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  • Martedì 7 aprile 2015

Il partito di Saddam Hussein dietro l’ISIS

Molti funzionari dell'esercito di Saddam sono diventati leader importanti dello Stato Islamico, racconta il Washington Post: comandano tutto, ma di loro si sa pochissimo

di Liz Sly - Washington Post

Iraqi President Saddam Hussein, seated center, leads a cabinet meeting Thursday in Baghdad, in this image released by the Iraqi News Agency Thursday, Sept. 19, 2002 . (AP Photo/INA)
Iraqi President Saddam Hussein, seated center, leads a cabinet meeting Thursday in Baghdad, in this image released by the Iraqi News Agency Thursday, Sept. 19, 2002 . (AP Photo/INA)

Abu Hamza, ex ribelle siriano, accettò di unirsi allo Stato Islamico (o ISIS) perché pensava di diventare parte di un gruppo che prometteva l’utopia islamista e che era stato in grado di attrarre molti combattenti stranieri da ogni parte del mondo. Quando entrò a far parte dell’ISIS, tuttavia, Abu Hamza scoprì qualcosa di diverso: per esempio si ritrovò fin da subito a ricevere ordini e a essere controllato da emiri e uomini iracheni – quindi non siriani, né in generale stranieri: proprio iracheni – che rimanevano per lo più nell’ombra e che si muovevano agilmente dentro e fuori il terreno di battaglia. Lo scorso anno Abu Hamza criticò gli ordini ricevuti da un comandante dell’ISIS durante un meeting del gruppo: come punizione fu messo agli arresti per ordine di un iracheno col volto coperto che aveva assistito al meeting, che aveva ascoltato quello che era stato detto e aveva preso degli appunti.

Abu Hamza, che governava per conto dell’ISIS una piccola comunità in Siria, non scoprì mai la vera identità degli uomini iracheni, che quando si identificavano lo facevano solo tramite nomi in codice. Tutti loro, comunque, erano ex funzionari iracheni sotto il regime dell’ex presidente Saddam Hussein: lo era anche l’uomo col volto coperto, che una volta lavorava per un’agenzia di intelligence dell’Iraq e che poi era passato a lavorare nel servizio di sicurezza dell’ISIS. Il racconto di Abu Hamza e quelli di altre persone che hanno avuto a che fare con l’ISIS hanno messo in evidenza il ruolo pervasivo che stanno avendo ex membri dell’esercito iracheno nell’ISIS: si tratta di uomini che hanno servito in qualche forma il regime di Saddam Hussein, chiamato anche regime baathista dal nome del partito al governo, il Partito Baath.

Nonostante la presenza di migliaia di combattenti stranieri, quasi tutti i leader dell’ISIS sono ex funzionari iracheni, inclusi i membri dei potenti Consigli militari e di sicurezza e la maggioranza dei suoi emiri e principi. Si tratta di uomini che hanno portato all’ISIS capacità militari, obiettivi politici che appartenevano ai baathisti e anche la conoscenza delle reti e delle vie usate per trafficare illegalmente beni e petrolio, sviluppate durante gli anni Novanta dal regime di Saddam Hussein per aggirare le sanzioni internazionali che erano state imposte all’Iraq.

Abu Hamza nella foto: Abu Hamza, ex ribelle siriano che per un periodo si è unito all’ISIS (Washington Post)

Abu Hamza – che la scorsa estate è andato in Turchia dopo avere lasciato l’ISIS, e che usa uno pseudonimo per questioni di sicurezza – ha raccontato che in Siria gli “emiri” locali sono normalmente seguiti molto da vicino da un vice di nazionalità irachena, che è colui che prende effettivamente le decisioni. Hamza ha detto: «I funzionari iracheni sono quelli che comandano, decidono le tattiche da usare e i piani di battaglia. Allo stesso tempo gli iracheni non combattono. Mandano i combattenti stranieri sulle linee del fronte».

Hassan Hassan, analista e co-autore del libro “ISIS: Inside the Army of Terror”, ha detto che l’ascesa dell’ISIS ha a che fare con diverse cose riguardanti la storia recente dell’Iraq: tra queste, la crudeltà del regime baathista e sunnita di Saddam Hussein, lo smantellamento dell’esercito iracheno dopo l’invasione americana nel 2003, la conseguente guerriglia e la marginalizzazione degli iracheni sunniti da parte del governo dominato dagli sciiti. Un altro fattore determinante è stata la legge per “de-baathizzare” l’Iraq promulgata dallo statunitense Paul Bremer nel 2003, dopo l’invasione americana dell’Iraq: da un giorno all’altro circa 400mila membri dello sconfitto esercito iracheno furono esclusi da incarichi militari, fu negata loro la pensione ma poterono tenere le armi.

I militari americani non riconobbero allora il ruolo degli ex funzionari baathisti nella rapida ascesa dell’ISIS, preferendo spostare l’attenzione sui combattenti stranieri. Sapevano che questi uomini si erano uniti ad altri gruppi ribelli e che stavano dando appoggio tattico ad “al Qaida in Iraq”, il gruppo che sarebbe poi diventato l’ISIS: quello che non si aspettavano era che diventassero anche i membri più importanti di un gruppo jihadista. Sotto la leadership di Abu Bakr al Baghdadi, colui che si è proclamato Califfo dello Stato Islamico, gli ex funzionari iracheni sono diventati ancora più rilevanti.

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Tratti in comune
A primo sguardo, il dogma secolare del tirannico Partito Baath di Saddam Hussein non sembra avere molto in comune con la rigida interpretazione della sharia dell’ISIS. I due sistemi condividono però diverse cose, per esempio l’uso della paura come mezzo per sottomettere le popolazioni governate. Due decenni fa Hussein perpetrava alcune forme crudeli ed elaborate di tortura, proprio come fa oggi l’ISIS. Come l’ISIS, il Partito Baath si riferiva a se stesso come movimento transnazionale, permettendo la formazione di “divisioni” in altri paesi del Medio Oriente e creando dei campi di addestramento per i volontari stranieri nel resto del mondo arabo.

Quando gli americani invasero l’Iraq, Hussein aveva già cominciato a introdurre la religione nel sistema di governo statale, rendendo una transizione dal baathismo all’ideologia islamica meno improbabile. Con l’avvio della “Campagna della Fede” decisa da Hussein nel 1994, furono introdotti in Iraq alcuni rigidi precetti islamici. Le parole “Dio è grande” furono inscritte nella bandiera irachena. Fu introdotta l’amputazione della mano per i ladri. Ancora prima dell’invasione americana, alcuni ex funzionari baathisti smisero di bere alcolici, cominciarono a pregare e aderirono al salafismo, una forma molto conservatrice di Islam. Negli ultimi due anni di governo di Hussein, una campagna di decapitazioni, principalmente contro le donne sospettate di prostituzione, fu portata avanti da Fedayeen Saddam, un’organizzazione paramilitare fedele al governo baathista. Alcuni video diffusi nell’era di Hussein – con scene di addestramento o di violenza – somigliano molto a quelli che diffonde oggi l’ISIS.

Alcuni di questi baathisti furono reclutati nella divisione irachena di al Qaida quando fu fondata da Abu Musab al Zarqawi. Altri si “radicalizzarono” a Camp Bucca, la prigione americana nel sud dell’Iraq dove migliaia di cittadini iracheni furono detenuti insieme ai jihadisti. Mentre Zarqawi tenne gli ex funzionari baathisti piuttosto ai margini del gruppo, l’attuale leader dell’ISIS Baghdadi fece del loro arruolamento una strategia. Molti di loro avevano combattuto al Qaida negli anni in cui gli americani erano riusciti a sviluppare una strategia efficiente di collaborazione con le tribù sunnite nell’Iraq occidentale, ma cambiarono schieramento per essersi sentiti “traditi” dopo che gli americani se ne andarono, e il nuovo governo iracheno sciita cominciò a discriminarli. La campagna di arruolamento di Baghdadi divenne più efficace nel 2011, dopo che l’allora primo ministro iracheno sciita Nuri al Maliki annunciò una nuova fase di “de-baathizzazione” che escluse da incarichi militari e governativi coloro che nel frattempo erano stati riabilitati dall’esercito americano.

Tra gli altri c’era il Brigadier Generale Hassan Dulaimi, un ex funzionario di intelligence del vecchio esercito iracheno che fu reintegrato come comandante della polizia della città di Ramadi – capitale della provincia occidentale di Anbar – su decisione dei militari americani nel 2006. Dopo che gli americani se ne andarono, Dulaimi fu di nuovo licenziato: perse il suo stipendio e la sua pensione, come successe ad altri 124 iracheni che avevano lavorato insieme agli americani. Dulaimi ha raccontato la storia di un suo amico stretto, un ex funzionario d’intelligence che fu licenziato nel 2003 e che per molti anni ha cercato di trovare altri modi per vivere. L’uomo ora è un membro dell’ISIS e ricopre il ruolo di wali, o leader, nella città di Hit, nella provincia di Anbar. Dulaimi ha detto:

«L’ho visto l’ultima volta nel 2009. Si lamentava di essere molto povero. È un vecchio amico, così gli diedi dei soldi. Se qualcuno gli avesse dato un lavoro e uno stipendio non si sarebbe unito all’ISIS. Ce ne sono altri centinaia, migliaia come lui. Le persone che sono a capo delle operazioni militari dell’ISIS sono uomini che erano considerati i migliori ufficiali dell’ex esercito iracheno, e questo è il motivo per cui l’ISIS è così forte sia sul campo di battaglia sia sul piano dell’intelligence»

Per paura di attività di spionaggio, la leadership dell’ISIS ha creato una netta separazione con i combattenti stranieri, i combattenti siriani e quelli iracheni: per farlo ha istituito un elaborato sistema di intermediari e reti progettato per larga parte sul modello delle vecchie agenzie di intelligence irachene. L’uomo a volto coperto che ordinò l’arresto di Abu Hamza era un agente della sicurezza dell’ISIS incaricato di monitorare ogni forma di dissenso, ha raccontato Hamza. Abu Hamza fu rilasciato dal carcere dopo avere accettato di seguire gli ordini come gli altri comandanti, ma la sua esperienza contribuì a creare in lui una grande delusione rispetto a come funzionavano le cose nell’ISIS.

“Vogliono governare in Iraq”
Il motivo per cui ex funzionari baathisti hanno deciso di unirsi all’ISIS è oggetto di dibattito. Hamed Hashim, professore della Nanyang Tecnological University di Singapore, ha detto: «Uno potrebbe sostenere che sia un’alleanza tattica. Molti di questi baathisti non vogliono che l’ISIS governi l’Iraq. Vogliono farlo loro. Molti di loro vedono i jihadisti come se fossero “utili idioti” che possono essere usati per raggiungere il potere». Il colonnello americano Joel Rayburn, docente della National Defense University e consigliere di alcuni importanti generali in Iraq, si è chiesto se i combattenti stranieri capiscano di essere finiti dentro la “palude” irachena. Alcune delle battaglie più violente combattute oggi vengono fatte per il controllo di comunità e quartieri che sono stati contesi dagli iracheni per anni, prima che arrivassero gli estremisti: «Ci sono dei combattenti che provengono da tutto il mondo e che combattono delle battaglie politiche locali, con cui il jihad globale non ha nulla a che vedere».

Secondo un ex generale iracheno che ha voluto rimanere anonimo, le cose in realtà sono andate all’opposto: non sono stati tanto i baathisti a usare i jihadisti per tornare al potere, ma i jihadisti a sfruttare la disperazione dei funzionari licenziati dai loro incarichi. Secondo l’ex generale, «gli americani hanno una grande responsabilità. Quando hanno smantellato l’esercito, che cosa si aspettavano che facessero i soldati? Sono rimasti senza niente da fare e con un solo modo per riuscire a procurarsi da mangiare». Alcuni ex baathisti che si erano uniti all’ISIS hanno lasciato il gruppo. La maggior parte di loro, comunque, si è probabilmente “radicalizzata”.

© Washington Post 2015

nella foto: l’allora presidente iracheno Saddam Hussein, seduto al centro, durante una riunione di governo a Baghdad, il 19 settembre 2002. (AP Photo/INA)