A Taiwan, se una cosa è buona, è Q

Indica la consistenza che devono avere i cibi più prelibati: che facciano resistenza al morso ma senza essere croccanti

di Arianna Cavallo

Dolcetti a forma di panda a Taipei, Taiwan, nel 2013
(Mandy Cheng/AFP/Getty Images)
Dolcetti a forma di panda a Taipei, Taiwan, nel 2013 (Mandy Cheng/AFP/Getty Images)

Quando noi italiani parliamo di pasta, possiamo litigare sul formato migliore – anche se alla fine compriamo sempre gli stessi – ma non sulla regola aurea: deve essere al dente. Il concetto di “al dente” poi è molto personale, e può variare da “pasta semi-cruda” a “pasta un pelo scotta”, ma sul concetto siamo tutti d’accordo. Spostandosi a est, in Asia, lo standard è tutto diverso: un buon piatto di noodles deve offrire una certa resistenza al morso ma dev’essere allo stesso tempo gommoso. Questa consistenza, elastica e vigorosa, è quasi sconosciuta alla cucina occidentale, che predilige i cibi croccanti e fragranti. E ha un nome: Q.

In Occidente una consistenza del genere si trova in poche eccezioni, come nelle caramelle gommose e in certi tipi di gnocchi. In Asia invece è molto comune: nei mochi giapponesi (i dolcetti glutinosi ripieni di pasta di tè verde e fagioli rossi), nelle polpette di pesce fatte a mano, nei ravioli traslucidi (i cosiddetti crystal dumpling) fatti con l’amido di frumento, nei tteokbokki (gnocchi di riso glutinoso saltati in padella), nei ba-wan (i ravioli farciti fatti con amido di patate dolci) e nelle palline di tapioca del Bubble Tea, la bevanda nata a Taiwan fatta con tè, latte e perline gommose di tapioca da succhiare con una cannuccia.

 

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Proprio a Taiwan è un elemento centrale della cucina e fa scivolare il sapore di un piatto in secondo piano, come scrive Cathy Erway nel suo libro di cucina The Food of Taiwan. Il nome Q – che si legge come in inglese, kiu – secondo alcuni deriva dal morfema (il più piccolo elemento semantico di una parola) di dialetto taiwanese hokkien k’iu, che significa “morbido” e “gommoso”; in cinese non esiste nessun carattere che traduca quel suono e quindi si usa la lettera occidentale. Spesso la Q viene raddoppiata per esprimere ancora più collosità, mentre i torroni sono detti anche mini-Q. Fuori da Taiwan la tipica consistenza dei cibi asiatici non ha un nome, ma Q si sta diffondendo a Hong Kong e in Cina in generale, dove il suono indica già molte cose: una minicar, un servizio di messaggistica e un aggettivo simile all’inglese cute, “tenero” e “carino”.

 

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«È difficile spiegare cosa sia esattamente il Q, dice Liu Yen-ling, proprietario della catena di bar Chun Shui Tang che rivendica l’invenzione del Bubble tea, alla giornalista del New York Times Amy Qin; «in breve, indica qualcosa di elastico e morbido». È la consistenza a cui aspirano piatti dolci e salati, caldi e freddi, collosa, gommosa, densa, viscida: «Non esattamente gli aggettivi più lusinghieri nel mondo culinario», commenta Qin.

Secondo la guida Michelin, Q è l’elasticità associata alle polpette di pesce fatte a mano, alle palline di riso glutinoso e a certi tipi di noodles. Si ottiene usando negli impasti la farina di riso, l’amido di patate dolci o la tapioca, un amido derivato dal tubero della manioca, una pianta originaria dell’America latina. Per avere noodles QQ, i cosiddetti jian mian, si aggiunge all’impasto il kansui, un’acqua alcalina, con aggiunta di carbonato di sodio: aumenta l’assorbimento d’acqua durante la bollitura, e rafforza l’impasto rendendo lo spaghetto gommoso e resistente.

Mochi al sesamo

 

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«È al dente, ma non proprio, ha in più un elemento di rimbalzo, di elasticità», spiega André Chiang, chef e proprietario del ristorante RAW di Taipei, che ha una stella Michelin. Nel suo menu, che propone solo ingredienti locali, Chiang sperimenta molto con il Q: tra gli ultimi piatti ci sono per esempio gli scampi con sughetto di cipolla e perle di tapioca.

 

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Mentre l’Occidente sta iniziando a conoscere lentamente il Q e apprezzarlo soprattutto nei dolci – i mochi e il Bubble Tea nelle città statunitensi sono popolari, come a Milano in Italia – a Taiwan si impara a riconoscerne la versione migliore sin da piccoli. Forse il successo del Q si può spiegare con le parole che un venditore di caramelle gommose di Taiwan ha detto a Amy Qin, porgendo una barretta gelatinosa e dolce a un bambino: «È semplice: lo mangi e ti senti di buon umore».

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