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  • Mercoledì 5 giugno 2019

La Commissione Europea ha chiesto una procedura d’infrazione contro l’Italia

Per la seconda volta in pochi mesi, dopo che le stime della legge di bilancio si sono mostrate lontane dalla realtà

(ANSA/ETTORE FERRARI)
(ANSA/ETTORE FERRARI)

In un report diffuso stamattina, la Commissione Europea ha raccomandato l’apertura di una procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti del governo italiano, accusandolo in sostanza di non aver seguito negli scorsi mesi i parametri europei per abbassare il debito pubblico nazionale, uno fra i più alti al mondo. La richiesta probabilmente renderà ancora più preoccupati sulle condizioni dell’economia italiana gli investitori e i fondi a cui chiediamo soldi in prestito (cioè i cosiddetti “mercati”), e potrebbe avere conseguenze sulla stabilità del governo, già piuttosto provata dalle elezioni europee.

La Commissione Europea non ha il potere di aprire da sola una procedura di infrazione: il dossier passerà ora al Comitato economico e finanziario, cioè l’organo tecnico che raggruppa i direttori generali dei ministeri delle Finanze dei singoli stati. Si riunirà martedì 11 giugno. Sarà invece il Consiglio dell’UE che raduna i ministri dell’Economia dei vari paesi – è il cosiddetto ECOFIN, la cui prossima riunione è fissata per il 9 luglio – a decidere se aprire formalmente una procedura, con un voto a maggioranza qualificata. Prima di allora il governo italiano sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle proverà comunque a trattare con la Commissione per indurla a ritirare la raccomandazione, probabilmente con una piccola legge di bilancio correttiva di qualche miliardo (di cui in Italia si parla ormai da settimane).

– leggi anche: Cos’è e come funziona la procedura di infrazione 

L’Italia si era già trovata in una situazione simile nell’autunno del 2018, quando la Commissione aveva raccomandato la richiesta di una procedura di infrazione per via del deficit altissimo previsto nella legge di bilancio – inserito per permettere al governo di introdurre le due misure più attese, cioè il “reddito di cittadiannza” e “quota 100”. A dicembre fu poi trovato un compromesso: il governo italiano si impegnò a ridurre il rapporto deficit/PIL dal 2,4 per cento al 2,04, e a portare avanti una serie di privatizzazioni e investimenti che avrebbero consentito di rispettare gli impegni presi sulla progressiva diminuzione del debito pubblico. In cambio, la Commissione ritirò la sua raccomandazione.

Una nuova raccomandazione però era attesa da tempo: da due mesi infatti sappiamo che le previsioni economiche fatte dal governo nell’autunno del 2018 si sono rivelate troppo ottimistiche. La legge di bilancio per il 2019 era stata impostata su una crescita economica dell’1 per cento, che invece si è rivelata molto più contenuta (le ultime stime dell’ISTAT parlano dello 0,3 per cento, ma ne circolano altre prossime allo zero). Di conseguenza sono saltate tutte le stime: oggi la Commissione rimprovera all’Italia l’eccessivo aumento del debito pubblico – che nell’ultimo anno dovrebbe aumentare di 1,5 punti, passando dal 132,2 per cento del PIL al 133,7 – e del deficit annuale, che nel 2020 sarà del 3,5 per cento del PIL, ben oltre il 3 per cento preso come riferimento dai vincoli europei che l’Italia ha sottoscritto. Una settimana fa la Commissione europea aveva inviato al governo italiano una richiesta di spiegazioni, senza però ricevere una risposta che considera adeguata.

Diverse fonti hanno confermato che la Commissione europea aveva da tempo intenzione di occuparsi dei conti dell’Italia, ma che avesse aspettato per non condizionare la campagna elettorale per le elezioni europee (convinti che ulteriori critiche avrebbero fatto il gioco delle forze euroscettiche, su tutte la Lega di Matteo Salvini).

Secondo il corrispondente da Bruxelles della Stampa, Marco Bresolin, la vittoria della Lega avrebbe convinto la Commissione ad adottare una linea più severa. «Tanto vale applicare le regole alla lettera. Poi saranno gli altri governi a prendersi eventualmente la responsabilità di graziare l’Italia, oppure a confermare la procedura, con tutto ciò che comporterà questa decisione», ha detto un funzionario della Commissione alla Stampa. È vero che la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker è uscente – quella nuova si insedierà a novembre – ma l’impostazione piuttosto rigida nei confronti dei conti dell’Italia non dovrebbe cambiare più di tanto, anche perché in questo momento il governo italiano è tagliato fuori dalle trattative per decidere nomine e politiche della prossima Commissione.

Il report con cui la Commissione raccomanda di aprire una procedura di infrazione contiene anche delle valutazioni più “politiche”. Ad esempio si sottolinea come dall’insediamento del governo di Luigi Di Maio e Matteo Salvini lo spread – cioè la differenza di rendimento tra i titoli di stato decennali italiani e quelli tedeschi – sia salito di 100 punti in sei mesi, cosa che secondo la Commissione ha comportato «un costo di 2,2 miliardi» di euro per i cittadini italiani. La Commissione ha anche rimproverato al governo di avere badato poco alla stabilità dei conti per finanziare le misure che gli stavano più a cuore: «L’assenza di politiche di bilancio prudenti espone il Paese a shock di fiducia sui titoli di stato, con un impatto negativo sugli interessi pagati dal paese e più in generale sul costo del finanziamento per l’economia reale, cosa che ha un impatto negativo sulla crescita», si legge nel report.

Concretamente, però, all’Italia viene rimproverato di non aver ridotto a sufficienza il debito. Per i paesi che hanno un rapporto debito/PIL superiore al 60 per cento, come l’Italia, la Commissione usa una formula matematica piuttosto semplice per stabilire a che tasso deve scendere questo rapporto: si prende la differenza fra il rapporto debito PIL e quello ideale del 60 per cento – per l’Italia: 131 per cento meno 60 per cento, quindi 71 per cento – e si calcola un ventesimo di quel tasso. Il risultato è un tasso del 3,55 per cento: significa che nell’arco dei prossimi tre anni il rapporto del debito pubblico italiano dovrebbe scendere più o meno dal 131 al 120 venti per cento, cioè di circa undici punti percentuali (3,55 per tre fa 10,65).

Nelle previsioni di crescita che il governo italiano aveva mandato alla Commissione all’inizio di novembre, il ministro dell’Economia Giovanni Tria aveva previsto che nel 2021 il rapporto debito/PIL sarebbe stato al 126 per cento: una stima lontana di quasi una decina di punti dalle previsioni attuali della Commissione. Se la procedura sarà aperta e l’Italia decidesse di non aderire alle regole europee, è prevista una multa con una base fissa dello 0,2 per cento di PIL, che può arrivare a un massimo dello 0,5 per cento (per rimanere all’Italia: parliamo di circa 9 miliardi di euro).

I passaggi per arrivare alle sanzioni vere e proprie sono moltissimi, alcuni dei quali di natura parzialmente politica: è per questa ragione che finora nessun paese europeo è mai stato sottoposto a sanzioni al termine di una procedura di infrazione per deficit eccessivo, che comunque è uno strumento utilizzato piuttosto spesso dalla Commissione. Nella loro storia ne sono stati soggetti quasi tutti i paesi membri tranne Svezia ed Estonia.

Soprattutto negli anni della crisi economica, è stato utilizzato dalle istituzioni europee per assicurarsi che i governi europei non si indebitassero troppo per cercare di favorire la ripresa. Al momento l’unico paese ancora sottoposto a una procedura d’infrazione è la Spagna, che però dovrebbe uscirne quest’anno.