Quello normale

Un po' di buone ragioni per sperare che Roberto Giachetti diventi sindaco di Roma, malgrado tutto

Roberto Giachetti. (ANSA/GIUSEPPE LAMI)
Roberto Giachetti. (ANSA/GIUSEPPE LAMI)

Nessuno al Post vota a Roma. E sappiamo l’effetto che fa, quando qualcuno che non c’entra si immischia. E va bene, però è anche che c’entriamo, pure da quassù: abbiamo scherzato finora su come sia più eccitante la circense varietà di candidati romani rispetto all’omogenea scelta milanese, ma è anche vero che oltre ad avere diversi di noi pezzi di vite passate e attuali legati a Roma, stiamo pure parlando di una città che davvero non è dei soli romani, per diverse ragioni note e indiscutibili (anche se spostassimo la capitale).
E insomma, vista da qui, Roma è la città con più opportunità e insieme con più problemi del mondo, e quando i grillini dissero quella cosa che suonava sbilenca (“c’è un complotto per farci vincere a Roma”), in realtà dissero una cosa fondatissima, malgrado le prese in giro: la consapevolezza dell’impossibilità di governare con efficienza e successo – problema universale – a Roma ha raggiunto una condivisione quasi universale. Nessuno crede più che un sindaco possa “risolvere i problemi di Roma”: i due fattori che fanno desiderare la vittoria di un candidato o un altro sono a) lo scongiurare che vinca uno peggiore e b) il coinvolgimento tifoso con una parte. Al massimo una qualche simpatia per il prescelto, ma che non arriva nemmeno lontanamente a una illusoria fiducia in implausibili imprese. Tanto che, appunto, ormai in molti si rassegnano a che vinca pure il peggiore, così il guaio sarà suo: e se poi Virginia Raggi risolve i problemi di Roma, amo svortato.

Però, detto questo, a Roma si può votare – è ovviamente sfavorito – forse il migliore candidato sindaco di tutto il catalogo delle amministrative nelle grandi città, che è Roberto Giachetti. Persona di grande umanità e “normalità” senza essere un incompetente “cittadino prestato alla politica”, anzi: persona con lungo curriculum di impegno politico e di ruoli rilevanti nelle istituzioni nazionali, senza essere mai stato niente del peggio della “vecchia politica”. Persona di grandi attenzioni ai diritti, alla giustizia, alla correttezza e al rispetto delle regole e delle persone. Persona che conosce sia la vita da romano che i meccanismi politici con cui si affrontano i problemi. Voi direte: ma la sa governare una città? E chi lo sa: probabilmente, dicevamo, nessuno la sa governare. E magari hanno ragione quelli che vogliono i “manager” a fare i sindaci: a Milano ne abbiamo due in ballo, ma intanto il sindaco milanese più apprezzato degli ultimi decenni che ora sta scadendo somigliava molto più a Giachetti, come profilo e biografia, che a un manager. E soprattutto, a Roma non sono candidati né manager né altri che soddisfino gli auspici di chi pensa che là serva un efficiente funzionario, che “rimetta in riga” e riparta da zero come se Roma fosse un posto normale. Tutte le alternative alla qualità umana e politica di Giachetti sono umani e compagini in diversi stati d’ebbrezza. Poi si può anche votare per simpatie, antipatie, o per curve da stadio, ma allora al diavolo Roma, e diciamolo.

Sì, Giachetti non sta facendo una campagna elettorale trascinante: il suo sembra l’impegno di uno che sa già di vincere, invece che quello di uno che ha cospicue probabilità di perdere e dovrebbe inventarsi qualcosa. Non lo aiuta il fatto che essendo il meno pacchiano dei candidati, le attenzioni dei media si dedichino di più alle baracconate o alle scemenze degli altri. Non c’è gusto in questo paese, a essere normali. Però è anche vero che pure la normalità qualche passione dovrebbe suscitarla: presentare una potenziale giunta completamente prevedibile (e in alcuni casi deludentemente e sventatamente datata) non è stata una grande idea per sfruttare l’opportunità di guadagnare consensi differenti e diversificare l’offerta.

Infine, c’è la ragione più solida per raffreddare i desideri che Giachetti vinca le elezioni romane: ed è che a candidarlo è il PD responsabile della catastrofe Ignazio Marino – sia che si reputi una catastrofe la sua elezione che la sua destituzione, o entrambe – ed è il PD romano che chiunque conosce come uno dei più inespugnabili porti delle nebbie e delle zizzanie e dei traffici di potere tra i tanti guai locali del PD che il rinnovamento renziano non è apparso finora in grado di governare. Che garanzie hanno gli elettori romani che quello che sta intorno a Giachetti sia all’altezza di Giachetti?
Una sola, è la risposta: ed è la candidatura stessa di Giachetti, promettente di un impegno a non consegnarsi a logiche vecchie o a logiche fallimentari. Non è tanto, ma è qualcosa.

Giachetti continua a essere la miglior persona in circolazione in quella e nelle altre maggiori competizioni elettorali della prossima settimana: e a meno di non voler fare quelli che guardano il Gran Premio sperando nell’incidente e poi però si rammaricano che qualcuno ci sia morto, è l’unica speranza di sottrarre Roma a incidenti gravi. Poi certo, è una città che è stata governata da Alemanno e i suoi, e quindi può sopravvivere a tutto, pure ai grillini che vincono e poi Virginia Raggi litiga coi grillini, e poi la sospensione dal partito, e tutta la routine di fallimenti e imbarazzi prevedibili. Però insomma, ci siamo affezionati: è un casino di capitale, ma è la nostra capitale, come diceva quello.