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  • Mercoledì 17 luglio 2019

Chi è la fonte dell’audio, nel caso Lega-Russia?

E soprattutto – mentre la domanda agita giornali e opinionisti vicini al governo – è davvero importante saperlo?

Gianluca Savoini con Vladimir Putin.
Gianluca Savoini con Vladimir Putin.

Da quando il sito statunitense Buzzfeed ha pubblicato parte dell’audio e la trascrizione di una conversazione avvenuta all’hotel Metropol di Mosca tra un consigliere di Matteo Salvini – Gianluca Savoini – e alcune persone di lingua russa in cui si parlava di come fare arrivare finanziamenti illegali alla Lega, la politica italiana è stata agitata da accuse e teorie sui legami tra la Russia e la Lega, e la procura di Milano ha aperto un’inchiesta per corruzione internazionale. Di tutte le molte cose che non conosciamo ancora di questa storia, una è piuttosto laterale ma alimenta ipotesi più delle altre, soprattutto da parte di chi si considera vicino alla Lega: chi ha dato notizia dell’incontro del Metropol all’Espresso? Chi ha registrato la conversazione, e chi ha fatto avere quella registrazione al giornalista Alberto Nardelli, autore dell’articolo di Buzzfeed?

È una questione che sta appassionando in particolare giornalisti e opinionisti di destra e vicini al governo, che su questo tema hanno già pubblicato dozzine di articoli, quasi tutti parzialmente o del tutto campati in aria, frutto di teorie prive di riscontri, di congetture e di ammiccamenti. Ma la questione esiste, al di là del desiderio di qualcuno di provare grandi complotti internazionali: la registrazione può essere arrivata ai giornalisti da qualcuno degli italiani presenti all’incontro o da qualcuno dei russi, o da altri che fossero presenti o che stessero spiando la riunione. In ognuno di questi casi, gli scenari e le possibili conclusioni cambierebbero enormemente.

L’ipotesi che va per la maggiore tra giornalisti e opinionisti di destra – anche se interamente sulla base di teorie e non di prove – sostiene che ci sia stato un intervento di spie statunitensi, che avrebbero organizzato una messa in scena per incastrare Salvini: la stessa cosa che avrebbero fatto, sempre secondo questa ipotesi, nel caso del leader della destra radicale austriaca Heinz-Christian Strache, ripreso mentre prometteva appalti pubblici in cambio di finanziamenti russi.

Al di là del fatto che oggi alla Casa Bianca siede un presidente particolarmente amichevole con la Russia e al quale la Lega guarda con grande ammirazione, di norma per un giornalista non è considerato deontologicamente corretto indagare sulle fonti segrete utilizzate da altri giornalisti per ottenere materiale riservato. Nei paesi democratici, di solito le leggi proteggono il diritto dei professionisti dell’informazione a mantenere anonimi i loro confidenti. Se rivelare le fonti degli scoop tramite inchieste giornalistiche o della magistratura fosse un’occorrenza normale e accettata, nessuno parlerebbe più con i giornali e l’opinione pubblica saprebbe molto ma molto meno di quello che gli succede intorno (soprattutto quando si parla di persone e partiti molto potenti).

Ci sono però delle eccezioni a queste regole, soprattutto quando sono in ballo questioni politicamente molto gravi e controverse. Due anni fa, per esempio, molti chiesero al giornalista Marco Lillo e al suo giornale, il Fatto Quotidiano, di rivelare chi gli avesse consegnato i verbali di un’intercettazione di una telefonata tra Renzi e suo padre, che al momento della pubblicazione era ancora segreta e in mano soltanto a pochi magistrati e ai loro collaboratori. In quel caso, infatti, conoscere la fonte di Lillo avrebbe potuto fornire all’opinione pubblica informazioni rilevanti e utili quanto il suo scoop, se non di più: chi dentro la magistratura – cioè lo Stato – avesse compiuto un reato facendo trapelare quell’intercettazione. La magistratura interrogò Lillo ma, come avviene quasi sempre in questi casi in Italia, alla fine rispettò il suo diritto a non rivelare la fonte.

Oggi sono i giornali e gli opinionisti di destra e di area governativa, diciamo, che cercano di scoprire quale sia la fonte di Nardelli. Nella gran parte dei casi, come abbiamo detto, una specie di risposta ce l’hanno già: “la CIA”.

Marco Gervasoni, professore alla LUISS di Roma con idee di estrema destra e autore di articoli sul blog del giornalista Nicola Porro, ha scritto per esempio che la diffusione della registrazione è una prova dello scontro «interno agli Usa» in cui si affronterebbero «una fazione più vicina a Trump, che desidera un deal con Putin, e un’altra che vuole impedirlo, dimostrando che i russi si intromettono nella vita politica non solo americana ma pure di alleati come l’Italia». Nello stesso articolo, Gervasoni parla anche del presunto ruolo che avrebbero i «servizi tedeschi e francesi nell’affare Carola», cioè la comandante della nave Sea Watch 3 (non ci sono prove né indizi di alcun ruolo di «servizi tedeschi e francesi nell’affare Carola»).

La tesi che la riunione del Metropol fosse una trappola organizzata dagli statunitensi è particolarmente seducente perché assolve quasi completamente da ogni addebito sia la Russia di Putin – molto difesa e ammirata in questi anni dalla destra italiana – che la Lega e i suoi collaboratori. “Quasi completamente”, però: anche se l’incontro fosse stato una trappola, rimarrebbe il fatto che l’ex portavoce di Salvini abbia chiesto illegalmente denaro per la Lega a persone che credeva vicine al governo russo.

Altri giornali hanno preferito tralasciare l’ipotesi statunitense e si sono concentrati su spiegazioni più originali. Uno dei più accurati nella sua ricostruzione – anche se come gli altri non ha prove a sostegno della sua tesi – è Gian Micalessin, giornalista del Giornale. Micalessin ha ipotizzato che la conversazione del Metropol possa essere stata registrata all’insaputa dei suoi partecipanti da un “trojan”, un software inserito all’interno di un telefono cellulare. Micalessin ipotizza che a infilare questo “trojan” possa essere stata la magistratura italiana, nel corso di un’indagine sui rapporti tra Lega e Salvini finora rimasta segreta (non risulta che ci fossero indagini aperte lo scorso ottobre, quando venne registrata la conversazione: la procura di Milano ha fatto sapere di aver cominciato a indagare a febbraio, dopo che l’Espresso aveva dato la notizia della riunione). Secondo quanto sostiene Micalessin nel suo articolo, sarebbero stati proprio i magistrati a passare l’audio a Nardelli, sostenendo che nella forma originale la registrazione avrebbe rischiato di non poter essere utilizzata in un processo, mentre una volta uscita su Buzzfeed è divenuta un “elemento notorio” liberamente utilizzabile dalle parti.

Anche La Verità ipotizza una provenienza italiana della registrazione che permetterebbe di discolpare parzialmente la Lega. La registrazione, ha scritto il direttore Maurizio Belpietro, potrebbe essere stata realizzata da uno dei tre partecipanti all’incontro, l’avvocato Gianluca Meranda. Belpietro scrive che le indagini della Verità avrebbero dimostrato che Meranda si trova in una difficile situazione economica – informazione che al momento non ha prove né è stata verificata da altri giornali – e che quindi, implicitamente, avrebbe avuto interesse a registrare la conversazione per ricattare i partecipanti oppure venderla alla stampa.

Come ulteriore indizio a supporto della sua tesi, Belpietro aggiunge che nella conversazione è proprio Meranda a fare le affermazioni più compromettenti per il leader della Lega: «Guarda caso, è proprio lui che in quella sede parla di soldi, anzi di milioni, e di percentuali sul colossale affare che ha inguaiato Savoini e, di riflesso, avrebbe dovuto inguaiare Salvini». In realtà, anche se Meranda fosse stato completamente in silenzio, Savoini dice più che a sufficienza per mettere nei guai Salvini. È lui infatti a dire che la transazione coi russi dovrà rimanere segreta, e che i presenti devono comportarsi come un “compartimento stagno” poiché l’accordo che discutono è chiaramente illegale.

Un’ultima versione che circola molto in questi giorni, anche questa spesso ammantata di forme dubitative ed incertezze, ipotizza un altro colpevole ancora, apparentemente il meno sospettabile. Secondo questa teoria, a realizzare e far uscire la registrazione sarebbero stati gli interlocutori russi di Savoini. L’intera operazione sarebbe una sorta di avvertimento per Salvini, un leader politico che da anni promette grande amicizia e vicinanza al governo russo – è arrivato a dire di sentirsi più a casa a Mosca che in certi paesi europei – ma che finora non è riuscito a portare molti risultati: nonostante le molte promesse di Salvini, infatti, il governo italiano ha votato a favore del rinnovo delle sanzioni alla Russia, e Salvini pochi mesi fa è stato negli Stati Uniti in una visita molto pubblicizzata. Anche questa versione, comunque, non è suffragata da alcuna prova: nessun quotidiano di destra e nessun opinionista vicino al governo l’ha inserita tra le teorie plausibili, forse a causa della figura non proprio lusinghiera che ci farebbe Salvini.

Rimane quindi la questione se sia veramente la cosa più importante sapere chi ha realizzato la registrazione e l’ha fatta arrivare ai giornalisti. Se un giorno da un punto di vista storico potrà essere interessante sapere se in questi giorni è in corso una “guerra interna” all’amministrazione statunitense, se la Russia vuole mettere pressione a Salvini o se Savoini sia stato incastrato da un suo conoscente che sperava di fare qualche soldo con cui ripagare i debiti, non sembra che questi elementi siano destinati ad avere un impatto sulla questione principale che si discute al momento, e cioè: il capo del più importante partito italiano ha cercato di ottenere soldi dalla Russia di Vladimir Putin?