• Mondo
  • Domenica 7 ottobre 2018

Le novità sul caso del giornalista saudita scomparso in Turchia

Secondo molte fonti dei giornali americani Jamal Khashoggi sarebbe stato ucciso nel consolato saudita di Istanbul, ma per ora non ci sono prove

L'attivista yemenita Tawakkol Karman, premio Nobel per la pace del 2011, durante una protesta per la liberazione del giornalista saudita Jamal Khashoggi davanti al consolato dell'Arabia Saudita a Istanbul, il 5 ottobre 2018 (Chris McGrath/Getty Images)
L'attivista yemenita Tawakkol Karman, premio Nobel per la pace del 2011, durante una protesta per la liberazione del giornalista saudita Jamal Khashoggi davanti al consolato dell'Arabia Saudita a Istanbul, il 5 ottobre 2018 (Chris McGrath/Getty Images)

Secondo le autorità turche, il giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi – scomparso a Istanbul il 2 ottobre dopo essere entrato nel consolato del proprio paese – sarebbe stato ucciso. Lo hanno detto fonti anonime legate all’indagine al Washingon Post (giornale con cui Khashoggi collaborava), all’agenzia di stampa Reuters e al New York Times, spiegando che l’omicidio sarebbe avvenuto dentro all’edificio. L’unica forma di smentita da parte dell’Arabia Saudita finora è stato un comunicato diffuso dall’agenzia di stampa di stato, che cita un funzionario del consolato non identificato, che ha definito «senza fondamento» gli articoli pubblicati dai quotidiani americani.

Jamal Khashoggi è un giornalista saudita che scrive per il Washington Post e che è stato spesso critico verso la politica estera dell’Arabia Saudita, soprattutto riguardo al boicottaggio del Qatar, alla crisi con il Canada e alla guerra in Yemen. Khashoggi, che ha 59 anni e per molto tempo è stato vicino all’élite politica saudita, decise di lasciare il suo paese per trasferirsi negli Stati Uniti dopo che nel giugno 2017 il principe Mohammed bin Salman divenne primo in linea di successione al trono di suo padre, l’82enne Re Salman, e quindi di fatto la persona che comanda in Arabia Saudita. Di recente Khashoggi si è schierato contro le campagne di arresti di attivisti e dissidenti politici e le repressioni delle libertà individuali decise da Mohammed bin Salman. Per questo temeva di essere arrestato in caso di ritorno in Arabia Saudita.

Al momento della sparizione Khashoggi, che da qualche anno vive in un esilio auto-imposto negli Stati Uniti, era in Turchia per sposarsi con la sua compagna, una donna turca di nome Hatice Cengiz. Martedì era andato al consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul per risolvere delle questioni burocratiche legate al matrimonio; era già stato al consolato il 28 settembre. Prima di entrare aveva lasciato il proprio cellulare alla compagna dicendole di essere preoccupato che lo avrebbero trattenuto: per questo le aveva detto di chiamare un politico turco del partito del presidente Recep Tayyip Erdoğan, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), nel caso non fosse uscito dall’edificio. Dopo quattro ore Cengiz aveva chiamato la polizia.

Il consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, il 5 ottobre 2018 (Chris McGrath/Getty Images)

Nessuna delle fonti turche secondo cui Khashoggi sarebbe stato ucciso ha fornito delle prove, né ha spiegato come sarebbe avvenuto l’omicidio. Le uniche dichiarazioni ufficiali da parte della Turchia sul caso sono state quella fatta dal governo sabato, in cui è stata annunciata l’apertura di un’indagine sulla scomparsa del giornalista saudita, e una fatta domenica dal vicepresidente dell’AKP Yasin Aktay che ha detto alla CNN che Khashoggi non è mai uscito dal consolato saudita e che gli investigatori turchi hanno informazioni certe sulla questione.

Il giornalista di Al Jazeera Jamal Elshayyal dice che non sono circolate notizie su dove sarebbe il corpo di Khashoggi, ma ai giornalisti è stato detto che «nei prossimi due o tre giorni si terrà un funerale». Karen Attiah, collega di Khashoggi al Washington Post, ha scritto su Twitter un messaggio che sembra indicare che al giornale considerino attendibile la versione delle autorità turche.

L’analista turca Asli Aydintasbas, membro del think tank European Council on Foreign Relations, ha detto di essere stata informata da un funzionario governativo della morte di Khashoggi, di cui gli investigatori sono convinti anche in assenza di prove certe. Turan Kislakci, capo della Turkish Arab Media Association e amico di Khashoggi, ha detto al New York Times di essere stato informato a sua volta della morte del giornalista saudita da funzionari governativi: «Mi hanno confermato due cose: che è stato ucciso e che il suo corpo è stato smembrato». Anche una delle fonti anonime del New York Times, un funzionario governativo saudita, ha detto la stessa cosa.

Sabato mattina l’agenzia di stampa turca Anadolu ha riferito che 15 cittadini sauditi, tra cui alcuni diplomatici, erano arrivati a Istanbul su due voli diversi e avevano raggiunto il consolato più o meno alla stessa ora di Khashoggi, martedì, per poi tornare nei paesi da cui erano venuti. Secondo le fonti dei giornali americani vicine all’indagine turca, queste persone sarebbero gli agenti mandati dal governo saudita per uccidere Khashoggi. Secondo alcuni l’omicidio del giornalista sarebbe stato premeditato, ma è anche possibile, posto che Khashoggi sia davvero morto, che l’intento iniziale dell’Arabia Saudita fosse semplicemente di intimidirlo, spiega il New York Times.

Sempre sabato il console saudita a Istanbul, Mohammad al Otaibi, ha fatto entrare i giornalisti di Reuters nel consolato e ha fatto fare loro un giro della struttura per dimostrare che Khashoggi non si trovava al suo interno.