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  • Venerdì 19 ottobre 2012

L’Uruguay ha depenalizzato l’aborto

Era considerato un crimine, come in quasi tutta l'America Latina, ora potrà essere eseguito, ma ad alcune condizioni

di Giulia Siviero - @glsiviero

Pro abortion activists demonstrate in front of the Uruguayan congress in Montevideo, Uruguay, Tuesday, Sept. 25, 2012. Uruguay’s congress appeared ready on Tuesday to legalize abortion, a groundbreaking move in Latin America, where no country save Cuba has made abortions accessible to all women during the first trimester of pregnancy. The sign reads in Spanish “legal abortion.” (AP Photo/Matilde Campodonico)

Pro abortion activists demonstrate in front of the Uruguayan congress in Montevideo, Uruguay, Tuesday, Sept. 25, 2012. Uruguay’s congress appeared ready on Tuesday to legalize abortion, a groundbreaking move in Latin America, where no country save Cuba has made abortions accessible to all women during the first trimester of pregnancy. The sign reads in Spanish “legal abortion.” (AP Photo/Matilde Campodonico)

Dopo la Camera Bassa, anche il Senato dell’Uruguay ha approvato una legge che depenalizza l’interruzione volontaria di gravidanza. La norma è stata approvata in seguito a oltre nove ore di discussione con 17 voti a favore e 14 contrari, con il sostegno del Frente Amplio (FA, partito di sinistra al governo) e un solo voto dell’opposizione (Partido Nacional).
 Ora manca la firma del presidente Jose Mujica che, pur essendo personalmente contrario, ha già dichiarato di non voler porre il veto alla riforma, come fece il suo predecessore Tabaré Vazquez, primo presidente socialista del Paese.

Nel 2008 Vazquez, con l’appoggio dell’allora ministro della salute María Julia Muñoz, pose il veto per “motivi biologici e filosofici” a un disegno di legge che legalizzava l’aborto già approvato dal Senato. Prima del 2008 e a partire dalla fine della dittatura nel 1985 sono stati presentati in Parlamento sei progetti di legge per la depenalizzazione dell’aborto grazie soprattutto al lavoro delle organizzazioni femminili e femministe molto attive nel Paese.

Il vecchio e il nuovo disegno di legge
La normativa dell’Uruguay, fino a oggi, faceva riferimento a una legge del 1938 che puniva con la reclusione da 3 a 9 mesi la donna che decideva di ricorrere all’aborto e da 6 a 24 mesi chi lo praticava. La nuova legge, che è stata approvata dal Senato, oltre a cancellare le sanzioni previste nel ’38, dice che «tutte le donne maggiorenni hanno diritto a decidere sull’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) durante le prime 12 settimane del processo di gestazione». Ma ad alcune condizioni.

Una donna potrà ottenere il permesso di praticare l’IVG solo dopo essersi rivolta a una struttura legata al Sistema sanitario nazionale per spiegare le motivazioni della propria decisione. A quel punto verrà assegnata a una commissione composta da un ginecologo, un assistente sociale e uno psicologo, che non avranno il potere di autorizzare o proibire l’interruzione, ma il compito di fornire informazioni sui rischi legati all’aborto e sulle soluzioni alternative: «La commissione deve contribuire a superare le cause che possono indurla all’interruzione della gravidanza, assicurandosi che disponga delle informazioni necessarie per prendere una decisione conscia e responsabile». A partire dal colloquio la donna avrà 5 giorni di tempo per prendere una decisione che verrà considerata definitiva. Dopodiché, l’aborto dovrà essere eseguito gratuitamente.

Il termine delle 12 settimane non sarà applicato nel caso in cui la gravidanza sia il risultato di uno stupro, se ci sono rischi per la salute o la vita della donna, se sussistono «malformazioni fetali gravi, incompatibili con la vita extrauterina». La nuova legge prevede anche l’obiezione di coscienza da parte dei medici e del personale sanitario da dichiarare entro 30 giorni dall’applicazione della norma: superato questo termine non potranno che applicare quel che la legge stabilisce.

Come
Il Sistema sanitario nazionale dell’Uruguay prevede che l’interruzione volontaria di gravidanza non avvenga attraverso un intervento chirurgico, ma con il ricorso a un farmaco, il misoprostol, medicinale che favorisce l’espulsione del feto e che viene solitamente utilizzato per la prevenzione delle ulcere gastriche.

I numeri
Non esistono dati ufficiali sugli aborti in Uruguay. In un paese dove l’interruzione di gravidanza era fino a oggi considerata un crimine, non è mai stato facile ottenere dati affidabili sul numero di aborti effettuati. Secondo le ricerche svolte da organizzazioni non governative di donne, ci sono circa 33 mila aborti clandestini l’anno in un paese di 3 milioni di abitanti. Sono numerosi i casi di morte o di complicazioni (soprattutto per le minorenni) causati da interventi eseguiti in strutture precarie o con metodi non controllati.

Come avviene in Europa, dopo l’approvazione della nuova legge si prevede che in Uruguay possano arrivare donne dagli stati vicini (e soprattutto dall’Argentina) per poter praticare l’aborto. Si stanno dunque studiando norme per evitare questo tipo di turismo.

Le critiche
Sono molte le organizzazioni femministe e femminili che, pur avendo lavorato in questi anni con le deputate del Frente Amplio e pur riconoscendo il valore della legge, l’hanno criticata nella sua sostanza. La legge, infatti, non affronterebbe la questione del diritto delle donne a decidere liberamente della loro vita e del loro corpo. La necessità di dover passare attraverso la supervisione di una commissione non solo è umiliante ma presuppone il fatto che una donna non sia in grado di decidere per sé e per il proprio corpo senza essere orientata da un gruppo di tecnici.

L’aborto in America meridionale
L’Uruguay è il terzo Stato dell’America Latina ad avere reso legale l’aborto:il primo fu Cuba (1965) e il secondo la Guyana (1995). È stato inoltre legalizzato nel distretto federale di Città del Messico nel 2007. Nel resto del Sud America l’aborto è parzialmente penalizzato o addirittura considerato un crimine a prescindere dal nesso di causalità e come tale punito. In Cile, ad esempio, fin dal 1989 si afferma che «la madre non può far ricorso all’interruzione di gravidanza anche se il feto ha degli handicap, anche se non l’ha desiderato e se è frutto di violenza». Non solo: nonostante sia a rischio la salute della donna.

Lo stesso accade nel Salvador, in Nicaragua (dove l’aborto terapeutico è stato cancellato dall’Assemblea Nazionale nell’ottobre del 2006) e nella Repubblica Dominicana dove l’aborto viene esplicitamente paragonato alla pena di morte: l’articolo 30 della Costituzione recita che «il diritto alla vita è inviolabile dal concepimento fino alla morte» e che «in nessun caso non può esserci alcuna regola, né pronunciamento, né applicazione della pena di morte». La discussione è invece bloccata in Brasile e anche in Argentina dove presidente è sì una donna, Cristina Kirchner, ma cattolica.

Foto: una manifestazione di donne a favore della depenalizzazione dell’aborto,
Montevideo ,25 settembre 2012 (AP Photo/Matilde Campodonico)