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  • Mercoledì 22 aprile 2015

La storia dell’altro capo dell’ISIS, quello vero

Un'importante inchiesta dello Spiegel ha raccontato come un ex funzionario di Saddam Hussein sia stato l'architetto dello Stato Islamico, prima di al Baghdadi

EBRAHIM BEN ALI, IRAQ - APRIL 11: A volunteer from the Shia Badr Brigade peers over a berm towards ISIS fighters on the frontline on April 11, 2015 in Ebrahim Ben Ali, in Anbar Province, Iraq. Shia militia and Iraqi government troops are preparing for an assault on ISIS forces in Anbar, much of which was captured by ISIS forces last year. Anbar Province was the site of the some of the fiercest fighting between U.S. and insurgent forces before American troops withdrew in 2010. (Photo by John Moore/Getty Images)
EBRAHIM BEN ALI, IRAQ - APRIL 11: A volunteer from the Shia Badr Brigade peers over a berm towards ISIS fighters on the frontline on April 11, 2015 in Ebrahim Ben Ali, in Anbar Province, Iraq. Shia militia and Iraqi government troops are preparing for an assault on ISIS forces in Anbar, much of which was captured by ISIS forces last year. Anbar Province was the site of the some of the fiercest fighting between U.S. and insurgent forces before American troops withdrew in 2010. (Photo by John Moore/Getty Images)

Sabato 18 aprile il sito dello Spiegel in lingua inglese ha pubblicato un’inchiesta esclusiva sull’organizzazione interna dello Stato Islamico (o ISIS). L’inchiesta dello Spiegel, che è circolata molto negli ultimi giorni e che è stata molto apprezzata dagli esperti di ISIS, si è basata su alcuni documenti di cui finora non si conosceva l’esistenza. I più importanti sono 31 pagine scritte a mano dall’uomo considerato il vero architetto dell’ISIS, un ex colonnello dell’intelligence dell’aviazione irachena sotto la presidenza di Saddam Hussein: Samir Abd Muhammad al Khilifawi, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Haji Bakr (la presenza ai vertici dell’ISIS di funzionari dell’Iraq di Saddam Hussein era già stata raccontata da Liz Sly sul Washington Post all’inizio di aprile).

I documenti svelano alcune cose che finora nessun analista era riuscito a spiegare: per esempio come l’ISIS è riuscito a conquistare così tanti territori in così poco tempo e chi c’è dietro il califfo Abu Bakr al Baghdadi. Lo Spiegel dice che i documenti sono il «codice sorgente dell’esercito terroristico più di successo della storia recente».

Due gruppi di documenti
Quelli di cui parla lo Spiegel sono documenti ritrovati in due momenti e due posti diversi. Un primo gruppo di documenti è stato trovato nella casa di Haji Bakr a Tal Rifaat, nel nord-ovest della Siria, a circa 40 chilometri a nord di Aleppo. Lo Spiegel dice che sono stati visti per la prima volta dopo l’uccisione di Bakr, avvenuta nel gennaio del 2014: nell’aprile dello stesso anno una delle 31 pagine è stata portata in Turchia, dove è stata vista dallo Spiegel. Tutte e 31 le pagine sono state recuperate solo nel novembre 2014, quando lo Spiegel è riuscito a raggiungere Tal Rifaat: nel frattempo i documenti erano stati custoditi da un uomo che ha voluto rimanere anonimo per paura di ritorsioni da parte dell’ISIS.

Un secondo gruppo di documenti è stato invece ritrovato nell’ex quartier generale dell’ISIS ad Aleppo, che i miliziani avevano dovuto abbandonare in fretta nel gennaio 2014 per l’avanzata dei ribelli. Le Brigate al Tawhid, allora il più grande gruppo ribelle ad Aleppo, erano entrate in possesso di centinaia di pagine di documenti, che avevano poi consegnato allo Spiegel dopo lunghi negoziati.

Chi era Haji Bakr, l’architetto dell’ISIS?
Haji Bakr, come molti altri ufficiali dell’esercito iracheno sotto la presidenza di Saddam Hussein, passò nel corso degli anni Duemila a combattere per l’ISIS (o meglio, per l’organizzazione che precedette l’ISIS). Nel maggio del 2003, dopo avere abbattuto il regime sunnita di Saddam, l’allora capo delle forze americane a Baghdad, Paul Bremer, emanò un decreto che decideva lo scioglimento l’esercito iracheno: come ha scritto anche Liz Sly sul Washington Post, da un giorno all’altro circa 400mila membri dello sconfitto esercito iracheno furono esclusi da incarichi militari e fu negata loro la pensione. Molti cominciarono a combattere contro gli americani e contro il nuovo governo sciita iracheno, e alcuni cominciarono a riorganizzarsi e collaborare con l’ISIS per riconquistare il potere in Iraq.

Uno di questi fu proprio Haji Bakr, che tra le altre cose tra il 2006 e il 2008 fu imprigionato sia a Camp Bucca, prigione americana in Iraq in cui fu detenuto anche Baghdadi, sia ad Abu Ghraib, diventata nota per le foto delle torture inflitte dagli americani sui prigionieri. Bakr aveva in mente un piano che allora sembrava impossibile da realizzare: conquistare quanto più territorio possibile in Siria e usarlo come base di partenza per invadere l’Iraq. Alla fine del 2012 Bakr si stabilì a Tal Rifaat, una città siriana piuttosto radicalizzata per dei flussi migratori che c’erano stati nel corso degli anni Ottanta verso i paesi del Golfo Persico. Nel 2013 Tal Rifaat sarebbe diventata la roccaforte dell’ISIS nella provincia di Aleppo.

La strategia di Haji Bakr
Per riuscire a raggiungere il suo obiettivo – conquistare dei territori in Siria, sfruttando il caos della guerra, e poi invadere l’Iraq – Bakr elaborò un piano basato sullo sviluppo di un sistema di intelligence incredibilmente diffuso ed efficiente. Il primo passo era aprire un centro missionario islamico nella città di cui si voleva prendere il controllo, senza combattere: tra coloro che iniziavano a frequentare il centro, gli uomini di Bakr ne selezionavano alcuni che dovevano spiare tutto ciò che succedeva nella città, per ottenere informazioni e passarle all’ISIS. Bakr voleva sapere per esempio la lista delle famiglie più potenti, le loro fonti di guadagno, i nomi delle brigate di ribelli presenti in città e il tipo di attività illegali diffuse (illegali secondo la sharia), da usare per ricattare chi le compiva. La maggior parte delle spie erano ragazzi di 16 e 17 anni provenienti da Tal Rifaat. In una delle 31 pagine ritrovate, Bakr dice che diversi “fratelli” sarebbero stati selezionati per sposare le figlie delle famiglie più potenti, in modo da “assicurarsi la penetrazione all’interno di queste famiglie, senza che loro se ne accorgano”. In pratica il piano era ottenere tutte le informazioni possibili e poi sfruttarle al momento giusto per prendere il controllo delle città. Come spiega lo Spiegel, si trattava di una strategia che aveva poco a che fare con la religione: l’islam radicale era visto come uno strumento per raggiungere l’obiettivo di riconquistare l’Iraq, non come obiettivo finale.

I servizi segreti dell’ISIS
Per mettere in pratica la sua strategia, Bakr mise in piedi un sistema di intelligence capillare, come lo era stato quello di cui aveva fatto parte sotto la presidenza di Saddam Hussein. A capo di ciascun consiglio provinciale c’era un emiro, o comandante, che si occupava di omicidi, sequestri, comunicazioni e delle attività dei cecchini. La struttura era pensata affinché ci fossero dei servizi di intelligence paralleli: cioè, come ha sintetizzato lo Spiegel, che ciascuno controllasse qualcun altro, e che fosse a sua volta controllato da qualcun altro ancora. La fitta rete di spionaggio messa in piedi da Bakr cominciò ad operare nella primavera del 2013, quando l’ISIS cominciò ad aprire i primi centri missionari islamici in alcune città del nord della Siria controllate dai ribelli: un giovane attivista ha raccontato allo Spiegel che allora «nessuno sospettava che ci potessero essere altri gruppi a minacciarci, a parte il regime [di Bashar al Assad]». L’ISIS cominciò pian piano a prendere il controllo di alcune città, senza però mai arrivare allo scontro nei casi in cui il suo potere era contrastato dalle forze locali: l’ISIS cominciò anche a compiere assassinii mirati e sequestri dei suoi oppositori, senza però rivendicarne la responsabilità.

 

I combattenti stranieri
I documenti visti dallo Spiegel mostrano come all’inizio Bakr non reclutava soldati iracheni, e anche i siriani erano pochi. Fin da subito l’ISIS scelse la strada più difficile: cominciò a reclutare gli stranieri, soprattutto i giovani più radicali che avevano cominciato ad arrivare in Siria per combattere dall’estate del 2012. Molti di loro erano senza addestramento militare, e infatti dalla fine del 2012 l’ISIS mise in piedi parecchi campi di addestramento. Gli altri gruppi di ribelli non sapevano a chi appartenessero i campi e i miliziani che venivano addestrati non parlavano con i giornalisti. Dopo due mesi di addestramento, i miliziani venivano mandati in diverse zone della Siria, a differenza di quanto facevano altri gruppi ribelli che combattevano per difendere soprattutto le loro case. All’inizio gli altri gruppi ribelli non si opposero all’ISIS, sia perché non volevano aprire un secondo fronte di guerra, oltre a quello già aperto con i soldati del regime di Assad, sia perché dell’ISIS si sapeva poco. Lo Spiegel racconta che i suoi miliziani si muovevano da una parte all’altra della Siria senza rendersi riconoscibili, vestiti di nero e con la faccia coperta. Nessuno sapeva se fossero 500, oppure 1000, oppure di più.

La conquista di Raqqa
La conquista di Raqqa, scrive lo Spiegel, è emblematica di come ha fatto l’ISIS a prendere il controllo di tanto territorio in così breve tempo. Prima dell’arrivo dell’ISIS, a Raqqa si pregava poco: nel marzo del 2013 la città fu conquistata dai ribelli, fu eletto un consiglio cittadino e gli attivisti locali – giornalisti, avvocati, medici – cominciarono a organizzarsi in gruppi e associazioni. «Tutto sembrava possibile a Raqqa», scrive lo Spiegel. Nella primavera del 2013 l’ISIS cominciò a muoversi per prendere il controllo della città: a metà maggio il capo del consiglio cittadino fu sequestrato da uomini col volto scoperto. Poco dopo successe la stessa cosa al fratello di un importante scrittore, e poi all’uomo a capo del gruppo che aveva disegnato la bandiera rivoluzionaria sui muri di Raqqa. Gli abitanti della città cominciarono a capire che c’era di mezzo l’ISIS, ma nessuno fece niente per paura di ritorsioni. A luglio cominciarono a sparire nel nulla centinaia di persone. In agosto l’ISIS fece un attentato suicida alla sede dell’Esercito di Liberazione siriano – un gruppo di ribelli “moderati”, allora piuttosto rilevante – uccidendo diversi miliziani e spingendo gli altri a lasciare la città. A ottobre l’ISIS organizzò un’assemblea con i leader civili di Raqqa: uno degli unici due uomini che espressero posizioni contrarie all’ISIS fu trovato morto cinque giorni dopo. Nel giro di poco tempo i leader dell’opposizione lasciarono Raqqa e i 14 capi dei clan più grandi della città giurarono fedeltà ad al Baghdadi.

La “collaborazione” con Assad
Alla fine del 2013 i ribelli siriani più moderati e parti del Fronte al Nusra – il gruppo che “rappresenta” al Qaida in Siria – cominciarono ad allearsi in diverse parti della Siria per combattere l’ISIS. Il gruppo subì alcune sconfitte militari, perdendo il controllo di diversi territori. Questa tendenza cambiò nuovamente all’inizio del 2014, quando Haji Bakr iniziò a usare i contatti che aveva sviluppato con il regime di Assad negli anni in cui lavorava per l’intelligence irachena (già nel corso degli anni Duemila il regime di Assad permise agli estremisti provenienti da Libia, Arabia Saudita e Tunisia di unirsi ad al Qaida in Iraq). Il governo siriano sviluppò con l’ISIS un rapporto che si potrebbe definire di “non interferenza”: ad Assad faceva comodo avere un gruppo così forte che combattesse i ribelli. Per molti mesi l’aviazione di Assad non bombardò le postazioni dell’ISIS e i combattenti dell’ISIS si concentrarono a fare la guerra ai ribelli, piuttosto che al regime. Questa specie di collaborazione – che andò avanti fino al luglio del 2014, cioè all’attacco dell’ISIS alla Divisione 17 dell’esercito siriano a Raqqa – permise all’ISIS di recuperare il terreno perso in precedenza.

Di recente, dopo le sconfitte dell’ISIS a Tikrit e a Kobane, alcuni giornalisti hanno parlato di una crisi profonda dell’ISIS: lo Spiegel, come altri analisti prima, ha scritto che la fine dell’ISIS è uno scenario che non sembra potersi verificare nel breve periodo. Anche se le recenti voci riportate dal Guardian sul ferimento del califfo Baghdadi dovessero essere verificate, le cose per l’ISIS potrebbero non cambiare significativamente. Come scrive lo Spiegel: «Abu Bakr al Baghdadi può essere anche il leader ufficiale, ma rimane poco chiaro quanto potere detiene. Ad ogni modo, quando un emissario del capo di al Qaida, il medico egiziano Ayman al Zawahiri, vuole parlare con l’ISIS, prende contatto con Haji Bakr (quando era vivo) e altri funzionari dell’intelligence, non con Baghdadi».