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  • Martedì 8 settembre 2015

L’inserzione che sconsiglia ai rifugiati di andare in Danimarca

È stata pubblicata dal governo danese su quattro giornali del Libano: spiega che i benefit sono stati tagliati di recente e che ottenere un permesso di soggiorno è molto complicato

di Adam Taylor – Washington Post

Il governo danese ha pubblicato un’inserzione pubblicitaria in alcuni giornali libanesi. Il messaggio contenuto nell’inserzione è implicito ma inequivocabile: non venite in Danimarca.

https://twitter.com/sarahussein/status/640838002147655684/photo/1?ref_src=twsrc%5Etfw

Lunedì 8 settembre la versione in arabo e in inglese dell’inserzione, pubblicata dal Ministero per l’Immigrazione e l’Integrazione danese, si trovava su quattro giornali libanesi. In Libano al momento ci sono più di un milione di rifugiati siriani, cioè il gruppo etnico più presente nel flusso di migranti verso l’Europa delle ultima settimane. L’inserzione elenca alcuni fattori che renderebbero la Danimarca una destinazione sgradevole per i rifugiati, a partire dalla recente legge approvata dal Parlamento danese che ridurrà del 50 per cento i sussidi sociali per i rifugiati in arrivo. Tra le altre cose, il documento fa anche notare che le procedure per l’ottenimento del permesso di soggiorno definitivo sono lunghe e complicate, e che chiunque speri di ottenerlo dovrà imparare il danese.

La Danimarca ha una posizione più severa degli anni scorsi sull’immigrazione da quando a giugno il Partito Liberale, di centrodestra, ha formato un governo di minoranza. Mentre Germania e Svezia hanno accolto un gran numero di rifugiati negli ultimi anni, la Danimarca si è tirata indietro, approvando leggi pensate per scoraggiare i migranti ad arrivare nella nazione, incluso un rigido taglio dei sussidi. In luglio, il ministro dell’integrazione Inger Stojber aveva promesso che avrebbe fatto stampare delle inserzioni nei giornali stranieri relativi ai cambiamenti dei benefici statali per i rifigiati. «L’inserzione dovrà contenere informazioni misurate sul dimezzamento dei sussidi e sugli altri limiti che adotteremo”, aveva detto all’emittente danese DR: «Questo è il tipo di documento che circola molto».

La Danimarca, come l’Inghilterra, gode di un’esenzione dalle regole comuni dell’Unione Europa sull’asilo politico, che ha lo scopo di distribuire i rifugiati nei diversi stati europei. Tuttavia il Partito della Popolazione Danese (DPP), un partito di estrema destra, ha chiesto misure ulteriori inclusa la possibilità di uscire dalla zona di Schengen, l’area a cui aderiscono 26 stati europei dove è garantita la libera circolazione delle persone. Al momento il DPP ha una grande rilevanza nella politica danese: anche se non fa parte del governo, è diventato il secondo più grande partito dopo le elezioni e fornisce un supporto chiave al Partito Liberale. Ha un’esplicita retorica anti-immigati. Nell’agosto del 2015 un suo membro ha detto che il governo dovrebbe intervenire per regolamentare la lingua danese, mettendo in guardia sul fatto che il “danese della pizza”, quello “parlato dagli immigrati nei fast food”, si stava diffondendo eccessivamente.

In Danimarca l’inserzione è stata criticata anche da membri dello stesso Partito Liberale. «Sono molto, molto, amareggiato», ha detto Michael Gatten, membro del comitato municipale di Copenhagen, al Jyllands-Posten, «è un modo di agire ripugnante». Uffe Elbaek, il leader del partito di sinistra Partito dell’Alternativa, ha scritto su Twitter: «Forse è stata l’inserzione uscita col peggior tempismo di sempre».

In un post pubblicato su Facebook, Stojberh ha spiegato le ragioni dietro l’inserzione pubblicitaria: «Non possiamo semplicemente tenere il passo con l’attuale afflusso di immigrati», ha scritto il ministro, aggiungendo che è importante non solo rendere la legislazione più restrittiva, ma anche metterne i potenziali migranti a conoscenza. Il post ha ricevuto quasi 8000 “mi piace” e 1207 condivisioni. Nel 2014 la Danimarca ha ricevuto circa 15mila richiedenti asilo l’anno scorso, un numero molto più alto rispetto agli anni passati.

©The Washington Post