Il sistema dei tamponi per le scuole sta tenendo?

Ci sono grosse differenze da regione a regione: in Emilia-Romagna funziona bene, in Piemonte e in Sardegna meno (e poi c'è la questione dei test rapidi antigenici)

di Arianna Cavallo

(Cecilia Fabiano/ LaPresse)
(Cecilia Fabiano/ LaPresse)

A un mese e mezzo dalla loro riapertura, alcune regioni (come la Campania, la Puglia e in parte l’Umbria) hanno già chiuso le scuole per contenere il contagio da coronavirus. L’ultimo decreto del presidente del Consiglio (Dpcm) ha stabilito che in tutta Italia le scuole secondarie, cioè le superiori, debbano passare alla didattica a distanza per almeno il 75 per cento, una percentuale che può essere aumentata dalle singole regioni in base alla situazione epidemiologica. Secondo dati del ministero dell’Istruzione diffusi il 15 ottobre, gli studenti contagiati erano 5.793, lo 0,08 per cento del totale, i docenti 1.020, cioè lo 0,13, e il restante personale scolastico 283, cioè lo 0,14.

I dati – molto contenuti – sono stati portati a esempio da chi è contrario alle chiusure, che però vengono decise anche sulla base di altri motivi: come la necessità di ridurre gli affollamenti sui mezzi pubblici, che non dovrebbero superare l’80 per cento della capienza.

Alcuni considerano le scuole potenziali focolai del contagio, più di altri luoghi e situazioni, ma chi se ne occupa – dai presidi a molti pediatri – sostiene invece che siano posti sicuri, estremamente ligi alle regole e minuziosamente monitorati, tanto da facilitare la scoperta di eventuali catene di contagio. Questo perché gli alunni e gli insegnanti sono sottoposti al tampone al comparire del minimo sintomo e perché tutti i compagni di classe di un alunno risultato positivo vengono subito messi in isolamento (anche se la regola varia in alcune regioni). Inoltre, gli alunni e il personale scolastico hanno priorità nell’esecuzione dei test diagnostici: il sistema dei tamponi per le scuole scorre parallelo a quello per gli altri cittadini e in molte regioni è riuscito a mantenere tempi rapidi, garantendo risultati nel giro di 48 ore.

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Abbiamo parlato con pediatri, presidi, insegnanti, funzionari delle aziende sanitarie locali (ASL) e responsabili dei laboratori per capire se il sistema dei tamponi per le scuole ha funzionato e se continua a reggere, anche nelle regioni che si trovano più in difficoltà.

La prima cosa da ricordare è che fornire un quadro complessivo è impossibile, perché le regole variano da regione a regione e perché in alcuni casi la situazione – dalla rapidità di esecuzione del tampone alla pressione a cui sono sottoposte le ASL – cambia persino all’interno della stessa città. In generale, però, si può dire che la struttura ha retto abbastanza bene almeno fino a 2-3 settimane fa, prima che alcune aree fossero travolte dall’aumento dei contagi, dall’affaticamento delle ASL e dal cedimento del contact tracing. Anche in questi casi, i tamponi per alunni e personale scolastico sembrano avere comunque mantenuto tempi più stretti rispetto a quelli degli altri cittadini, seppur insufficienti.

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Al di là delle singole differenze epidemiologiche tra le regioni, c’è un altro fattore da considerare: l’utilizzo o meno di test rapidi antigenici nelle scuole, che viene stabilito dalle singole regioni. L’hanno attivato tra fine settembre e inizio ottobre il Veneto, l’Emilia-Romagna, il Lazio, la Toscana, le Marche e la Sicilia; in Piemonte è stato annunciato il 21 ottobre, mentre in Lombardia il 20 ottobre è iniziata una sperimentazione in 14 scuole di Milano; in Liguria sono previsti ma non ancora attivi.

In queste regioni, testare gli alunni e il personale sanitario con un test rapido – che avviene sempre mediante tampone ma si può fare a scuola e dà il risultato in un quarto d’ora – è la via principale: oltre a dare una risposta in tempi rapidi, così da isolare al più presto eventuali focolai, rende secondario e più raro il ricorso al tampone molecolare, che ha tempi e costi maggiori.

Come funziona
Se un alunno mostra sintomi compatibili al Covid-19, la malattia provocata dal coronavirus, deve restare a casa e i genitori devono avvisare il pediatra; se li mostra a scuola, il personale scolastico deve avvisare il Referente scolastico per il Covid-19, mentre l’alunno viene isolato in una stanza e, se minorenne, ne vengono allertati i genitori che devono venire a prenderlo al più presto.

A quel punto, i genitori devono contattare il pediatra, che fa una valutazione clinica del caso. Il pediatra decide se richiedere un tampone, e qui già iniziano le prime differenze tra regione e regione: in alcune la richiesta deve essere fatta alla ASL che poi provvederà a fissare un appuntamento e avvertire le famiglie; in altre (come Lombardia, Campania, Emilia-Romagna e Piemonte), il pediatra può richiedere direttamente il tampone su una piattaforma apposita, eventualmente prenotare un appuntamento e comunicarlo alla famiglia, sveltendo i tempi dell’operazione. Per gli alunni e gli operatori scolastici le autorità sanitarie hanno allestito dei centri separati, solitamente dei drive-in da raggiungere in auto con o senza appuntamento. In molti casi i risultati arrivano entro le 48 ore, come raccomandato dal ministero della Salute. La stessa procedura si applica anche agli insegnanti e al personale ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario delle scuole).

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Fatto il tampone molecolare, se l’alunno risulta positivo gli studenti dell’intera classe vengono messi in isolamento per 14 giorni, oppure per 10 giorni (a meno di comparsa di sintomi) dopo i quali dovranno fare un tampone, molecolare o antigenico, e uscire dall’isolamento se risulteranno negativi. La scuola attiva la didattica a distanza (DAD) per 14 giorni a partire dall’ultimo contatto tra la classe e l’alunno positivo. Qui, un problema frequente sono i ritardi delle ASL nel contattare, al termine del decimo giorno, le famiglie e prenotare un secondo tampone: per cui si finisce spesso per fare direttamente i 14 giorni di isolamento.

Una zona grigia riguarda gli alunni figli di genitori risultati positivi e considerati quindi contatti stretti. L’alunno deve essere allontanato dalla classe e portato a casa e sarà poi l’ASL a stabilire se si dovrà fare un tampone; in molte regioni, se il bambino è asintomatico si preferisce l’isolamento anziché il tampone, così da non appesantire il sistema sanitario. In questo modo però non si scopre se anche l’alunno è positivo e se quindi i suoi compagni debbano venire isolati, in quanto contatti stretti.

Due regioni dove le cose funzionano
Stando a quanto ha ricostruito il Post, le regioni dove il sistema funziona di più sono quelle dove non si è inceppato il meccanismo dei tamponi per tutta la popolazione, come l’Emilia-Romagna, e quelle in cui sono utilizzati i testi antigenici.

Mauro Eufrosini, ufficio stampa della AUSL (cioè la ASL) di Bologna, ha spiegato che «i tamponi per tutte le comunità scolastiche sono gestiti direttamente dal Dipartimento di Sanità pubblica, che convoca la persona che deve fare il tampone molecolare dando un appuntamento preciso. Le unità mobili si spostano sul territorio (Imola esclusa) andando direttamente vicino alle scuole mentre a Bologna abbiamo tre punti dove fare il tampone: un drive through, che è quello meno utilizzato perché i bambini hanno difficoltà a farsi fare il tampone in auto, e due punti tampone in luoghi molto centrali, che sono dedicati alle comunità scolastiche». Eufrini ha aggiunto che in media il risultato arriva entro le 48 ore.

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La situazione è stata confermata anche da Marco Cau, pediatra a Castenaso, un comune di 15mila persone in provincia di Bologna. «L’AUSL ha fornito test rapidi alle farmacie, dove possono andare gli studenti e i familiari a fare il test, che è gratuito. Se è negativo la cosa finisce lì, se è positivo viene attivata una corsia preferenziale per fare il tampone molecolare», come prevede la procedura nazionale.

Il test antigenico, infatti, non è valido a livello diagnostico e viene utilizzato come screening: è un metodo più rapido ed economico rispetto al tampone molecolare per identificare potenziali positivi. Chi risulta positivo viene sottoposto al tampone molecolare, l’unico che è in grado di stabilire in modo definitivo la positività della persona testata. Cau ha anche detto che «noi pediatri possiamo prenotare direttamente dall’ambulatorio il tampone molecolare per i bambini sintomatici già da luglio, scegliendo il primo posto disponibile; in genere viene fatto entro 48 ore e la risposta arriva in 24/48 ore. Gli antigenici invece sono disponibili da 10-15 giorni. Direi che da noi il sistema funziona perfettamente».

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La situazione nelle scuole in Veneto varia molto da zona a zona ed è aiutata dall’utilizzo dei test antigenici. Va ricordato che in Veneto una classe dalla seconda elementare in su viene isolata se ci sono due casi positivi, contrariamente alla regola nazionale che prevede un solo caso; invece per le materne e le classi prime delle elementari, vale la regola nazionale e basta un solo alunno positivo per isolarle.

Mattia Doria, pediatra nella ULSS 3 “Serenissima” del Veneto e Segretario nazionale alle attività scientifiche ed etiche della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), ha spiegato che «dovrebbe funzionare così: il referente per il Covid della scuola avvisa la ASL che c’è un caso di positività in una classe ed entro il giorno successivo la ASL va a fare i test rapidi a scuola; se risultano tutti negativi ci si ferma lì, se c’è un positivo viene fatto il molecolare in giornata, e il giorno successivo si ha il risultato: diciamo che se c’è un positivo si isola in 48 ore».

Doria ha aggiunto che «il problema dei tamponi è sempre solo di tipo organizzativo: del personale, degli orari dei turni, dei drive-in. Ci sono realtà locali che si sono organizzate bene e altre no: con la ripresa delle scuole abbiamo visto ASL funzionare bene e altre andare in sofferenza. Per esempio, all’inizio i tamponi si facevano solo a casa, adesso i drive in permettono di decuplicare l’efficienza dell’esecuzione. Nella mia provincia siamo avvantaggiati».

La tenuta della Lombardia
Fino a 2-3 settimane fa, in Lombardia il sistema delle scuole aveva retto abbastanza bene, perlomeno stando ai racconti raccolti dal Post: si parlava di tamponi fatti nei drive-in appositi il giorno dopo la prescrizione del pediatra e di risultati ottenuti in meno di 24 ore. Aiutava anche il fatto che in Lombardia i pediatri possano richiedere direttamente il tampone e poi comunicare il risultato ai pazienti, senza passare per le ATS (come si chiamano le ASL della regione).

Le cose si sono complicate nelle ultime settimane, probabilmente anche qui a causa dell’affaticamento delle ASL che non riescono a tenere più il ritmo dei contagi. La situazione varia da zona a zona, ma ci sono stati un po’ di ritardi soprattutto nella comunicazione su quando fare il tampone per uscire dall’isolamento, nel caso di alunni contatti stretti di un positivo.

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La sensazione generale è che si siano allungati i tempi per fare il tampone e per avere il risultato. Marcello Bettoni, dirigente scolastico del liceo scientifico Galileo Galilei a Legnano, in provincia di Milano, ha confermato che «i tempi sono aumentati. Quando si manifestavano i primi casi, la comunicazione con l’ATS avveniva tempestivamente ma nelle ultime due settimane è tutto rallentato; la situazione si è bloccata da lunedì 19 e poi ancora da lunedì 26, quando è iniziata una didattica a distanza molto massiccia». Bettoni ha fatto anche notare che la DAD può comportare meno controlli nelle scuole: «non è detto che i ragazzi dichiarino un semplice malessere e può essere che lo risolvano in famiglia; quindi anche i casi che la scuola deve dichiarare all’ATS sono molto diminuiti»: la situazione è «meno controllata ed è meno probabile che, se c’è un caso, emerga».

Davide Restelli, che insegna in una scuola media a Castiglione Olona, in provincia di Varese, ha confermato che il sistema «all’inizio funzionava. Alcuni lavoratori ATA avevano fatto il tampone a fine settembre e il giorno dopo o al massimo due avevano avuto il risultato. Gli studenti hanno una sede apposita a Varese dove andare a fare il tampone. Nella mia scuola ci sono stati due casi di Covid accertato a distanza di un paio di settimane: uno a inizio ottobre e uno la scorsa settimana. Il primo è stato fatto in tempi rapidi: un ragazzo aveva fatto il tampone dopo che un genitore si era positivizzato al lavoro ed era risultato positivo asintomatico; la classe era stata messa subito in quarantena e dopo dieci giorni gli studenti erano stati contattati dall’ATS per fare il tampone. La mia impressione è che per il caso della settimana scorsa le cose siano andate più a rilento. Anche qui si trattava di un ragazzo contagiato da un genitore e la classe era stata messa in isolamento il giorno stesso del risultato; sono quasi passati i 10 giorni ma l’ATS non ha ancora contattato le famiglie per fissare il tampone. Molte hanno provato a contattare il numero verde dell’ATS ma non era raggiungibile o squillava a vuoto».

La situazione potrebbe sveltirsi grazie all’introduzione dei test rapidi. Non è prevista una data a livello regionale ma è stata avviata una sperimentazione in 14 istituti di Milano, diretta dal professore Gian Felice Zuccotti, direttore della Pediatria e del Pronto soccorso pediatrico dell’ospedale dei bambini Vittorio Buzzi di Milano.

Zuccoti ha detto che «quando c’è un caso sospetto viene chiamata un’unità mobile (USCA) che fa il test rapido all’alunno e anche test il molecolare, che viene processato in un secondo momento. Se il test antigenico risulta positivo, facciamo il test rapido a tutti i compagni della classe, se è negativo tutto riprende senza l’allontanamento e l’interruzione dell’attività scolastica»; se l’antigenico risulta invece positivo, si attende il risultato del tampone molecolare. «Per ora sta funzionando». Zuccotti ha aggiunto che «siamo operativi da lunedì 26 ottobre; a giovedì, siamo usciti su 4 scuole, 2 studenti sono risultati negativi, 2 positivi, quindi abbiamo testato i 20-25 compagni di classe».

Al Buzzi c’è anche un drive-in per i tamponi molecolari riservato agli studenti delle scuole. Zuccotti ha spiegato che rispetto ai primi tempi «abbiamo cercato di lavorare perché la prescrizione fosse più mediata dal pediatra attraverso l’anamnesi dei sintomi e un minimo di contact tracing, perché c’erano numeri di richieste un po’ eccessivi. Ora funziona meglio ma le richieste restano molto elevate: ci sono giornate in cui facciamo 300 tamponi, altre in cui ne facciamo 100-150, nella fascia oraria 15-18:30. Le risposte sono pronte in 12 ore, poi sono caricate sul fascicolo sanitario elettronico».

Le difficoltà di Piemonte e Sardegna
Sono due regioni in cui, per motivi diversi, la situazione è molto peggiorata nelle ultime due settimane e ne hanno fortemente risentito anche le scuole, con casi di istituti chiusi per troppi casi positivi.

In Piemonte sono aumentati molti i contagi, l’attività di contact tracing è saltata e la regione sta testando quasi solo i casi sintomatici e i laboratori che analizzano i tamponi sono oberati dalle richieste.

La dottoressa Fulvia Milano, che dirige il laboratorio analisi della ASL di Vercelli, ha raccontato che «attualmente, rispetto al nostro standard richiesto di 150 tamponi molecolari, ne processiamo il doppio. Il numero è aumentato notevolmente arrivando a richieste di 800-1000 tamponi al giorno. Oltre a quelli processati da noi, inviamo ogni giorno circa 250-300 tamponi al Caad (Centro Interdipartimentale di Ricerca Traslazionale sulle Malattie Autoimmuni e Allergiche dell’Università del Piemonte Orientale). Finora siamo riusciti a dare gli esiti nelle 48 ore, se analizzati da noi». Fulvia Milano ha anche confermato una corsia preferenziale per le scuole: «in generale, su segnalazione del Servizio di igiene e sanità pubblica (SISP) le scuole cerchiamo di farle noi nel più breve tempo possibile».

La dirigente scolastica di un liceo torinese con oltre 1500 studenti ha raccontato che «se parliamo di esecuzione del tampone, in Piemonte non ho rilevato grandi difficoltà: ci si presenta all’hotspot e in giornata il problema si risolve. Invece per quel che riguarda gli esiti, nei primi giorni arrivavano in 48, massimo 72 ore, adesso abbiamo dei docenti che hanno fatto il tampone da una settimana e non hanno ancora ricevuto l’esito». La dirigente spiega anche che «per quel che ho potuto verificare, i contagi non avvengono nelle scuole, sono tutti esterni: sono legati allo sport e ancora di più al contesto familiare. È evidente che nel momento in cui un ragazzo positivo entra in un’aula si diffonde rapidamente il contagio». Ha inoltre detto che «gli antigenici dovevano arrivare ma per ora non ci sono».

In realtà potrebbero non arrivare mai: «c’era tutto un quadro di possibile utilizzo a scuola ma non è confermato» ha detto Marcello Caputo, referente scolastico per il Covid della ASL CN1 a Cuneo. «Penso ci sia un problema gestionale, ora bisogna valutare se siano più utili misure di precauzione generali o di tracciamento: i test di screening vanno bene in alcune circostanze, ma se cresce il numero di casi bisogna rivalutare le strategie».

Caputo ha detto che «nella nostra ASL a Cuneo una richiesta di tampone per un sintomatico non ha tempi lunghi e si ha un risultato in massimo 48 ore: stiamo limitando il numero dei tamponi in maniera mirata per non sovraccaricare il sistema» e «sugli studenti asintomatici non facciamo tanti tamponi, li abbiamo ridotti tantissimo». «L’accesso diretto a un hotspot per il personale della scuola consente di guadagnare un giorno o due ma non abbiamo differenze di tempo stratosferiche rispetto agli altri. Nei drive-in senza prenotazione, il personale scolastico e gli studenti asintomatici non sono mai stati mandati indietro, ma ci sono degli abusi da parte di qualche asintomatico che vuole fare il tampone anche senza la prenotazione del medico o del pediatra».

In Sardegna la sanità è al limite del collasso e in molti accusano le scuole di essere responsabili del contagio. Sostengono che la regione, che non aveva vissuto veramente la prima ondata, sia arrivata a settembre impreparata, sia nell’organizzazione che nel far comprendere ai ragazzi la pericolosità di alcuni comportamenti.

Bruno Contu, direttore sanitario dell’Azienda ospedaliera universitaria (Aou) di Sassari, è uno dei tanti a condividere quest’opinione: «la soglia dell’attenzione è stata bassa o nulla dopo che c’è stata la riapertura delle scuole, soprattutto quelle superiori: purtroppo spesso nell’adolescente non c’è una coscienza di pericolo».

Anna Maria Maulli, dirigente scolastico di un istituto professionale di Cagliari con circa 1000 studenti, è invece convinta che «il focolaio non siano le scuole, perché noi facciamo rispettare le regole in modo maniacale, ma i trasporti che portano i ragazzi a scuola: i pullman sono strapieni e più che chiudere le scuole sarebbe meglio potenziare i trasporti». Racconta che in Sardegna la situazione dei tamponi «è variegata: ci sono province in cui è più facile e veloce fare i tamponi, soprattutto per le scuole, e altre in cui non c’è nessuna precedenza, le ASL sono oberate e non si riescono ad avere tempi brevi. Per la mia scuola è stato fatto un tampone di domenica e l’esito è arrivato martedì, alcuni colleghi stanno aspettando l’esito da 15 giorni». Nella sua scuola, Maulli ha avuto 5 casi e ha dovuto chiudere quattro classi a rotazione.

Chi punta tutto sugli antigenici
La Sicilia è stata tra le prime regioni ad avviare l’uso dei tamponi antigenici: il 23 settembre ne erano già stati ordinati 750mila, il 3 ottobre erano diventati 2 milioni, di cui 1,2 già distribuiti, da usare nelle scuole, nei porti e negli aeroporti, nelle RSA e nei centri per migranti.

Venerdì 30 ottobre ha anche avviato un esperimento di screening di massa su base volontaria rivolto al personale scolastico; è avvenuto alla Fiera di Palermo, in collaborazione con il Comune e con la ASL, come ha raccontato Enzo Massimo Farinella, direttore dell’unità di malattie infettive e tropicali dell’ospedale Cervello di Palermo. I docenti e il personale ATA si sono sottoposti al test antigenico in un drive-in; se il risultato era negativo si otteneva un certificato, se positivo si procedeva a un tampone molecolare sul posto, «che dà un risultato in circa 4 ore» ha detto Renato Costa, commissario per la gestione dell’emergenza nella provincia di Palermo. A fine giornata sono state testate 980 persone e sono stati trovati 50 positivi asintomatici, messi in quarantena. I test proseguiranno anche sabato e domenica mattina.

Il Post non è riuscito a verificare l’efficienza dei test molecolari nelle scuole in Sicilia, né a stabilire il tempo trascorso in media dalla prescrizione al risultato. Giuseppe Vella, segretario regionale della FIMP e pediatra a Mazzara del Vallo, in provincia di Trapani, ha raccontato che «la regione ci ha detto che non siamo in grado di fare i molecolari però ci ha fornito molti test rapidi. Io finora ne ho fatti 80, 10 sono risultati positivi, il tampone molecolare ne ha confermati 2».

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Maurizio Franzò, preside di una scuola secondaria a Istica, in provincia di Ragusa, con circa 1200 studenti, ha raccontato che «se un operatore scolastico o un alunno hanno dei sintomi, devo chiamare l’USCA (cioè le unità mobili) presso le ASP territoriali (le ASL), che vengono a scuola a fare il test rapido; in realtà capita spesso che l’alunno vada a casa e siano poi i genitori a contattare il pediatra, che decide se fare il tampone rapido».

In Sicilia non è previsto l’isolamento di tutta la classe per un caso positivo nelle scuole medie e superiori, che viene invece imposto nelle materne e nelle elementari. Franzò ha detto che «negli ultimi 15 giorni c’è stato un aumento esponenziale dei contagi nel territorio, ma credo che le scuole siano rimaste quasi non toccate da questo contagio: il dato fornito dal tavolo regionale è dello 0,6 del per cento di casi appartenenti a studenti». In molti criticano invece i trasporti pubblici, come ha sostenuto anche il direttore dell’ufficio scolastico regionale Stefano Suraniti ricordando che «allo stato attuale risultano in Sicilia 600 studenti positivi al Covid-19, su oltre 700.000».

La Puglia crede negli antigenici
Venerdì 30 ottobre la Puglia ha sospeso le attività in presenza per le scuole elementari, medie e superiori per i successivi 24 giorni: è stata la seconda regione a prendere questa decisione, dopo la Campania, che nel frattempo ha esteso il provvedimento anche alle scuole per l’infanzia. La richiesta di sospensione era stata fatta dalle associazioni di categoria dei pediatri per bloccare il contagio nelle scuole, che era diventato particolarmente preoccupante, e in origine doveva durare 14 giorni.

Luigi Nigri, vicepresidente nazionale e referente per la Puglia di FIMP, ha spiegato che il sistema di corsie preferenziali dei tamponi previsto per le scuole non ha mai funzionato e che questo ha contribuito al collasso del sistema: «Per richiedere i tamponi degli alunni delle scuole dobbiamo mandare una mail al Dipartimento di prevenzione della ASL e specificare in una scheda il motivo della richiesta e i sintomi; il Dipartimento deve contattare i genitori e stabilire le modalità con cui fare il tampone. Con la riapertura delle scuole il sistema, già in sofferenza, è saltato e le segnalazioni del Dipartimento arrivano 10 giorni dopo la nostra richiesta: i tamponi sono fatti con un ritardo di 10 giorni o non sono proprio fatti».

Nigri ha raccontato che i contagi nelle scuole sono saliti in maniera impressionante: «i bambini non hanno sintomi o hanno sintomi leggerissimi, basta un po’ di tosse e raffreddore: contagiano i compagni, gli insegnanti, il personale sanitario e portano il contagio a casa, in famiglia. Sono inconsapevoli untori: inconsapevoli, perché se si fosse attivato da subito un sistema di tamponi rapidi nelle scuole avremmo bloccato il contagio».

Le scuole sono state chiuse per fermare il contagio e per permettere alle ASL di organizzare dei centri riservati agli studenti e al personale scolastico «dove vengano fatti dei test antigenici a ogni minimo dubbio». La Puglia ha allungato la chiusura da 14 a 24 giorni per permettere a tutte le ASL di organizzarsi, perché alcune rientrano nei tempi, altre devono ancora comprare macchinari e tamponi. Nigri ha spiegato che il pediatra, dopo aver visitato il bambino o essere stato avvisato dai genitori sui sintomi, inserirà i dati su una piattaforma web e in poco tempo riceverà una indicazione su dove fare il test rapido. Poi, nel giro di qualche ora, il pediatra riceverà dalla ASL la notifica con il risultato del tampone: se negativo, predisporrà una cura, se positivo verrà fatto il tampone molecolare per confermare, in modo definitivo, la positività.