Non è un intruso, è Alex Caruso

Uno degli idoli dei Los Angeles Lakers non sembra per nulla un giocatore di NBA e per strada non viene riconosciuto, eppure LeBron James non potrebbe fare a meno di lui

Alex Caruso quest'anno con i Los Angeles Lakers (Yong Teck Lim/Getty Images)
Alex Caruso quest'anno con i Los Angeles Lakers (Yong Teck Lim/Getty Images)

Negli ultimi due anni, a partire dall’arrivo di LeBron James, il più forte giocatore di basket della sua epoca, i Los Angeles Lakers sono cambiati completamente. Nella passata stagione la più famosa squadra di Los Angeles non riuscì a qualificarsi ai playoff, complice un lungo infortunio di James e un gruppo di giocatori non ancora adeguato. Ma a un anno di distanza, e dopo l’arrivo di rinforzi determinanti come Anthony Davis e Danny Green, i Lakers sono stati la prima squadra della loro conference, si sono qualificati ai playoff per la prima volta dal 2013 e poi, al ritorno dalla sospensione causata dalla pandemia, li hanno conclusi vincendo il diciassettesimo titolo NBA nella loro storia.

Nel percorso che ha portato i Lakers a diventare nuovamente campioni, una presenza poco appariscente, ma molto importante, è stata quella di Alex Caruso, un giocatore “speciale”, venuto fuori dal nulla e diventato inaspettatamente uno degli idoli non solo della squadra californiana, ma di tutto il campionato.

Caruso ha 26 anni da poco compiuti e non è arrivato in NBA tramite il draft, come i giocatori più promettenti, ma dalla via secondaria che premia solo chi ci crede di più. Cresciuto in una famiglia di origini italiane molto legata al basket, da studente fu uno dei migliori giocatori a livello locale nello stato del Texas. Al college fu un membro fondamentale nella squadra NCAA della Texas A&M University di College Station, dove detiene ancora alcuni record.

Al termine del suo quarto e ultimo anno al college, tuttavia, non fu selezionato per il draft. Il suo rendimento, pur essendo ottimo a livello locale, non era all’altezza delle medie che circolavano altrove. Caruso conosceva benissimo il gioco, spiccava per intelligenza e concentrazione, ma era principalmente un uomo al servizio della squadra, peraltro senza avere un fisico che potesse essere determinante nel giudizio complessivo delle sue potenzialità.

Alex Caruso con i Texas A&M (Getty Images)

Persa l’occasione di entrare in NBA dalla via principale, Caruso si avvicinò comunque a quel mondo partecipando alla Summer League, il torneo estivo per debuttanti, riserve e giocatori ancora senza un contratto vero e proprio. Fu selezionato dai Philadelphia 76ers ma al termine del torneo non venne confermato. Passò invece agli Oklahoma City Thunder per partecipare alla preparazione in vista della nuova stagione, ma venne girato in breve tempo a una squadra satellite nella G League, il campionato di sviluppo della NBA. Passato un altro anno nel sottobosco del basket nordamericano, al termine della stagione Caruso cambiò stato ancora una volta.

Nel 2017 venne selezionato dai Lakers per disputare un’altra Summer League e in California trovò finalmente le condizioni migliori. Insieme a Lonzo Ball, seconda scelta assoluta nel draft di quell’anno, e Kyle Kuzma, Caruso diede spettacolo e iniziò a farsi riconoscere dal grande pubblico. I Lakers finirono per vincere quella Summer League e Caruso ottenne un ingaggio grazie anche alla recente introduzione di una tipologia di contratto (il two-way contract) che conteneva le spese per i Lakers.

Arrivato in prima squadra, rimase comunque tra le riserve meno utilizzate. Al primo anno, con i Lakers ancora in piena fase di ricostruzione, non giocò neanche quaranta partite, con una media di quindici minuti in campo: piuttosto pochi.

Il secondo anno cominciò allo stesso modo, ma verso il termine della stagione regolare, con l’infortunio di James e i playoff ormai irraggiungibili, fu scelto di dare spazio ai giocatori meno utilizzati. Caruso ne seppe approfittare presentandosi in grande forma e fornendo prestazioni impressionanti per intelligenza di gioco e aggressività agonistica, aspetti che contribuirono a creare una specie di fenomeno mediatico: quello del giocatore con un fisico normale che riesce a tenere testa ad avversari più grossi, più potenti e molto più famosi di lui.

In quel finale di stagione, stabilì il suo record in NBA con 32 punti, 10 rimbalzi e 5 assist e finì il campionato con 18 punti di media e una percentuale di canestri realizzati vicina al 50 per cento. I Lakers decisero di offrirgli un contratto vero, da 5 milioni e mezzo di dollari all’anno per un minimo di due stagioni.

Caruso si è trovato spesso a commentare la sua situazione, dicendo fra le altre cose: «Credo di essere particolarmente apprezzato per il modo in cui gioco. Ogni partita entro e cerco di dare sempre il massimo. Penso che la gente lo apprezzi. E poi c’è il fatto che sembro una persona comune che cammina per strada, non un giocatore dei Lakers, anche se in realtà è così».

Nella stagione in corso, Caruso è entrato nella normale rotazione dei Lakers, quindi giocando molto di più di quanto non fosse successo in precedenza, e facendo registrare statistiche molto buone se confrontate con quelle di altri giocatori pari ruolo del campionato. Secondo una recente statistica sulle coppie più performanti della NBA, la coppia formata da Caruso e LeBron James è al primo posto per efficacia nei minuti giocati insieme.

L’allenatore dei Lakers, Frank Vogel, lo ha definito “l’arma segreta” della squadra. In difesa Caruso ha numeri simili a quelli dei migliori giocatori della lega, mentre in attacco, anche grazie agli avversari che si porta via LeBron James, segna con una percentuale superiore al 50 per cento dei tiri tentati.

Lui intanto – dopo essersi guadagnato soprannomi come The Bald Eagle, CaruShow e The Bald Mamba – continua a non rendersi veramente conto di dove sia finito: «Perché non sono per niente un tipo alla Hollywood. Infatti penso di adattarmi meglio a luoghi come San Antonio, Charlotte o Milwaukee, dove la gente ha un profilo più basso. Invece mi sono ritrovato a Los Angeles, ma non mi lamento di certo, è divertente».