• Mondo
  • Domenica 14 luglio 2019

Un bilancio a cinque anni dalla legalizzazione della marijuana in Uruguay

Il Díario racconta quali cose hanno funzionato bene e quali sono andate storte

(AP Photo/Matilde Campodonico)
(AP Photo/Matilde Campodonico)

Nel dicembre del 2013, cinque anni e mezzo fa, l’Uruguay divenne il primo paese al mondo a legalizzare la produzione, la distribuzione e la vendita della marijuana. La legge, molto ampia nel suo contenuto, fu appoggiata dal governo progressista dell’allora presidente José Mujica con l’obiettivo di ridurre il consumo delle droghe e combattere i profitti illeciti della criminalità organizzata. L’iniziativa di Mujica fu molto criticata, sia dall’opposizione uruguaiana sia da alcuni governi e organizzazioni internazionali, tra cui l’Organo internazionale per il controllo degli stupefacenti (INCB, dall’inglese International Narcotics Control Board, un ente indipendente di esperti istituito dalle Nazioni Unite), che parlò di violazione del diritto internazionale.

Negli ultimi cinque anni l’Uruguay ha implementato passo dopo passo tutti gli aspetti della legge, tra cui la vendita legale della marijuana in farmacia, uno dei passaggi più difficili da realizzare: e nel frattempo molti altri posti del mondo hanno iniziato simili sperimentazioni. Il giornale spagnolo Díario ha provato a fare un bilancio delle cose che hanno funzionato e quelle che invece sono andate storte, raccontando i successi ottenuti dal governo uruguaiano e le diverse “zone grigie” che sono emerse nel corso del tempo.

La legge sulla legalizzazione della marijuana in Uruguay
La norma approvata cinque anni e mezzo fa prevede tre vie legali per ottenere la marijuana da usare a scopo ricreativo: la coltivazione di un massimo di sei piante per abitazione; l’acquisto di marijuana ai club della cannabis, autorizzati ad avere un massimo di 99 piante; e la vendita in farmacia di pacchetti da cinque grammi di marijuana a 220 pesos (poco più di 6 euro), fino a un massimo di 40 grammi al mese. La legge autorizza la coltivazione e vendita di due varietà di cannabis: la cannabis indiana e la cannabis sativa, che contengono THC, cioè il principio attivo comunemente associato all’effetto stupefacente della marijuana, tra il 7 e il 9 per cento. Sono previsti poi altri limiti.

Il club della cannabis El Piso a Montevideo, Uruguay (AP Photo/Matilde Campodonico)

La legge si rivolge esclusivamente ai cittadini uruguaiani e agli stranieri con la residenza nel paese, e prevede l’obbligo di iscriversi a un registro nazionale. Esclude invece i turisti. Secondo i dati dell’Instituto de Regulación y Control del Cannabis, l’organo incaricato di far rispettare la legge, a fine febbraio i consumatori di marijuana registrati legalmente erano 45.067: di questi, 34.696 compravano la marijuana in farmacia, 6.965 la coltivavano in casa e 3.406 appartenevano a uno dei 115 club della cannabis creati dopo l’entrata in vigore della norma.

I risultati sul mercato illegale di marijuana
Uno degli obiettivi dichiarati della legalizzazione della marijuana era combattere il narcotraffico: in questo senso, scrive il Díario, i risultati sono stati positivi, anche se con qualche zona grigia, comunque accettata dal governo nella logica del “male minore”.

Secondo i dati e le stime dell’Instituto de Regulación y Control del Cannabis, negli ultimi cinque anni la legge ha sottratto più di 22 milioni di dollari di profitti ai narcotrafficanti uruguaiani, anche se non è riuscita a eliminare del tutto il mercato illegale di marijuana. Ha continuato a resistere infatti il traffico illecito proveniente dal Paraguay, il principale produttore di marijuana dell’America Latina, che esporta il cosiddetto prensado paraguayo, un prodotto di bassa qualità ma più economico rispetto alla marijuana legale venduta in Uruguay (si parla di circa 500 pesos, 14 euro, per 25 grammi).

Una confezione di marijuana legale venduta da una farmacia di Montevideo (AP Photo/Matilde Campodonico)

Con l’approvazione della legge si è sviluppato inoltre un secondo tipo di mercato illegale, alimentato dai coltivatori nazionali e dai membri dei club della cannabis che vendono parte della marijuana prodotta legalmente a soggetti che non sarebbero autorizzati a farne uso, come i turisti. Un membro di un club della cannabis sentito dal Díario, ma rimasto anonimo, ha detto che la vendita sul mercato nero della marijuana in eccedenza è l’unico modo per garantire la sostenibilità di queste organizzazioni, che per stare in piedi richiedono un significativo investimento di tempo e denaro.

Il problema della vendita di marijuana in farmacia
La parte della legge che prevede la vendita di marijuana in farmacia è stata quella più complicata da realizzare, per una serie di motivi, ed è stata implementata solo a partire dal luglio 2017, con risultati non ancora soddisfacenti.

L’ostacolo maggiore è legato alle transazioni operate dalle banche con denaro proveniente dalla produzione e vendita di marijuana, un business che diversi paesi del mondo considerano illegale: molte banche si sono rifiutate di lavorare con aziende collegate al settore uruguaiano della cannabis, per il timore di essere oggetto di sanzioni o altri provvedimenti di governi stranieri, in particolare di quello statunitense. Per evitare problemi, le poche farmacie autorizzate a vendere marijuana – 16, su circa mille in tutto il paese – hanno deciso di compiere transazioni esclusivamente in contanti.

Persone in fila fuori da una farmacia di Montevideo il primo giorno di vendita legale della marijuana in alcune delle farmacie del paese, 19 luglio 2017 (AP Photo/Matilde Campodonico)

La situazione ha cominciato a cambiare a inizio 2019, grazie alla decisione del governo statunitense di permettere alle banche nazionali di operare con denaro proveniente dal mercato della marijuana legale: la decisione potrebbe essere stata influenzata anche dalla legalizzazione dell’uso ricreativo della marijuana in Canada, il secondo stato al mondo dopo l’Uruguay ad applicare la piena legalizzazione (nella lista andrebbe citata anche la California, il più popoloso stato americano, più del Canada).

E ora?
Negli ultimi 15 anni l’Uruguay è stato guidato da governi del partito progressista di sinistra Frente Amplio, che hanno promosso leggi molto liberali come la depenalizzazione dell’aborto e la legalizzazione dei matrimoni gay, distinguendosi dagli altri paesi latinoamericani molto più conservatori. Sulla legalizzazione della marijuana, però, il consenso all’interno del Frente Amplio non è stato unanime: l’attuale presidente, Tabaré Vásquez, si è espresso in diverse occasioni con grande cautela sul tema, e secondo alcuni avrebbe ostacolato l’approvazione di misure necessarie per aumentare la produzione legale di marijuana, visto che ancora oggi la domanda è molto superiore all’offerta.

In Uruguay le prossime elezioni nazionali, sia legislative che presidenziali, si terranno a ottobre. Secondo il Díario, difficilmente le forze di sinistra proporranno una ulteriore liberalizzazione della produzione e della vendita di marijuana, per evitare di essere attaccate dalla destra, da sempre molto critica verso questa legge. Allo stesso tempo, sembra improbabile che un governo diverso da quello attuale introdurrà cambiamenti radicali nel business legale della marijuana, che in generale ha dimostrato finora di funzionare abbastanza bene, nonostante i diversi problemi emersi negli ultimi cinque anni.