Mike Pence, Tim Kaine e la giornalista Elaine Quijano. (Joe Raedle/Getty Images)

Pence ha mostrato a Trump come si fa

Il candidato vicepresidente del Partito Repubblicano ha vinto il confronto televisivo – probabilmente ininfluente – con Tim Kaine, candidato vice di Hillary Clinton

La sera di martedì 4 ottobre – in Italia erano le tre del mattino del 5 ottobre – i due principali candidati alla vicepresidenza degli Stati Uniti si sono confrontati in tv nel secondo dibattito della campagna elettorale in vista delle elezioni dell’8 novembre. Il senatore Tim Kaine del Partito Democratico, candidato vice di Hillary Clinton, e il governatore Mike Pence del Partito Repubblicano, candidato vice di Donald Trump, hanno discusso alla Longwood University di Farmville, Virginia, moderati da Elaine Quijano, giornalista di CBS News.

È stato un dibattito agitato, tra due candidati che si sono parlati sopra più volte, ma allo stesso tempo privo di momenti particolarmente significativi o memorabili; si è parlato molto di temi che non sono in cima alla lista delle priorità degli elettori statunitensi, come la politica estera o il debito pubblico; sia Pence che Kaine erano evidentemente più interessati ad attaccare il candidato presidente avversario che a difendere il proprio e rispondere alle domande della moderatrice. Di solito, poi, i dibattiti tra i candidati alla vicepresidenza non hanno nessun impatto concreto sulla campagna elettorale e non fanno cambiare idea agli americani, neanche in casi di momenti memorabili come il «You’re no Jack Kennedy» di Lloyd Bentsen contro Dan Quayle nel 1988. Detto tutto questo, l’impressione praticamente unanime dei giornalisti – confermata dai primi sondaggi e focus group – è che Mike Pence abbia nettamente vinto il confronto.

Tim Kaine aveva cominciato bene, anticipando la prevedibile domanda sull’affidabilità e la sincerità di Hillary Clinton e ricordando che suo figlio è un marine in missione oltreoceano, e quindi che sostenendo Clinton lui e sua moglie sono pronti ad affidarle la cosa più importante che hanno, mentre «il pensiero di vedere Donald Trump a capo delle forze armate ci spaventa a morte».

Da lì in poi Kaine ha aumentato la veemenza degli attacchi contro Trump, a volte affastellandone più di uno nella stessa risposta: Kaine ha chiesto a Pence se voleva difendere le cose che Trump ha detto sui messicani, sulle donne o su Vladimir Putin, o «l’oltraggiosa bugia» per cui Barack Obama non sarebbe nato negli Stati Uniti, a volte in una sola frase. Inoltre ha interrotto moltissimo Pence, più di quanto Trump avesse interrotto Clinton nel dibattito della settimana scorsa: quando Pence ha citato l’invasione russa della Crimea, Kaine è intervenuto per dire «Voi amate la Russia!»; quando Pence ha elogiato le capacità imprenditoriali di Trump, Kaine lo ha interrotto dicendo «non paga le tasse e ha perso comunque un miliardo in un anno».

Le interruzioni continue sono sembrate a volte un po’ pretestuose: quando Pence a un certo punto ha parlato dell’11 settembre 2001, raccontando che si trovava a Washington durante gli attentati, Kaine lo ha interrotto goffamente per dire: «E io ero in Virginia, dove c’è il Pentagono».

Kaine è sembrato a tratti avere troppo materiale e battute pronte contro Trump, e i suoi attacchi e le sue interruzioni non sono stati efficacissimi anche per via della pacatezza spontanea con cui reagiva Pence, che ha esperienza radiofonica ed è sembrato molto a suo agio nel trovare il giusto tono e nel rivolgersi agli elettori guardando direttamente in camera. Pence ha definito la campagna elettorale di Clinton e Kaine «una valanga di insulti», altre volte ha risposto a battute particolarmente artefatte di Kaine dicendo cose tipo «quella mi è piaciuta» o «quanto l’hai provata quella risposta?». È successo per esempio quando Kaine ha detto che Trump venera «un suo personale Monte Rushmore del Male» con sopra le facce di Vladimir Putin, Kim Jong-un, Muammar Gheddafi e Saddam Hussein.

Pence non è stato davvero messo in difficoltà nemmeno quando gli è stato chiesto conto di alcune delle cose che ha detto o fatto Trump in campagna elettorale, e questo perché ha adottato una strategia in qualche modo estrema: negare che siano mai avvenute. Incalzato dal solo Kaine – che però incalzava su tutto, perdendo efficacia – e mai dalla moderatrice del confronto, Pence ha detto per esempio che Trump non ha mai insultato nessuno durante la campagna elettorale (falso), che Trump non intende espellere in massa tutti gli immigrati irregolari presenti negli Stati Uniti (falso), che Trump non considera Vladimir Putin un leader migliore di Barack Obama (falso), che Trump non intende punire le donne che abortiscono (falso), che ha usato la sua fondazione solo per scopi caritatevoli (falso). Pence ha anche fatto sue promesse e proposte che Trump non ha mai apertamente sostenuto, come la necessità di bombardare le forze di Assad in Siria e di riformare la giustizia penale.

Altre volte, invece, Pence si è detto d’accordo con Kaine (per esempio su come migliorare la polizia) o ne ha elogiato la fede religiosa: in generale Pence ha più volte adottato la strategia di dire una cosa positiva sui Democratici – per esempio apprezzando il fatto che Osama bin Laden sia stato ucciso durante gli anni di Obama – per poi attaccare i Democratici da una posizione apparentemente più equa. Il momento più delicato per Pence è arrivato invece prevedibilmente quando si è parlato di tasse, dato che Trump è il primo candidato in decenni a non aver diffuso le sue dichiarazioni dei redditi e il New York Times la settimana scorsa ha scoperto che potrebbe aver sfruttato le leggi per evitare di pagare tasse federali per vent’anni. Pence ha detto che Trump non ha violato le leggi e il fatto che sia riuscito a non pagare le tasse è una dimostrazione del suo acume di imprenditore.

Forse Kaine a un certo punto ha capito di aver sbagliato tono, perché nell’ultima mezz’ora ha rallentato molto ed è sembrato più a suo agio: ma il giudizio degli addetti ai lavori – confermato dai risultati dei primi sondaggi e focus group – è che sia apparso troppo aggressivo, sovraeccitato e compiaciuto, mentre Pence abbia dato un’impressione più calma, equilibrata e rassicurante. Pence è sembrato perdere un minimo la pazienza solo alla fine del confronto, quando Kaine ha di nuovo ricordato gli insulti di Trump ai messicani e ha risposto esasperato: «Senatore, si è sparato di nuovo questa cosa dei messicani».

In generale, Pence è riuscito ad attaccare più volte Clinton con efficacia: molto più di quanto fosse riuscito a fare lo stesso Trump nel primo dibattito televisivo, quando era stato confusionario nell’esposizione dei suoi argomenti e distratto dai molti tranelli in cui l’aveva attirato Clinton. Dall’altra parte, però, qualcuno fa notare che Kaine stanotte sia stato un miglior vice di Pence: ha difeso vigorosamente Clinton su tutti i fronti, mentre Pence non lo ha fatto sempre e più volte è sembrato il vice di un candidato sobrio ed equilibrato che non esiste e con posizioni che non ha mai avuto. Alcuni l’hanno messa così: Kaine sta facendo campagna per fare il candidato vice nel 2016, Pence per fare il candidato presidente nel 2020.

Storicamente il dibattito tra i candidati alla vicepresidenza non ha alcuna conseguenza sui sondaggi – in America c’è anche chi propone di abolirlo tout court – ma la campagna elettorale di Trump potrebbe comunque trarre qualche piccolo vantaggio dal fatto che nelle prossime ore si parli della buona serata di Mike Pence e non di Alicia Machado o della faccenda delle tasse, che hanno permesso a Clinton di guadagnare diverso terreno nei sondaggi dopo il primo confronto televisivo. Inoltre, com’era accaduto per Barack Obama con Joe Biden nel 2012, la buona serata di Mike Pence fornisce a Donald Trump anche un modello da imitare, ne avesse voglia, per risultare più efficace nel prossimo confronto televisivo e non ripetere gli errori del primo dibattito: il 9 ottobre a St. Louis, in Missouri.

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