Ora c’è un “supplemento” dell’analisi costi-benefici sulla TAV

Lo hanno fatto gli stessi esperti della prima analisi, e ne dimezza la stima dei costi: i giornali dicono sia parte di un piano di Conte per sbloccare la situazione

(ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)
(ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO)

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha ricevuto in questi giorni un “supplemento” all’analisi costi-benefici sulla TAV. La nuova analisi calcola gli effetti della costruzione della linea ferroviaria per la sola Italia, e non invece dell’opera nel suo complesso. Il risultato è che i costi complessivi che dovrebbe affrontare il nostro paese si dimezzano, passando da 7 a 3,5 miliardi di euro. Secondo i giornali questa appendice all’analisi potrebbe essere il primo passo di un tentativo da parte di Conte di risolvere la complicata questione della TAV che divide le forze di maggioranza e minaccia la stabilità del governo.

A realizzare il supplemento di analisi sono stati i professori Marco Ponti e Francesco Ramella, che ieri ne hanno parlato nel corso di un incontro tra esperti al Collegio Carlo Alberto di Torino. Secondo quanto scrivono i giornali, questa nuova analisi sarebbe stata chiesta personalmente da Conte al ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli. La valutazione è stata conclusa mercoledì e si differenzia dallo studio precedente per un’unica ragione: mentre nel primo documento redatto da Ponti e dalla sua squadra i costi dell’opera erano calcolati in modo complessivo, senza contare da dove arrivassero i soldi per finanziarla, nel nuovo documento invece sono stati esclusi dal conteggio finale tutti i soldi che saranno spesi – o che rappresentano mancati introiti da pedaggi e tasse sulla benzina – dalla Francia e dall’Unione Europea.

Il risultato è che il “costo” dell’opera per l’Italia si dimezza, passando appunto da 7 a 3,5 miliardi di euro. È importante ricordare che questi costi non sono le semplice “spese di costruzione” della linea, ma sono costi complessivi che includono ogni aspetto dell’opera e riguardano il suo primo trentennio di vita: tra il 2030, quando sarà ultimata, e il 2059. La stima include ogni aspetto dell’impatto che avrà l’opera, quindi fenomeni come riduzione dell’inquinamento o risparmi di tempo o per i viaggiatori vengono monetizzati e inclusi nell’analisi sotto forma di costi o benefici, così come i minori introiti da pedaggi autostradali e tasse sui carburanti, visto che la ferrovia ridurrà il traffico su gomma.

Secondo i giornali, con questa nuova analisi il presidente del Consiglio Conte punta a sbloccare lo stallo tra Movimento 5 Stelle, contrario all’opera, e la Lega, che invece è favorevole. Una settimana fa le due forze politiche avevano raggiunto una tregua temporanea, votando di comune accordo una mozione per “ridiscutere il progetto“, considerata da tutti un modo per rimandare la questione e ottenere più tempo per trattare. Per risolvere il problema una volta per tutte, Conte potrebbe proporre ai suoi alleati, scrive ad esempio La Stampa, una “linea snella”, cioè una TAV in qualche misura ridotta che, secondo lui, potrebbe essere accettata dai dirigenti e dai parlamentari del Movimento. Non è chiaro in che misura questa linea sarebbe effettivamente “ridotta” – il progetto è stato già molto ridimensionato negli anni – ma sembra certo che la parte più controversa, cioè il tunnel che collegherà Francia e Italia partendo dalla Val Susa, non subirà alcuna modifica.

Conte fino a questo momento è stato molto prudente nelle sue dichiarazioni pubbliche. Sempre sulla Stampa oggi c’è una sua breve intervista in cui appare estremamente circospetto. «Ponti ha fatto un supplemento di integrazione, io ho semplicemente detto che se fosse necessario potremmo chiedere un supplemento di indagine», ha detto. «Se dovesse emergere qualche profilo di quella valutazione costi-benefici che merita approfondimento, chiederò agli esperti che hanno redatto quella valutazione».

La prudenza di Conte è comprensibile, visto quanto è delicato l’argomento per il Movimento 5 Stelle. Il partito fondato da Beppe Grillo è uscito ammaccato dai primi otto mesi di governo, durante i quali ha dovuto rimangiarsi una lunga serie di promesse fatte in campagna elettorale. I sondaggi lo danno in calo e alle elezioni locali, dall’Abruzzo alla Sardegna, ha subìto gravissime sconfitte. Secondo alcuni esponenti del partito dire sì alla TAV, una delle prime battaglie condotte dal Movimento, su cui si espresse spesso in passato anche Beppe Grillo, sarebbe un cedimento intollerabile. Alberto Airola, senatore piemontese del Movimento 5 Stelle, ha detto proprio ieri che se il governo porterà avanti i cantieri della TAV lui abbandonerà il partito ma porterà via con sé il simbolo: un modo per dire che lo spirito originario del Movimento in quel caso sarebbe perso per sempre.

Nel frattempo il consorzio TELT che si occupa della realizzazione dell’opera a breve dovrà mettere a gara una nuova serie di appalti che, se alla fine la TAV non si farà, dovranno essere annullati. La decisione suoi nuovi appalti dovrebbe essere presa entro il prossimo 11 marzo, quando si terrà il consiglio d’amministrazione del consorzio. Se la proposta di Conte non dovesse avere successo, la Lega e il PD hanno già detto di essere disponibili a organizzare un referendum per decidere se proseguire con l’opera. Il Movimento 5 Stelle fino a oggi non ha commentato questa proposta, che molti suoi dirigenti vedono con un certo imbarazzo.