Perché ci piacciono i cibi croccanti

E come fanno le grosse aziende a renderli sempre più croccanti, come racconta il sito Bon Appétit

(Dan Kitwood/Getty Images)
(Dan Kitwood/Getty Images)

Di norma un cibo piace perché ha un buon sapore, un bell’aspetto, un odore invitante e la consistenza giusta, o perlomeno quella che si è culturalmente abituati ad associargli. In Asia, soprattutto in Cina e Giappone, è un elemento soppesato con più attenzione che in Occidente: lì piacciono soprattutto i piatti molto Q, che hanno cioè una consistenza elastica e vigorosa insieme, viscida e gommosa. In Europa e negli Stati Uniti invece la predilezione va a cibi croccanti: «sono i migliori», come ha scritto la giornalista Alex Beggs in un approfondito articolo sul tema sul sito gastronomico su Bon Appétit. Beggs spiega le ragioni per cui ci piace la croccantezza nei cibi, racconta i primi studi delle grandi aziende alimentari per misurarla e amplificarla, e i modi che hanno adottato nel tempo per pubblicizzarla.

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Per prima cosa, una importante distinzione lessicale. In inglese esistono due termini per indicare i cibi croccanti: crispy e crunchy. Nei primi rientrano le patatine o altri tipi di vegetali fritti in busta, le cosiddette chips, nei secondi i cereali e le pepite di pollo fritte. I cibi crispy vengono addentati con i denti di fronte, quelli crunchy vengono masticati con i molari; i primi si sbriciolano in molti più pezzetti. Gli aggettivi sono anche onomatopeici: crispy fa pensare a una patatina che va in frantumi contro i denti, crunchy ricorda un bulldozer che spacca la terra. «Una Pringle è crispy, un pretzel compatto è crunchy», dice Beggs.

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La richiesta di cibi croccanti – che sia più o meno indotta dalle pubblicità e dalle mode – è in crescita. Per esempio negli Stati Uniti, negli ultimi dieci anni, l’uso di crispy/crispiness su Yelp, una piattaforma di recensioni di ristoranti, è aumentato del 20 per cento. In circa 7.000 menu americani analizzati dallo studioso Dan Jurafsky dell’università di Stanford, crispy è l’aggettivo più utilizzato per descrivere la consistenza dei cibi. I ricercatori hanno scoperto che le persone considerano i cibi croccanti “accattivanti” e “piacevoli”.

Gli studi sulla croccantezza iniziarono negli anni Cinquanta nei laboratori di General Foods, la grande azienda alimentare produttrice di cereali, bevande istantanee e cibo surgelato ora di proprietà di Kraft. La prima a occuparsene in modo approfondito fu la ricercatrice Alina Szczesniak, che mise a punto un protocollo, tuttora usato, per analizzare tutte le caratteristiche della consistenza di un cibo. È una scala che tiene conto di otto proprietà, come la durezza e l’elasticità, che vengono misurate dal momento in cui un cibo entra in bocca a quando viene ingerito.

Secondo Szczesniak la croccantezza «sembra avere un posto particolare nella psicologia dell’appetito e del senso di sazietà: spinge a continuare a mangiare». Per misurarla considerava la forza che deve avere un morso per spezzare un cibo. Nei suoi esperimenti si servì sia di persone sia di alcune macchine che inventò appositamente, come il texturometro, una bocca meccanica con lame al posto dei denti. Le aziende di oggi, come Frito-Lay che produce snack e patatine, continuano a utilizzare i texturometri.

Il gusto per la croccantezza varia tra uomini e donne. Uno studio del 2015 della University of Arkansas scoprì che le donne fanno più attenzione alla consistenza dei cibi, soprattutto a quelli croccanti, rispetto agli uomini, che invece si concentrano di più sul colore e il sapore. Alle donne inoltre sembrano piacere di più le patatine di tipo kettle o hand-cooked (impropriamente tradotto come cotte a mano), come ha spiegato a Beggs Chris Cioffe, vice-presidente della ricerca sugli snack di PepsiCo.

I due tipi di patatine si differenziano per il metodo di cottura. Le patatine tradizionali vengono fritte in grandi vasche chiuse piene di olio a 180 gradi centigradi; ne assorbono il 25/30 per cento rendendo necessaria un’immissione continua di olio alla stessa temperatura che sospinge le patatine verso la rete in cui vengono salate. Vengono quindi fritte molto rapidamente ad alte temperature in una sorta di nastro trasportatore.

Le patatine kettle invece sono fritte in vasche più piccole e chiuse. Vengono immerse nell’olio bollente e poi prelevate dalla vasca in un’operazione che raffredda leggermente la temperatura dell’olio: così vengono cotte più lentamente a temperature un po’ più basse, cosa che ne aumenta lo spessore e le rende un po’ abbrustolite. Mancando la spinta dell’olio, è necessario mescolarle con pale meccaniche perché non si attacchino, ottenendo così patatine dalla forma attorcigliata e irregolare.

Per le sue patatine fritte Frito-Lay – di cui Beggs ha visitato il quartier generale – tiene in considerazione quattro fattori: ingredienti (che devono avere la giusta combinazione), controllo dell’umidità (le patatine vanno disidratate), la forma, e la velocità e il metodo di cottura (fritto, al forno). Una volta pronte vengono infilate nei sacchetti che sono riempiti di aria arricchita di azoto per mantenerle più fresche e scrocchianti. Le aziende studiano attentamente anche la composizione del pacchetto, che deve fare il giusto rumore e sprigionare l’afrore di patatine. Il retro è spesso ricoperto di scritte che ne ricordano la croccantezza – secondo gli studi è qui che si posano gli occhi quando prendiamo in mano o apriamo un pacchetto – mentre sul davanti c’è l’immagine di una patatina, senza briciole attorno perché fanno pensare ai rimasugli sul fondo del pacchetto.

Beggs ha parlato anche con Amy Alarcon, vicepresidente di Popeyes, una nuova catena di pollo fritto della Louisiana che qualche mese fa aveva lanciato un panino andato a ruba diventando un caso in tutti gli Stati Uniti, il crispy chicken sandwich. Beggs ha provato il panino con i suoi colleghi dopo mezz’ora di viaggio e tutti erano impressionati dalla croccantezza della panatura. È una combinazione attentamente studiata di farine di grano tenero e duro: Popeyes lavora con 4 mulini diversi per ottenere l’esatta percentuale di proteine necessarie a «ottenere quel perfetto morso che manda tutto in frantumi che la gente si aspetta da noi».

La croccantezza è suggerita anche dalle immagini pubblicitarie del panino, che sembrano quasi in 3-D. Per ottenere l’idea della giusta croccantezza è necessario anche il lavoro dei food-stylist, che hanno il compito di far apparire il cibo nelle foto nel modo desiderato, per esempio aggiungendo un po’ d’olio per renderlo più lucente.

Un altro aspetto imprescindibile di un cibo croccante è il suono che fa quando viene addentato. Beggs si è fatta accompagnare nello studio di registrazione Sound Lounge di New York da Marshall Grupp, che anni fa aveva registrato un centinaio di suoni per Pringles. Sound Lounge è specializzato nei cosiddetti “foleys“, suoni e rumori pre-registrati che vengono usati in tv, nei film e nelle pubblicità. Quando si tratta di cibo, un produttore va in studio, lo spezza, lo addenta o lo sgranocchia e poi Sound Lounge edita il suono: lo pulisce, regola i bassi, aggiunge eco o rallenta il rumore enfatizzando alcuni aspetti.

Per finire, quando mordiamo un cibo croccante, la sua croccantezza riverbera in bocca e si trasmette fino alle mascelle e alle orecchie: è qualcosa che ascoltiamo e sentiamo fisicamente ed è una delle ragioni per cui ci piacciono i cibi croccanti. Nel 2015 l’università di Oxford condusse uno studio su un gruppo di persone che mordeva 180 Pringles ascoltandone il rumore; scoprì che più era intenso più le patatine sembravano croccanti. Lo stesso risultato era stato ottenuto in uno studio sul bacon, dove la croccantezza era importante quanto l’odore e il sapore. Per garantire sempre lo stesso livello di croccantezza delle sue patatine, Frito-Lay ne misura il suono in decibel di quando vengono addentate (i Doritos sono quelli che ce l’hanno più intenso).

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Gail Vance Civille, che ha 76 anni e collaborò con Szczesniak a General Foods, è convinta che i cibi croccanti piacciano perché sono simili a un attacco: «è qualcosa di molto più aggressivo che masticare un chewingum o un dolcetto». Szczesniak e altri scienziati sostennero sul Journal of Texture Studies che agli umani piacciono le cose scrocchianti sin dai tempi in cui vivevano nelle caverne perché indicano freschezza e quindi cibi sicuri da mangiare (come lattuga e mele non avariate e grilli prelibati). La scoperta del fuoco consentì di ricreare questa sensazione che fu ancora più apprezzata quando i cibi diventavano croccanti se sfrigolati nel grasso.

Secondo John S. Allen, autore di The Omnivorous Mind, i cibi croccanti piacciono perché ogni boccone ha qualcosa di nuovo e non annoia come il terzo cucchiaio di zuppa. Charles Spence, un professore di Oxford che ha condotto studi sul suono delle Pringles, sostiene che la chiave sia invece l’«esperienza multisensoriale» che offrono, coinvolgendo la vista, il tatto e il suono.