Le opzioni su Brexit di Boris Johnson
Il nuovo primo ministro britannico vuole rinegoziare l'accordo con l'Unione Europea, che però gli ha già detto che non se ne parla
Boris Johnson ha pronunciato giovedì il suo primo discorso da capo del governo britannico alla Camera dei Comuni, la Camera bassa del parlamento del Regno Unito. Tra le altre cose ha parlato delle sue intenzioni su Brexit, mostrando già importanti differenze con la prima ministra che lo aveva preceduto, Theresa May: ha detto di voler rinegoziare l’accordo concluso tra May e Unione Europea, in particolare la controversa parte del cosiddetto backstop, il meccanismo inserito nell’intesa per evitare la creazione di un “confine rigido” tra Irlanda e Irlanda del Nord; e ha aggiunto che in nessun caso appoggerà il testo com’è ora, preferendo piuttosto l’opzione del no deal, l’uscita senza accordo, considerata catastrofica da diversi osservatori. Comunque andranno le cose, ha concluso Johnson, il suo governo si impegnerà a realizzare Brexit entro il 31 ottobre, ultima data fissata per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
C’è però molta differenza tra quello che Johnson vuole e quello che potrà effettivamente fare, come si è capito giovedì sera dopo il suo discorso alla Camera dei Comuni, quando l’Unione Europea ha di fatto chiuso la porta a qualsiasi rinegoziazione sostanziale dell’accordo.
In una telefonata fatta in serata a Johnson, il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha ribadito che l’accordo concluso con il governo May è «il migliore e l’unico possibile». Juncker ha aggiunto che l’UE è disposta eventualmente ad aggiungere qualcosa nella “dichiarazione politica”, cioè nella parte del documento non vincolante, e a valutare altre proposte ma solo se compatibili con l’accordo già firmato. Michel Barnier, capo negoziatore dell’UE su Brexit, ha sostenuto che la retorica «combattiva» usata da Johnson nel suo discorso al Parlamento fosse un tentativo di rompere l’unità dell’UE, e ha ribadito che il backstop non è più negoziabile: «Il primo ministro Johnson ha detto che il raggiungimento di un accordo passerà dall’eliminazione del backstop. Questo ovviamente è inaccettabile e non è contemplato nel mandato del Consiglio europeo».
Sempre rimanendo nell’opzione di rinegoziare l’accordo, uno scenario più realistico potrebbe essere quello in cui Johnson convince i leader europei a introdurre piccoli cambiamenti nel testo su Brexit: sarebbero modifiche non particolarmente rilevanti, ma che Johnson potrebbe descrivere come grandi conquiste e ottenerne l’approvazione dal Parlamento britannico.
Secondo molti parlamentari britannici, ha scritto il Guardian, Johnson sarebbe comunque ben consapevole del rifiuto dell’UE di rinegoziare in maniera sostanziale l’accordo su Brexit, peraltro già bocciato tre volte dalla Camera dei Comuni; e sarebbe altrettanto consapevole che l’attuale parlamento britannico è contrario all’opzione del no deal, e lo ha mostrato più volte negli ultimi mesi votando a favore di emendamenti che la escludevano.
Per questo molti credono che il suo vero obiettivo sia convocare in fretta nuove elezioni, di modo da cambiare i rapporti di forza nel Parlamento britannico aumentando la maggioranza dei parlamentari a favore di Brexit (o meglio, di una “Hard Brexit”, la Brexit più dura) e magari legandosi al Brexit Party, il partito di Nigel Farage. Nell’assumere l’incarico da primo ministro, Johnson si è già circondato di convinti sostenitori di Brexit e ha assunto Dominic Cummings, l’ideatore della campagna del “Leave” nel referendum del 2016: secondo Reuters, sarebbero tutti segnali che l’opzione delle elezioni anticipate è molto in alto nell’agenda politica di Johnson.
Le elezioni potrebbero essere convocate in due modi: se la maggioranza dei due terzi del Parlamento approva la proposta del governo di andare al voto; o se la maggioranza assoluta del Parlamento approva una mozione di sfiducia nei confronti del governo in carica, e non c’è accordo per formare un nuovo governo.
Il Partito Laburista sta valutando l’opzione di sottoporre Johnson a un voto di sfiducia, probabilmente quando il Parlamento si riunirà dopo la pausa estiva, la prima settimana di settembre. Se la mozione dovesse passare, il parlamento avrebbe 14 giorni per provare a formare un nuovo governo, superati i quali si andrebbe a nuove elezioni. Se la mozione dovesse essere approvata il 3 settembre, la prima data utile per le elezioni sarebbe il 24 ottobre, una settimana prima della scadenza di Brexit. A quel punto non è chiaro cosa succederebbe, ma una vittoria netta dei favorevoli a Brexit potrebbe essere usata per chiedere all’Unione Europea nuovo tempo, oppure per dare maggiore legittimità all’opzione del no deal.
Ricapitolando: le opzioni su Brexit per Johnson sembrano essere tre. Rinegoziare l’accordo (quasi impossibile, a meno che non si tratti di piccole modifiche), uscire senza accordo (più probabile con Johnson che con May a capo del governo) e andare a nuove elezioni (possibile, anche se non certo).