La vita dei braccianti della Piana di Gioia Tauro

La giornalista Daniela Sala ha raccontato la difficile condizione dei lavoratori stranieri nella zona di Rosarno, tra lo sfruttamento del lavoro e la burocrazia dei permessi di soggiorno

Un momento della protesta dei migranti lavoratori agricoli dopo l'omicidio di Soumaila Sacko, migrante maliano di 29 anni, a San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria, 4 giugno 2018 (ANSA/ MARCO COSTANTINO)
Un momento della protesta dei migranti lavoratori agricoli dopo l'omicidio di Soumaila Sacko, migrante maliano di 29 anni, a San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria, 4 giugno 2018 (ANSA/ MARCO COSTANTINO)

La giornalista Daniela Sala ha raccontato sul sito di Open Migration chi sono i braccianti che vivono e lavorano nella Piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria. Sala ha parlato con diversi lavoratori stranieri – che oggi vengono per lo più dal Ghana, dal Mali, dal Senegal, dalla Costa d’Avorio e dalla Nigeria – e con alcuni sindacalisti che da tempo provano a contrastare lo sfruttamento e migliorare le condizioni di vita dei braccianti. Ha raccontato della difficile situazione di molti lavoratori, la stragrande maggioranza dei quali in attesa di ricevere un permesso di soggiorno o una risposta definitiva alle richieste di protezione internazionale, e ha raccontato la vita nelle tendopoli di San Ferdinando, a lato di Rosarno, dove molti braccianti si fermano senza avere alternative migliori su dove andare.

I primi a venire qui in cerca di lavoro – negli anni Sessanta e Settanta – sono stati gli italiani. Poi sono arrivati i marocchini e i polacchi. Oggi invece a Rosarno ci lavorano soprattutto i richiedenti asilo: persone che abbandonano i centri di accoglienza perché hanno bisogno di lavorare e sono stanche di aspettare. Oppure persone allontanate dai centri di accoglienza dopo il diniego della commissione territoriale alla loro domanda di asilo.

I lavoratori stagionali, impiegati soprattutto in inverno nella raccolta degli agrumi, ora vengono dal Mali, dal Ghana, dal Gambia, dal Senegal, dalla Costa d’Avorio, dalla Nigeria.

Secondo i dati raccolti dalla clinica mobile di Medici per i Diritti Umani, Medu, il 67,8 per cento è in Italia da meno di tre anni. La situazione giuridica, l’alloggio, la condizione lavorativa: a Rosarno tutto è precario – ma lo sfruttamento è lo stesso per tutti i lavoratori stranieri: 25 euro al giorno per 8 -10 ore di lavoro. Oppure a cottimo: 1 euro a cassetta per i mandarini, 50 centesimi per le arance. Cifra da cui bisogna sottrarre il “pizzo” dovuto ai caporali: 3 euro per il trasporto e 3 per un panino e l’acqua, almeno stando ai dati che ci ha comunicato Flai-Cgil .

E sempre più migranti (circa 700 quest’anno, secondo le stime di Usb e Flai) decidono di fermarsi qui tutto l’anno, anche in estate: chi perché è in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno presso la questura di zona, chi perché ha poca speranza di trovare lavoro altrove e non vuole sprecare i soldi del viaggio.

Continua a leggere su Open Migration