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  • Martedì 12 marzo 2019

Cosa succede ora con Brexit

Spiegato semplice ai moltissimi che da tempo non ci stanno capendo più niente: stasera c'è un voto importante al Parlamento britannico

Theresa May (Thomas Niedermueller/Getty Images)
Theresa May (Thomas Niedermueller/Getty Images)

Lunedì sera la prima ministra britannica Theresa May e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker hanno trovato un’intesa per introdurre alcune modifiche all’accordo su Brexit bocciato lo scorso gennaio dal Parlamento del Regno Unito. Le modifiche, per lo più cavilli che secondo molti non modificano nella sostanza l’accordo, sono il risultato di complicati colloqui tra le due parti per provare a sbloccare la situazione di stallo in cui si trova Brexit e che potrebbe portare a un “no deal“, cioè un’uscita senza nessun accordo ormai tra pochi giorni, scenario considerato catastrofico da più parti.

Le novità introdotte dall’intesa tra May e Juncker non possono però ancora considerarsi definitive, perché devono essere approvate dal Parlamento britannico. Il voto, di grande importanza, è fissato per questa sera: se l’accordo dovesse essere approvato, come vorrebbe May, l’uscita del Regno Unito dall’UE prenderebbe una strada precisa e definita e Brexit si verificherebbe – regolata come da accordi – il 29 marzo; se dovesse essere bocciato, si aprirebbe uno scenario complicato e incerto, su cui dovrà esprimersi nei prossimi giorni il Parlamento britannico.

Clicca sull’immagine per ingrandire (lo schema originale è del Guardian)

In caso di bocciatura dell’accordo, il Parlamento britannico dovrà tornare a votare su due questioni relative a Brexit.

Prima: mercoledì deciderà se lasciare l’Unione Europa senza alcun accordo, quindi realizzando il cosiddetto scenario del “no deal”, che si applicherà a partire dal 29 marzo. Quello sul “no deal” potrebbe essere un voto molto importante per il governo di Theresa May, che non ha mai voluto rinunciare a questa opzione, ritenendola fondamentale per la sua strategia negoziale. D’altra parte, all’interno del Partito conservatore c’è molta resistenza al “no deal”, condivisa da tutta l’opposizione: diversi Conservatori che non appartengono alla fazione dei più intransigenti su Brexit potrebbero decidere di dare le dimissioni dal partito, se May facesse troppe pressioni per non escludere l’opzione del “no deal”. Il Parlamento si era già espresso a fine gennaio sul “no deal”, assumendo una posizione un po’ ambigua: aveva approvato una mozione non vincolante per escluderlo, ma ne aveva bocciata un’altra vincolante che chiedeva la stessa cosa.

Seconda: se l’opzione del “no deal” dovesse essere bocciata – scenario ad oggi più probabile – il Parlamento tornerebbe a votare il giorno successivo, giovedì 14 marzo. I parlamentari dovranno esprimersi sulla possibilità di prorogare l’applicazione dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona, ovvero di spostare più avanti la data fissata per Brexit. Se la mozione dovesse essere approvata, il governo May sarebbe obbligato a tornare dai negoziatori europei per chiedere una proroga. La decisione a quel punto dovrà essere presa dal Consiglio europeo il prossimo 21 marzo: se i leader europei dovessero accettare la richiesta britannica, le due parti avrebbero altro tempo per provare a trovare un accordo su Brexit, fino alla nuova scadenza; se dovessero rifiutarla – scenario più improbabile – si arriverebbe a una nuova situazione di nuovo stallo, da cui sarebbe complicato uscire.

Se si arrivasse a questo punto, il Regno Unito avrebbe solo una settimana per decidere cosa fare. È difficile dire ora cosa potrebbe succedere, anche perché molto dipenderà dalla solidità del governo May.

Come ha osservato il Guardian, se stasera l’accordo su Brexit venisse bocciato con un margine di voti ridotto – quindi se almeno si evitasse l’enorme batosta incassata da May nel primo voto di gennaio – il governo potrebbe proporre un terzo e ultimo voto sull’accordo originale già bocciato: una specie di tentativo disperato di evitare un “no deal”. Oltre a un voto alla disperata, potrebbero succedere altre cose: per esempio i Laburisti potrebbero spingere per convocare un secondo referendum su Brexit, proposta che potrebbe acquisire concretezza nei giorni immediatamente precedenti al 29 marzo e che potrebbe convincere l’Unione Europea a concedere una proroga; oppure l’Unione Europea potrebbe fare una concessione dell’ultimo minuto sul backstop, andando incontro alle richieste del Parlamento britannico e favorendo l’approvazione di un eventuale accordo (scenario al momento poco probabile, comunque, visto che Juncker ha escluso qualsiasi ulteriore negoziazione sul backstop).

Se invece questa sera l’accordo dovesse essere nuovamente bocciato con un ampio margine di voti – più di 50, diciamo – si aprirebbe uno scenario difficile da prevedere. May potrebbe decidere di farsi da parte, nonostante le regole interne al Partito conservatore impediscano di sfidare la sua leadership fino a dicembre (May ha infatti superato da poco un voto di sfiducia interno ai Conservatori). A quel punto il Parlamento potrebbe prendere l’iniziativa, assumendo il controllo di Brexit, e potrebbe decidere di appoggiare una cosiddetta “soft Brexit”, quindi una versione di Brexit più morbida di quella negoziata dal governo May, che potrebbe ottenere l’appoggio anche dell’Unione Europea.