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  • Sabato 11 agosto 2018

C’è una crisi diplomatica tra Canada e Arabia Saudita

Ma secondo gli esperti è soprattutto simbolica, e serve a Muhammad bin Salman per lanciare un segnale agli altri paesi occidentali

La sede dell'ambasciata canadese in Arabia Saudita a Riad, il 7 agosto 2018 (NASSER AL-HARBI/AFP/Getty Images)
La sede dell'ambasciata canadese in Arabia Saudita a Riad, il 7 agosto 2018 (NASSER AL-HARBI/AFP/Getty Images)

Da ormai più di una settimana è in corso una crisi diplomatica tra Arabia Saudita e Canada, la cui ultima conseguenza è stato l’ordine di rimpatrio per i 15mila studenti sauditi che frequentano università canadesi e per gli 800 medici e specializzandi sauditi che lavorano negli ospedali canadesi. Tutto è cominciato quando lo scorso 2 agosto la ministra degli Esteri canadese Chrystia Freeland ha espresso su Twitter la sua preoccupazione per l’arresto dell’avvocata e attivista per i diritti delle donne Samar Badawi, invitando l’Arabia Saudita a liberare sia lei che suo fratello, il blogger Raif Sadawi, condannato nel 2014 a dieci anni di carcere e mille frustate. Da allora l’Arabia Saudita ha espulso l’ambasciatore del Canada, richiamato il proprio dal paese e sospeso tutti i voli da e per Toronto della compagnia aerea di bandiera, la Saudi Arabian Airlines.

Dopo il tweet di Freeland il profilo Twitter del ministero degli Esteri canadese aveva ripetuto l’invito all’Arabia Saudita a liberare i fratelli Badawi. Quello dell’ambasciata canadese in Arabia Saudita aveva poi diffuso lo stesso messaggio tradotto in arabo. L’account del ministero degli Esteri saudita aveva allora risposto scrivendo: «La posizione canadese è un’aperta e sfacciata interferenza negli affari interni del regno saudita e contravviene alle più elementari leggi internazionali e a tutte le carte che regolano le relazioni tra stati». Aveva poi aggiunto: «Qualunque altro passo il Canada faccia in questa direzione sarà considerato un riconoscimento del nostro diritto di interferire con gli affari interni del Canada».

Nonostante questo avvertimento – ripetuto in modi più minacciosi e molto criticati anche da un altro account Twitter legato al governo saudita, che poi ha cancellato i tweet – Freeland ha confermato la sua posizione. Mercoledì il primo ministro canadese Justin Trudeau ha pubblicamente rifiutato di ritirare gli appelli del Canada a liberare i Badawi e ha detto che il suo paese continuerà a difendere i diritti umani nel mondo. Proprio il Canada nel 2013 aveva accolto Ensaf Haidar, la moglie di Raif Badawi, e i loro tre figli dopo l’arresto del blogger: a luglio hanno ricevuto la cittadinanza canadese.

Secondo gli esperti di Arabia Saudita, però, la crisi diplomatica in corso ha poco a che fare con il Canada: la reazione ai tweet sui Badawi sarebbe solo un messaggio diretto ai governi occidentali per ribadire che il paese non accetta critiche sulle proprie scelte di politica interna. Bessma Momani, una docente di scienze politiche dell’Università di Waterloo, in Canada, ha detto al Guardian che il Canada è un «bersaglio facile» perché ha limitati rapporti economici con l’Arabia Saudita, e perché è molto probabile che gli Stati Uniti, il cui presidente Donald Trump ha più volte criticato Trudeau, non interverranno in sua difesa.

Gli scambi commerciali tra Arabia Saudita e Canada ammontano a soli 2,6 miliardi di euro all’anno. Finora i mercati finanziari non hanno dato segno di essere stati influenzati dalla crisi diplomatica tra i due paesi, nonostante siano girate delle voci secondo cui la Kingdom Holding Company, la più grande holding saudita, avrebbe venduto il suo 47,5 per cento della catena di hotel di lusso canadese Four Seasons. Il Canada compra il 10 per cento del petrolio greggio che importa dall’Arabia Saudita, ma anche se la crisi arrivasse a influenzare il mercato del petrolio (e per ora il ministro dell’Energia saudita lo ha escluso) potrebbe rivolgersi agli Stati Uniti per rimpiazzare quello saudita oppure prelevarlo dai propri giacimenti.

Per ora le più rilevanti conseguenze concrete della crisi diplomatica sono quelle per gli studenti e i medici sauditi che dovranno lasciare il Canada entro il primo settembre. Si stima che l’anno scorso abbiano contribuito all’economia canadese per una somma compresa tra 667 milioni e un miliardo di euro, ma l’effetto della loro partenza sarà minimo dato che possono essere sostituiti da altri stranieri. L’unica possibile conseguenza davvero significativa per l’economia canadese sarebbe la cancellazione di un accordo per la vendita di 13 miliardi di euro di carri armati leggeri, firmato nel 2014.

Sul New Yorker la giornalista Robin Wright, esperta di paesi arabi, ha analizzato gli sviluppi nella crisi diplomatica tra Arabia Saudita e Canada spiegando come vada interpretato l’atteggiamento saudita alla luce delle altre decisioni di politica estera prese negli ultimi anni dal governo di Riad. Il conflitto diplomatico con il Canada sarebbe l’ultima e più pronunciata dimostrazione di insofferenza alle critiche straniere di Muhammad bin Salman, il principe saudita erede al trono, spesso chiamato dai giornali “MbS”, che di fatto è diventato la persona che comanda in Arabia Saudita. È possibile che il sostegno di Trump all’Arabia Saudita – il primo paese in cui è andato in visita ufficiale dopo la sua elezione – abbia incoraggiato il principe a costruire una nuova immagine del paese sul piano internazionale, oltre che all’interno.

In politica interna, nonostante provvedimenti apparentemente progressisti come la concessione del diritto alla guida per le donne, il governo saudita ha continuato a reprimere la libertà di espressione e di religione, a permettere torture e arresti arbitrari, a discriminare le donne, a considerare illegali i rapporti omosessuali e a rifiutare elezioni democratiche. Jamal Khashoggi, un giornalista saudita in esilio negli Stati Uniti, ha detto a Wright che bin Salman è già diventato il più autoritario leader saudita dal 1953, quando morì il fondatore della moderna Arabia Saudita, il re Ibn Saud.

Per quanto riguarda la politica estera, che bin Salman controllava da prima della sua nomina a principe ereditario come ministro degli Esteri, ha deciso interventi molto più rilevanti della crisi diplomatica con il Canada e con conseguenze molto maggiori. Nel 2015 lanciò l’intervento militare in Yemen, che ha causato una delle più gravi crisi umanitarie attualmente in corso nel mondo. Nel 2017 decise di isolare il Qatar, che è tuttora sotto l’embargo imposto da Arabia Saudita (l’unico stato con cui confina), Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto, e fece pressioni al primo ministro libanese Saad Hariri per costringerlo a dare le dimissioni.

Secondo Wright un possibile movente dello scontro con il Canada potrebbe essere una strategia di bin Salman per dissuadere altri paesi dal sostenere il proseguimento di un’indagine delle Nazioni Unite sui presunti abusi sauditi in Yemen, tra cui attacchi aerei in cui sono morti molti civili – ce n’è stato uno solo due giorni fa. Il mese prossimo a New York si terrà l’assemblea generale delle Nazioni Unite.