• Mondo
  • Mercoledì 28 giugno 2017

Un elicottero ha lanciato delle granate sulla Corte Suprema del Venezuela

Il presidente Maduro ha parlato di un attacco terroristico e di un tentato colpo di stato e ha accusato un ex comandante della polizia

Ieri alle 18 ora locale del Venezuela (in Italia era mezzanotte) un elicottero ha lanciato quattro granate e sparato alcuni colpi di arma da fuoco sulla Corte Suprema venezuelana, a Caracas. Poco prima lo stesso elicottero aveva sparato 15 colpi contro l’edificio del ministero degli Interni, dove si stava tenendo una festa con una ottantina di invitati. Il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha detto che nell’attacco non è rimasto ferito nessuno e ha definito quello che è successo un “atto di terrorismo”, denunciando il rischio di un colpo di stato contro il suo governo. Secondo Maduro, l’elicottero era pilotato da Oscar Pérez, ex comandante della CICPC, la principale forza di polizia venezuelana.

Sui social network è circolato anche un video dell’attacco, che mostra un piccolo elicottero volare in cerchio sopra l’edificio della Corte Suprema: poi si sentono una forte esplosione e diversi colpi di arma da fuoco. L’elicottero è della CICPC, la stessa forza di polizia per la quale aveva lavorato Pérez, e secondo il governo era stato rubato. In altri video e foto dell’attacco si vede un uomo a bordo dell’elicottero con uno striscione che dice “Libertà. Articolo 350”, in riferimento a un articolo della Costituzione venezuelana che garantisce il diritto di resistenza ai cittadini contro governi antidemocratici o che violino i diritti umani. I video diffusi online sembrano confermare che almeno una delle granate lanciate sia esplosa, anche se Maduro lo ha negato.

Pérez, che in passato aveva lavorato anche al ministero di Giustizia, è comparso in un video diffuso poco prima dell’attacco ed diretto esplicitamente contro Maduro. Nel video, Pérez è vestito da soldato davanti a quattro uomini armati con fucili militari. Dice di parlare a nome dello stato e per conto di «una coalizione di soldati, poliziotti e civili in cerca di un equilibrio e contro questo governo criminale», aggiungendo che «questa lotta non è contro le altre forze di sicurezza. È contro l’impunità imposta dal governo. Contro la tirannia. Contro la morte dei giovani che combattono per i loro diritti». Dopo l’attacco, ha confermato Maduro, Pérez è riuscito a scappare e ora è ricercato dalla Guardia Nazionale venezuelana.

Dopo l’attacco – che BBC definisce “estremo anche per gli standard venezuelani” – c’è stato un altro momento di tensione intorno all’Assemblea Nazionale, il Parlamento del Venezuela che dal 2015 è controllato dall’opposizione: decine di manifestanti vicini al governo hanno circondato gli ingressi e per diverse ore hanno impedito a parlamentari e politici di entrare o lasciare il palazzo, facendo esplodere anche alcune bombe artigianali. La situazione si è poi risolta, ma il giornale venezuelano El Nacional ha scritto che i soldati della Guardia Nazionale a difesa del Parlamento hanno lasciato che i manifestanti facessero quello che volevano, senza intervenire.

Al momento non è chiaro se Pérez abbia il sostegno delle forze armate o se il suo sia stato solo un gesto isolato. In Venezuela da alcune settimane si sono inaspriti gli scontri tra il governo socialista di Maduro e la sempre più ampia opposizione, e più di 75 persone sono morte durante le ultime proteste anti-governative. Poche ore prima dell’attacco alla Corte Suprema, Maduro aveva parlato della volontà di continuare la cosiddetta rivoluzione bolivariana (quella iniziata da Chavez e che prende il nome dal rivoluzionario Simón Bolívar, che nell’Ottocento lottò per l’indipendenza del Venezuela) con le armi, se non fosse più riuscito a continuarla con i voti, e aveva chiesto ai suoi sostenitori di intervenire se gli fosse successo qualcosa. Ieri in Venezuela – dove l’economia va malissimo e ormai cronicamente mancano beni di prima necessità – ci sono stati alcuni dei peggiori saccheggi degli ultimi mesi: decine di negozi sono stati attaccati e derubati nella città di Maracay, circa 100 chilometri di da Caracas.