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  • Venerdì 7 dicembre 2018

L’incerto futuro di Benjamin Netanyahu

Il primo ministro israeliano è diventato sinonimo di potere e stabilità, ma potrebbe essere presto incriminato per corruzione e frode: con le elezioni dietro l'angolo

Benjamin Netanyahu (GALI TIBBON/AFP/Getty Images)
Benjamin Netanyahu (GALI TIBBON/AFP/Getty Images)

Per la terza volta dall’inizio dell’anno, la polizia israeliana ha raccomandato alla magistratura l’incriminazione del primo ministro Benjamin Netanyahu per frode e corruzione. Se il procuratore generale dovesse accogliere la richiesta della polizia, Netanyahu, il politico più popolare e potente di Israele, potrebbe diventare il primo capo di governo israeliano in carica a dover affrontare accuse così gravi. Ma non solo: per Israele si aprirebbe una fase di grande incertezza, che potrebbe complicarsi ancora di più nel caso in cui venissero convocate elezioni anticipate e Netanyahu riuscisse a ottenere il suo quinto mandato da primo ministro. La sua vittoria è molto probabile, stando agli attuali sondaggi.

Le accuse contro Netanyahu

Le accuse contro Netanyahu fanno riferimento a tre casi diversi, nessuno dei quali ha portato finora a un’incriminazione formale del primo ministro israeliano.

Il primo caso coinvolge un produttore di Hollywood, Arnon Milchan, e un miliardario australiano, James Packer. Secondo l’accusa, Netanyahu e sua moglie avrebbero ricevuto regali dal valore di centinaia di migliaia di dollari da Milchan e Packer, recapitati direttamente nella residenza del primo ministro a Gerusalemme. In cambio Netanyahu avrebbe esteso per dieci anni un’esenzione fiscale diretta agli israeliani espatriati che rientrano in Israele, misura da cui avrebbe tratto beneficio lo stesso Milchan (Packer non avrebbe invece ricevuto nulla): il ministero delle Finanze israeliano ha poi bloccato il provvedimento, sostenendo che fosse contrario all’interesse nazionale e che non avesse solide basi fiscali.

Il secondo caso coinvolge l’editore Arnon Mozes, proprietario di Yedioth Ahronoth, uno dei principali giornali israeliani; Sheldon Adelson, un magnate del casinò di Las Vegas, sostenitore di Netanyahu e finanziatore di Israel Hayom, giornale israeliano rivale di Yedioth Ahronoth; e Ari Harow, ex capo dello staff del primo ministro. Secondo l’accusa, Netanyahu avrebbe discusso con Mozes la possibilità di usare la propria influenza con Adelson per limitare la circolazione di Israel Hayom, giornale che da molto tempo sostiene gli interessi del primo ministro. In cambio Yediot Ahronot avrebbe trattato in maniera più favorevole Netanyahu e il suo governo. La proposta fu discussa per telefono – le conversazioni furono registrate da Ari Harow – ma non fu mai messa in pratica.

Il terzo caso coinvolge Shaul Elovitch, importante imprenditore del mondo dei media e amico di Netanyahu; Shlomo Filber, direttore generale del ministero delle Comunicazioni; e Nir Hefetz, consigliere della famiglia Netanyahu nel campo delle pubbliche relazioni. Secondo l’accusa, Netanyahu, che dal 2014 al 2017 ricoprì sia la carica di primo ministro che quella di ministro delle Comunicazioni, avrebbe aiutato Elovitch a compiere una manovra illecita. La storia è questa: per diverso tempo Elovitch condivise la proprietà della rete satellitare Yes con Bezeq, la più grande compagnia di telecomunicazioni israeliana. Nel 2010 Elovitch acquistò la maggioranza delle azioni di Bezeq, ma negli anni successivi si indebitò parecchio. Nel 2015 fece sì che Bezeq acquistasse Yes per un valore molto maggiore rispetto a quello che gli attribuivano valutazioni indipendenti, forse con l’aiuto proprio di Netanyahu. Elovitch è inoltre proprietario di Walla news, un popolare sito di news israeliano: secondo l’accusa, Elovitch e Hefetz assicurarono una copertura favorevole di Netanyahu e sua moglie su Walla news, tacendo le critiche ed esaltando i commenti lusinghieri.

Il dilemma del procuratore generale e la questione delle elezioni

In teoria, ha scritto il New York Times, la decisione di incriminare o meno Netanyahu dovrebbe essere presa solo sulla base delle leggi vigenti e delle prove fornite dalla polizia. Nella realtà, sostengono diversi analisti, le cose non sono così semplici e ci sono diverse valutazioni politiche che potrebbero condizionare l’intero processo.

La parola finale sull’incriminazione spetta a Avichai Mandelblit, procuratore generale israeliano una volta considerato molto vicino a Netanyahu. Mandelblit ha approvato e supervisionato le indagini della polizia sul primo ministro e ha incriminato Sarah Netanyahu, la first lady, di uso improprio di 100mila dollari di fondi pubblici (accusa per la quale Sarah Netanyahu è sotto processo). La posizione di Mandelblit è molto delicata: è «la persona che si trova nella posizione più difficile di tutti, al di là di Netanyahu», ha detto Shmuel Sandler, esperto di processi elettorali all’Università Bar-Ilan, vicino a Tel Aviv. Mandelblit sta subendo pressioni di ogni tipo: alcuni sostengono che debba essere certo di avere prove solidissime, prima di accusare un primo ministro eletto e molto popolare; altri gli chiedono invece di fare in fretta, per anticipare una nuova eventuale vittoria di Netanyahu alle prossime elezioni, che sono fissate per novembre 2019 ma che probabilmente verranno anticipate. La questione delle elezioni è centrale per capire cosa succederà.

Della possibilità di anticipare le prossime elezioni in Israele si parla insistentemente da metà novembre, cioè da quando il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha annunciato le sue dimissioni e ha confermato il ritiro del suo partito, Israel Beytenu, dalla coalizione di governo, lasciando Netanyahu con una maggioranza parlamentare di un solo seggio.

Le elezioni anticipate erano state chieste da Lieberman, ma l’idea sembra poter essere condivisa oggi anche dallo stesso Netanyahu, che potrebbe cercare la rielezione per affrontare in una posizione di forza l’eventuale incriminazione decisa dal procuratore Mandelblit. Da un punto di vista legale, Netanyahu potrebbe ricoprire di nuovo l’incarico di primo ministro anche nel caso in cui fosse incriminato, sempre che non si arrivi nel frattempo a una sentenza definitiva. Una possibilità potrebbe essere quella di un intervento della Corte suprema israeliana, che potrebbe forzare Netanyahu a dimettersi. In passato la Corte aveva stabilito che un ministro accusato di un crimine aveva l’obbligo di rinunciare al suo incarico: la stessa decisione potrebbe essere presa anche nei confronti di un primo ministro, ma non ci sono certezze al riguardo e per il momento quella dell’intervento della Corte suprema è solo un’ipotesi.

Da un punto di vista politico, Netanyahu sembra invece poter contare su un ampio appoggio popolare e forse anche su quello dei suoi tradizionali alleati di destra. Da tempo il primo ministro cerca di garantirsi un ampio sostegno usando un argomento che va molto forte nella destra israeliana: ricorda come nel 1992 l’allora governo conservatore fu fatto cadere da alcuni partiti di destra che facevano parte della coalizione, evento che portò al potere quella sinistra israeliana che fu responsabile degli accordi di Oslo con i palestinesi, considerati da Netanyahu e da molti altri suoi alleati come una specie di tragedia nazionale. Netanyahu sostiene da tempo che una caduta del suo governo potrebbe comportare l’arrivo al potere delle sinistre, in un momento molto delicato per i rapporti di Israele con i palestinesi e con l’Iran. Di nuovo, però, è difficile dire se il consenso su Netanyahu rimarrà invariato anche dopo una sua eventuale incriminazione.

Cosa se ne dice

Le opinioni su questa vicenda sono molte e molto diverse tra loro. Secondo alcuni, come Alan Dershowitz, noto avvocato e docente di Legge all’Università di Harvard, le accuse contro Netanyahu, soprattutto quelle che si riferiscono a presunti tentativi di influenzare la stampa, sono difficilmente provabili e non dovrebbero nemmeno essere giudicate dalla magistratura: «Se agli israeliani non piace quello che [Netanyahu] sta facendo, possono votargli contro. Se a loro non piace come un certo quotidiano o sito di news segue una notizia, possono scegliere di leggere un altro media. Ma criminalizzare queste differenze politiche significa mettere a rischio la democrazia e la libertà di stampa», ha scritto Dershowitz.

Di opinione diversa è invece Haaretz, quotidiano vicino alla sinistra israeliana, che dopo le raccomandazioni della polizia ha scritto che «è inconcepibile che [Netanyahu] rimanga in carica. […] Netanyahu deve dimettersi immediatamente e devono essere convocate nuove elezioni». Haaretz ha scritto che nonostante il primo ministro abbia tutto il diritto di difendersi dalle accuse che gli vengono rivolte, la grande quantità di raccomandazioni elaborate dalla polizia contro di lui «va oltre i confini del ragionevole». «I tentativi dei membri del partito di Netanyahu, il Likud, di minimizzare la gravità delle raccomandazioni della polizia è vergognoso. C’è un limite a quante volte sia possibile giocare le carte del “colpo di stato” e della “cospirazione”».

La maggior parte degli osservatori, comunque, è d’accordo nel ritenere imprevedibili le conseguenze di una eventuale incriminazione formale contro Netanyahu. Molto dipenderà probabilmente dalle tempistiche. Prima di essere incriminato, Netanyahu ha il diritto di discutere il suo caso in un’udienza di fronte alle autorità: diversi analisti credono che per Netanyahu il momento migliore per avere elezioni anticipate potrebbe essere dopo questa udienza e prima che il procuratore generale decida sulla sua incriminazione. In questo caso, se dovesse vincere le elezioni, potrebbe affrontare i procedimenti a suo carico da una nuova posizione di forza, cioè come primo ministro neo-eletto.