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  • Venerdì 12 settembre 2014

L’inchiesta sulla concessione ENI in Nigeria

Le cose da sapere sulle presunte tangenti pagate per esplorare un giacimento: la procura di Milano sta indagando sul vecchio e sul nuovo capo dell'ENI, appena scelto da Renzi

©Alessandro Paris/lapresse
Roma 04-07-2007
economia
Assemblea Assomineraria
nella foto Claudio Descalzi (presidente Assomineraria)
©Alessandro Paris/lapresse Roma 04-07-2007 economia Assemblea Assomineraria nella foto Claudio Descalzi (presidente Assomineraria)

Con un tweet pubblicato venerdì mattina, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha commentato la notizia dell’inchiesta della procura di Milano su un presunto sistema di tangenti che avrebbe coinvolto l’ex amministratore delegato di ENI, Paolo Scaroni, e l’attuale Claudio Descalzi, nominato proprio da Renzi in primavera, per ottenere dei permessi in Nigeria. Renzi ha detto di essere “felice di aver scelto Claudio Descalzi CEO di ENI. Potessi lo rifarei domattina. Io rispetto le indagini e aspetto le sentenze”. Per il presunto giro di tangenti internazionali che riguardano le attività di ENI in Nigeria al momento, è bene ricordarlo, ci sono le accuse della procura, e non ci sono stati ancora particolari provvedimenti nei confronti delle persone coinvolte.

 

Nei documenti dell’inchiesta, i magistrati di Milano spiegano che “si ritiene che Scaroni e Descalzi abbiano organizzato e diretto l’attività illecita” in Nigeria, che avrebbe permesso di corrompere funzionari del governo locale per ottenere nel 2011 permessi per l’esplorazione di un campo petrolifero nei pressi di Abuja, la capitale del paese. Secondo la procura, una somma di 215 milioni di euro – bloccata nel corso di alcune transazioni tra Gran Bretagna e Svizzera – sarebbe stata “certamente destinata” per pagare pubblici ufficiali e alcuni intermediari.

I giornalisti del Corriere della Sera Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella, che hanno visto la documentazione dell’inchiesta, scrivono:

Non è dunque una responsabilità oggettiva, legata solo alla loro posizione di vertice, a essere contestata all’attuale amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e al suo predecessore Paolo Scaroni nell’inchiesta milanese sulle tangenti Eni a politici nigeriani che avrebbero propiziato l’acquisto, per 1 miliardo e 90 milioni di dollari nell’aprile 2011, della licenza per l’esplorazione del campo petrolifero Opl-245 di Abuja. Al contrario, da alcuni passaggi delle rogatorie internazionali, disvelate ora nel sequestro con il quale l’altro ieri la Southwark Crown Court di Londra ha congelato 83 milioni di dollari (in aggiunta a già 110 in Svizzera) del mediatore nigeriano Emeke Obi e dell’ex ministro nigeriano del petrolio Dan Etete, la Procura esplicita la convinzione che trae dal materiale inviato a Londra: «Si ritiene che Scaroni e Descalzi abbiano organizzato e diretto l’attività illecita. Descalzi era anche in continuo contatto con Obi. Luigi Bisignani era il collegamento tra i vertici dell’Eni e gli intermediari Obi e Gianluca Di Nardo», imprenditore italiano amico di Bisignani e socio di Obi nella prima fase della negoziazione Eni.

Secondo la ricostruzione della procura di Milano, ci fu una sorta di meccanismo a cascata che portò al coinvolgimento di diverse persone fino ai massimi dirigenti di ENI. Etete nel 2010 contattò Di Nardo, suo referente in Italia, per provare a vendere la concessione petrolifera che anni prima si era autoassegnato attraverso la società Malabu. Di Nardo coinvolse nel possibile affare Luigi Bisignani, sapendo che era in contatto con Scaroni. Bisignani fece presente la possibilità a Scaroni, che a quel punto coinvolse Descalzi che all’epoca era a capo della divisione di ENI che si occupa delle attività estrattive. La procura scrive che a quel punto Descalzi avviò contatti con Etete e con Obi, ma che in seguito la trattativa fallì a causa di alcuni contrasti in Nigeria all’interno della società Malabu.

Ferrarella e Guastella scrivono però sulla vicenda ci furono poi altri sviluppi:

Ma su questo punto c’è ora una novità finanziaria, successiva all’acquisto Eni nel 2011 della concessione petrolifera con una formula in apparenza diversa e più trasparente, e cioè un rapporto esclusivo e un pagamento diretto di Eni al governo nigeriano, resosi poi disponibile a girare ai rissosi proprietari locali della concessione il prezzo pattuito di 1 miliardo e 90 milioni di dollari: Obi, una volta vinta nel 2013 a Londra una causa civile con Etete e ottenuti dal giudice inglese come mediazione almeno 110 di 215 milioni incassati da Etete (via governo nigeriano) sul prezzo pagato da Eni per la concessione, ha infatti girato più di 10 milioni proprio a Di Nardo. Cioè al poco decifrabile imprenditore che insieme a Bisignani si era tanto speso con Scaroni e Descalzi nella prima abortita fase di negoziazione nel 2010, e che evidentemente agli occhi di Obi aveva un convincente motivo per meritarsi una così grossa fetta di soldi. Fetta che però sempre la Procura — emerge solo ora — ha fatto sequestrare in Svizzera all’inizio dell’estate.

In una testimonianza scritta inviata al tribunale britannico che si è occupato della cifra contesa, il pubblico ministero Fabio De Pasquale ha scritto che “ENI ha ottenuto un profitto dalla partecipazione allo schema di corruzione: questa non è una asserzione implicita, ma un fatto storico. ENI ha ottenuto la licenza a condizioni molto favorevoli e senza gara”. Il documento contiene anche valutazioni sul miliardo e 90 milioni dell’accordo: si dice che 800 milioni sono rimasti in Nigeria, mentre che i 215 milioni di euro tornati in Europa erano una cifra “certamente destinata a remunerare pubblici ufficiali e a pagare tangenti a manager ENI” e agli intermediari coinvolti nella vicenda. Da qui la necessità di bloccare “le somme ancora giacenti come profitto di un complesso schema di corruzione messo in atto da ENI” per ottenere la concessione in Nigeria.

L’inchiesta della procura è molto ampia e ci sono ancora molti dettagli da chiarire, soprattutto per quanto riguarda l’eventuale coinvolgimento di ex e attuali dirigenti ENI. La società ha diffuso un proprio comunicato dove viene ribadita “la sua estraneità da qualsiasi condotta illecita”:

Eni sottolinea di aver stipulato gli accordi per l’acquisizione del blocco unicamente con il Governo Nigeriano e la società Shell. L’intero pagamento per il rilascio a Eni e Shell della relativa licenza è stato eseguito unicamente al governo nigeriano. Eni prende atto che, da documenti notificati ieri alla società nell’ambito di un procedimento estero che dispone il sequestro di un conto bancario di una società terza su richiesta della Procura di Milano, risultano indagati presso la Procura di Milano l’Amministratore Delegato e il Direttore Operazioni e Tecnologie.

Eni sta prestando la massima collaborazione alla magistratura e confida che la correttezza del proprio operato emergerà nel corso delle indagini.

Foto: Claudio Descalzi, amministratore delegato ENI – Alessandro Paris/LaPresse