«Giornata nera. Gli Inglesi hanno silurato la flotta alla fonda a Taranto, hanno colato a picco la Cavour e gravemente danneggiato la Littorio e la Duilio. Quando Badoglio venne l’ultima volta a vedermi disse che, attaccando la Grecia, avremmo subito dovuto spostare la flotta, non più sicura. E perché non si è fatto ciò a quindici giorni dall’inizio delle operazioni e in fase di plenilunio? Mussolini comunque non sembra molto colpito.»