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  • Giovedì 13 febbraio 2020

Il Pakistan non vuole rimpatriare 800 studenti bloccati a Wuhan

A differenza di quasi tutti i governi stranieri non ha previsto voli speciali, per paura che portino il virus con sé e per non indispettire la Cina

Studenti pakistani a Wuhan, in Cina, il 9 febbraio 2020 (Profilo Twitter di Hafsa Tayyab)
Studenti pakistani a Wuhan, in Cina, il 9 febbraio 2020 (Profilo Twitter di Hafsa Tayyab)

Wuhan, in Cina, ha più di 11 milioni di abitanti e ospitava molti stranieri – nell’ordine di decine di migliaia – prima di diventare la città da cui si è diffuso il nuovo coronavirus (SARS-CoV-2). Gran parte di loro sono stati rimpatriati nei loro paesi – è successo agli italiani, fatta eccezione per un 17enne con la febbre – ma tra quelli che sono dovuti rimanere ci sono circa 800 studenti pakistani che si trovano tuttora in città.

Il governo del Pakistan, infatti, non ha organizzato dei viaggi di ritorno per questi studenti, che per via delle regole per contenere il contagio a Wuhan devono rimanere chiusi nelle stanze dei propri dormitori – gli stessi che gli altri studenti internazionali hanno ormai lasciato – isolati gli uni dagli altri. Qualche giorno fa il medico Zafar Mirza, consulente del primo ministro pakistano Imran Khan sulle questioni di salute, ha spiegato in un’intervista che la decisione di non riportare in patria gli studenti «è una buona decisione sia per il paese che per gli studenti», perché la Cina «se ne sta prendendo cura».

Gli studenti pakistani non sono gli unici i cui governi non hanno previsto piani di rimpatrio: sta succedendo anche a oltre 100 yemeniti attualmente a Wuhan. Ci sono poi centinaia di persone non cinesi che hanno scelto di rimanere a Wuhan nonostante abbiano avuto la possibilità di tornare nei propri paesi di origine.

Mirza non ha aggiunto molto altro ma quello che gli studenti e le loro famiglie hanno capito è che il Pakistan non vuole rischiare che l’arrivo di persone contagiate dal SARS-CoV-2 causi una diffusione del virus nel paese. Il Pakistan ha un sistema sanitario problematico (mancano medici specializzati e farmaci) e non è mai stato in grado di contenere il diffondersi di malattie contagiose; insieme all’Afghanistan, è uno dei due paesi del mondo che non sono riusciti a debellare la poliomielite e sia la diffusione dell’HIV che dei virus della dengue sono in crescita.

Imran Khan ha scritto su Twitter di aver dato istruzioni alle istituzioni diplomatiche in Cina di «fare il possibile» per gli studenti bloccati a Wuhan, ma il suo governo non ha risposto alle richieste di maggiori informazioni da parte dei giornali internazionali. Si pensa che un’altra ragione per cui è stato deciso di non far rimpatriare gli studenti sia che il Pakistan non vuole compromettere i buoni rapporti, economici e politici, con la Cina. Anche tra gli studenti a Wuhan c’è chi sospetta che il governo del Pakistan voglia essere ossequioso nei confronti di quello cinese. A confermare questa teoria c’è il fatto che la settimana scorsa il Pakistan ha ripreso i collegamenti aerei con la Cina, Wuhan esclusa. I cittadini pakistani che si trovano in altre città cinesi possono tornare in patria se risultano negativi ai test per il coronavirus.

Sempre su Twitter, Khan ha scritto: «Il Pakistan sta dalla parte del popolo e del governo cinesi in questo momento difficile, e starà sempre dalla loro parte».

Alcuni degli studenti pakistani intervistati dal New York Times e dal Guardian sono contenti di restare a Wuhan invece di tornare in Pakistan perché ritengono che gli ospedali cinesi siano migliori di quelli pakistani. Ai più nazionalisti di loro importa anche che il Pakistan mantenga buoni rapporti con la Cina.

Altri si sono lamentati del governo anche perché a causa delle restrizioni al movimento imposte a Wuhan sono rimasti senza soldi e senza provviste: come parte della popolazione cinese della città non hanno fatto in tempo a fare scorta di cibo prima che venisse dato l’ordine di non uscire dai propri alloggi. Uno studente pakistano ha detto al New York Times di non aver avuto rifornimenti d’acqua potabile per tre giorni: lui e i suoi compagni hanno bollito l’acqua corrente, non potabile, per poter bere.

Alcuni studenti hanno diffuso sui social network dei messaggi in cui chiedono al proprio governo di intervenire e farli tornare in Pakistan.

In risposta alle richieste di alcuni studenti pakistani in una residenza universitaria, l’università ha ideato un sistema per far arrivare del cibo agli studenti evitando possibili contagi: gli studenti possono fare richiesta di cibo andando in un ufficio; devono poi tornare nelle loro stanze e aspettare che un colpo sulla porta li avvisi della consegna di quanto richiesto. Chi si occupa delle consegne si allontana prima che gli studenti aprano la porta.