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  • Lunedì 10 febbraio 2020

L’Italia vuole cambiare l’accordo con la Libia ma per i migranti non cambierà quasi niente

Ha proposto delle tenui modifiche al controverso patto per bloccare i migranti nei centri di detenzione, ma è troppo poco

(Chris McGrath/Getty Images)
(Chris McGrath/Getty Images)

Dopo che la settimana scorsa il governo italiano aveva rinnovato il controverso Memorandum d’intesa (PDF) firmato nel 2017 con il governo di unità nazionale libico guidato da Fayez al Serraj, domenica 9 febbraio ha inviato al governo di al Serraj un documento di sei pagine in cui chiede alcune modifiche all’accordo. Il testo non è stato diffuso pubblicamente – il ministero degli Esteri si è limitato a commentarlo con un breve comunicato stampa – ma diversi giornali lo hanno letto e in parte pubblicato. In estrema sintesi, le modifiche chieste dal governo italiano sono di poco conto e non modificheranno la natura dell’accordo, nato sostanzialmente per tenere i migranti nei centri di detenzione libica e bloccare le partenze verso l’Italia.

Il Memorandum è ritenuto una delle principali misure con cui il governo italiano di centrosinistra guidato da Paolo Gentiloni ridusse drasticamente le partenze di migranti dalla Libia, con effetti sugli sbarchi visibili ancora oggi. L’altra misura fu l’accordo con alcune milizie armate presenti in Libia ritenute in parte responsabili del traffico di esseri umani, mai confermato dal governo ma raccontato da numerose inchieste giornalistiche: in sostanza, sembra che il governo italiano abbia fornito soldi e attrezzatura in cambio di una drastica riduzione delle partenze dei barconi di migranti. Grazie all’effetto combinato delle due misure – Memorandum e accordo con le milizie – dal 2017 a oggi gli sbarchi sono diminuiti di più del 90 per cento, al netto di un peggioramento delle condizioni dei migranti nei centri libici.

Il Memorandum era stato firmato nel febbraio 2017 e aveva una durata triennale. Nonostante fosse un testo molto generico servì soprattutto ad addestrare e fornire mezzi alla cosiddetta Guardia costiera libica, formata da milizie private spesso in combutta coi trafficanti di esseri umani, e finanziare quelli che il documento chiama «centri di accoglienza» in Libia, dove i migranti sono sistematicamente torturati, stuprati e al centro di richieste di riscatto per essere liberati. Secondo gli ultimi dati dell’UNHCR al momento vivono in Libia circa 47mila richiedenti asilo, di cui 2mila nei centri a cui ha accesso l’agenzia.

Negli anni sia il Memorandum sia l’accordo con le milizie sono stati pesantemente criticati dagli esperti di diritti umani per varie ragioni, fra cui di fatto avere accettato che i migranti fossero trattenuti nei centri di detenzione libici  purché non partissero per l’Italia, e alimentato la guerra civile in corso in Libia dal 2011 legittimando alcune fazioni e gruppi armati.

Le modifiche proposte dal governo italiano prevedono che la Libia offra «maggiori tutele per migranti e richiedenti asilo e per le persone vulnerabili» e gestisca «il fenomeno migratorio» nel rispetto dei «principi della Convenzione di Ginevra [sui rifugiati] e delle norme di diritto internazionale sui diritti umani». Dagli stralci pubblicati dai giornali, non è chiaro come il governo italiano intenda fare pressione sul governo libico affinché rispetti queste indicazioni, che negli ultimi anni non sono mai state seguite. Il governo italiano chiede «ulteriori attività di formazione del personale libico, in particolare nelle operazioni in mare, per garantire che si svolgano secondo gli standard internazionali e nel rispetto dei diritti umani»: in sostanza, chiede di continuare ad addestrare e assistere la cosiddetta Guardia costiera libica, come fa ormai da alcuni anni per evitare che si comporti in maniera eccessivamente spregiudicata nei confronti dei migranti.

In cambio, il governo italiano si impegna a continuare a fornire mezzi navali e di terra al governo di al Serraj. Scrive il Corriere della Sera:

La lista prevede due motovedette da 35 metri che sono state ammodernate in Tunisia e 30 jeep che devono essere invece impiegate per la sorveglianza a terra. La clausola inserita nella proposta di modifica inviata ieri dalla Farnesina a Tripoli vieta che navi e mezzi possano essere armati o utilizzati per operazioni militari. Nell’elenco ci sono poi furgoni, ambulanze, barche, telefoni satellitari, attrezzature subacquee, bombole per l’ossigeno, binocoli diurni e notturni. La maggior parte del materiale è destinato alla Guardia costiera locale per il pattugliamento del mare e della costa, pur nella consapevolezza che i controlli potrebbero bloccare chi sta cercando di scappare dalla guerra.

Ci sono pochi dubbi che l’equipaggiamento fornito dall’Italia e i fondi che verranno versati nei prossimi anni contribuiranno alle violenze nei confronti dei migranti: le motovedette fornite dall’Italia sono le stesse che vengono utilizzate per riportare i migranti nei centri di detenzione. Per quanto riguarda i fondi, un lunga e dettagliata inchiesta pubblicata da Associated Press a dicembre aveva mostrato che diversi milioni di euro di fondi europei per contenere l’immigrazione verso l’Italia sono finiti alle milizie. In un paragrafo dell’inchiesta, inoltre, Associated Press scriveva che in un centro di detenzione nella città libica di Sebha i migranti – scarsamente nutriti – erano stati costretti a costruire una nuova ala del centro, finanziata con fondi italiani.

Il governo italiano, del resto, non ha mai comunicato quanti soldi abbia speso per la cosiddetta Guardia costiera libica né per i centri di detenzione, né tantomeno che fine abbiano fatto precisamente quei soldi. Secondo un calcolo della ong Oxfam sono stati in tutto 150 milioni di euro negli ultimi tre anni: 43,5 nel 2017, 51 nel 2018 e 56 nel corso del 2019. A questi fondi vanno aggiunti quelli arrivati dall’Unione Europea, cioè 91,3 milioni per finanziare la Guardia costiera e altri 134,7 milioni per “migliorare” le condizioni dei migranti. Per Euronews i soldi versati sono stati molti di più, cioè 475 milioni di euro dal 2018 ad oggi. Grazie al rinnovo del Memorandum, considerato dalle autorità italiane la base politica e giuridica per i finanziamenti, i soldi continueranno ad arrivare al governo di al Serraj, alla Guardia costiera libica, e probabilmente anche alle milizie.

In un’intervista data domenica a Che tempo fa che fa, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ha giustificato inoltre il rinnovo spiegando che «il memorandum mira a fare in modo che le organizzazioni come l’ONU e l’UNHCR e l’OIM vengano non soltanto valorizzate ma anche aiutate nella gestione dei centri». Il problema è che le agenzie dell’ONU che si occupano di rifugiati e migranti – OIM e UNHCR, appunto – sostengono da mesi che la Libia non sia in grado di rispettare i diritti umani dei migranti, né sia un posto sicuro dove riportare quelli che cercano di scappare via mare, attività che il governo italiano continua a sostenere e finanziare. Dieci giorni fa, peraltro, l’UNHCR ha sospeso per ragioni di sicurezza le sue operazioni in uno dei pochi centri dove lavora, a Tripoli.

A giudicare dalle informazioni pubblicate dai giornali sulle modifiche al Memorandum chieste dall’Italia, non ci sono nuove misure di sostegno alle agenzie internazionali.