Cosa si dice dell’analisi costi-benefici sulla TAV

Lo studio voluto dal ministro Toninelli è stato molto commentato e criticato, la commissione che se ne è occupata lo ha difeso alla Camera

Il cantiere della TAV Torino-Lione di Saint-Martin-La-Porte in Francia, il 27 agosto 2015
(ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)
Il cantiere della TAV Torino-Lione di Saint-Martin-La-Porte in Francia, il 27 agosto 2015 (ANSA/ALESSANDRO DI MARCO)

Da ieri si discute molto dell’analisi costi-benefici sulla TAV Torino-Lione secondo cui l’opera sarebbe un investimento poco conveniente, che potrebbe arrivare a costare una decina di miliardi nel corso di un trentennio. L’analisi, voluta dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli e realizzata da una commissione di esperti, è stata accusata dai sostenitori della TAV di essere parziale e incompleta. Oggi, nel corso di un’audizione alla Camera, gli autori dell’analisi hanno avuto occasione di rispondere a numerose delle critiche ricevute  (il testo completo dell’analisi si legge qui).

Di cosa stiamo parlando?
La linea ad alta velocità Torino-Lione è fin dall’insediamento del governo lo scorso giugno uno dei punti che più dividono il Movimento 5 Stelle, contrario all’opera, e la Lega, favorevole. Per risolvere lo stallo, il governo aveva deciso nel 2018 di affidare a una commissione di esperti il compito di valutare l’utilità dell’opera tramite un procedimento tecnico che si chiama “analisi costi-benefici” (che a volte viene abbreviato in ACB).

Non è un’analisi finanziaria, il cui obiettivo è calcolare se uno o più attori impegnati nel progetto ne otterranno un guadagno monetario, ha spiegato Ponti durante l’audizione: «Misura invece gli effetti sul benessere collettivo di tutti gli stakeholder, cioè gli enti e le persone coinvolte nel progetto». Per fare questo l’analisi cerca di misurare quanto guadagna e quanto spende ciascuno degli “stakeholder” e poi somma questi valori per cercare di valutarne gli effetti sul «benessere collettivo».

Quali sono i risultati?
I risultati sono negativi: secondo Ponti e i quattro commissari che hanno firmato la relazione (uno di loro, in disaccordo, ha preferito non firmare e inviare una nota riservata al ministro) costruire la TAV rappresenterà un costo netto, saranno cioè spesi dei soldi senza generare un ritorno equivalente per gli stakeholder coinvolti. L’analisi “simula” diversi scenari in cui variano il successo dell’opera, il numero di veicoli spostati dalla strada alla ferrovia e molte altre variabili.

In ciascuno di questi scenari, il costo dell’opera è diverso, ma sempre negativo: il costo più alto è di circa 8 miliardi di euro, mentre il più basso scende fino a 5 miliardi (si tatterebbe quindi di meno di 300 milioni di euro l’anno per 30 anni, una cifra relativamente ridotta). Questi “costi” di cui parla l’analisi sono stimati per il primo trentennio di attività della linea, cioè il periodo che va dal 2030, quando l’opera dovrebbe essere completata, fino alla fine del 2059 (i risultati dell’analisi sono stati analizzati nel dettaglio dal sito di factchecking Pagella Politica, che ne se ne è occupata nel suo podcast).

Cosa se ne dice?
Nei confronti dell’analisi costi-benefici sono state mosse da esperti e meno esperti numerose critiche, alcune generali, alcune molto puntuali (trovate qui riassunte le principali obiezioni e critiche ai dati contenuti nell’analisi). Alcuni hanno criticato la scelta di Ponti e degli altri commissari, da sempre contrari alla TAV e quindi considerati “non neutrali” nella loro analisi. Altri li hanno accusati di essersi appiattiti sulle posizioni del Movimento 5 Stelle e altri ancora hanno messo in dubbio che qualsiasi opera pubblica possa risultare “profittevole” se ad essere applicato fosse il metodo di Ponti.

Molto obiezioni sono comunque di natura estremamente tecnica e riguardano ad esempio i calcoli con i quali Ponti e gli altri commissari hanno monetizzato (cioè trasformato in una cifra che potesse essere inserita nel calcolo per trovare il costo complessivo dell’opera) la riduzione dei tempi di percorrenza o quella delle emissioni nocive, due voci che secondo i critici i membri della commissione avrebbero colpevolmente tenuto troppo basse. Sono tutte questione specialistiche, sulle quali il dibattito tra esperti è molto accesso.

Ponti e i suoi colleghi hanno risposto ribadendo la loro indipendenza e affermando che il lavoro non ha l’ambizione di essere «perfetto», come non può essere perfetta alcuna analisi che tenti di fare stime per un futuro che è ancora lontano decenni, ma che è comunque uno strumento utile per il decisore, cioè la politica. Nel corso dell’audizione, Ponti ha ricordato che il compito dei commissari era soltanto quello di realizzare un’analisi: la scelta di costruire o meno l’opera, sussidiandola nel caso in cui, come sostiene Ponti, non sia economicamente profittevole, rimane una scelta politica svincolata dalla loro analisi.

I commissari hanno anche difeso l’accuratezza e la metodologia dello studio. La critica più diffusa, infatti, riguarda proprio quest’ultima: una delle principali voci tra i “costi” dell’opera è rappresentata dal calo delle accise e dei pedaggi autostradali, che causerà una perdita allo stato e ai concessionari delle autostrade. Se infatti la TAV avesse un grande successo, ipotizzano gli autori dello studio, il numero di autoveicoli in circolazione sulle strada si ridurrebbe. Di pari passo si ridurrebbe il consumo di carburante e quindi le entrate fiscali che le tasse sui carburanti rappresentano per lo Stato; e diminuirebbero anche gli incassi dei concessionari autostradali.

Secondo la relazione, quindi: «Il costo da sopportare in caso di realizzazione del progetto non è rappresentato dalla somma dei soli costi di investimento e di gestione; a questi devono infatti essere sommate le minori accise che portano il bilancio complessivo da 10 a 11,6 miliardi (flussi attualizzati) nello scenario “realistico” e a 16 miliardi in quello “Osservatorio 2011”». L’analisi, in ogni caso, rimarrebbe negativa anche senza considerare il costo delle accise e dei pedaggi.

Secondo alcuni critici le diminuzione del consumo di carburante dovrebbe essere considerata un guadagno, non un costo, mentre i danni subiti dai concessionari autostradali non dovrebbero nemmeno essere inclusi nell’analisi. Così come dovrebbero essere inclusi i risparmi prodotti dal minor numero di incidenti stradali e dal ridotto inquinamento (secondo la commissione, però, quest’ultima riduzione sarebbe trascurabile: pari allo 0,5 per cento delle emissioni italiane nel periodo preso in considerazione).

La questione delle accise, che era già emersa in alcuni indiscrezioni di stampa nelle scorse settimane, ha prodotto una polemica spicciola e spesso ironica sui social network e nelle dichiarazioni degli esponenti politici favorevoli alla TAV. In realtà il tema è molto serio e produce da anni un vero e proprio dibattito tra gli accademici. Pierluigi Coppola, l’unico dei sei commissari a non firmare la relazione, ha detto che è stato proprio il modo con il quale le accise erano state incluse nell’analisi a non convincerlo.

Per quanto discusso, però, questo metodo non è completamente assurdo (sul sito LaVoce.info gli autori dell’analisi hanno spiegato le ragioni dell’utilizzo di questo metodo in risposta a un altro articolo scritto da colleghi con un’opinione opposta). A questo proposito, Ponti e il suo collega Francesco Ramella ricordano spesso che la diminuzione delle accise era già stata inclusa e senza suscitare scandalo nell’unica altra vera e propria analisi costi-benefici realizzata fino a oggi, quella del 2011 (che era giunta a conclusioni opposte).

Infine, nella bibliografia della relazione pubblicata ieri è presente un lungo elenco di fonti che Ponti e i suoi colleghi hanno utilizzato per spiegare il modo con il quale hanno conteggiato accise e pedaggi nella loro analisi. La conclusione di molti – favorevoli e contrari – è che l’analisi costi-benefici coinvolga temi e soggetti molto diversi, con interessi variegati, a volte sovrapposti e a volte contraddittori, e che quindi possa dare strumenti utili per prendere una decisione politica, ma non possa sostituirsi a una decisione politica.