• Mondo
  • Giovedì 22 maggio 2014

31 morti per un attentato in Cina

A Urumqi, la capitale della regione autonoma dello Xinjiang dove da anni ci sono forti tensioni tra gli uiguri – musulmani e turcofoni – e il resto della popolazione di etnia han

Giovedì 22 maggio almeno 31 persone sono morte in un attentato a Urumqi, la capitale della regione autonoma dello Xinjiang, nella Cina nord-occidentale. L’attacco è avvenuto intorno alle 7:50 del mattino locali (l’1:50 di notte in Italia) in un mercato della città: due automobili hanno travolto la folla e successivamente dai loro finestrini sono stati lanciati alcuni esplosivi. Decine di persone sono rimaste ferite e sono state trasportate negli ospedali della zona. Le informazioni sui fatti di Urumqi sono ancora parziali e non è escluso che lo restino a lungo: il governo cinese tiene sotto stretto controllo le notizie che arrivano dalla zona, in cui ci sono da anni forti tensioni tra la popolazione uigura e quella cinese di etnia han.

Diverse persone hanno pubblicato su Weibo, l’equivalente di Twitter in Cina, fotografie scattate poco dopo l’attentato di Urumqi. Nelle immagini si vedono i danni causati dalle due automobili e diversi banchi del mercato andati a fuoco. In un’altra i primi interventi dei vigili del fuoco per spegnere l’incendio e aiutare a soccorrere le persone ferite. Alcuni testimoni hanno riferito di avere sentito esplosioni poco dopo l’arrivo delle automobili, cosa che sembra confermare che siano stati lanciati esplosivi tra la folla. L’utente Wen YunChao ha raccolto in un album su Google+ alcune fotografie condivise dagli utenti di Weibo: ne trovate una selezione qui sotto.

Lo Xinjiang è una regione per lo più desertica, è sotto il completo controllo della Cina dal 1949 e confina con India, Pakistan, Russia, Mongolia, Kazakistan, Afghanistan, Tagikistan e Kirghizistan. Circa il 45 per cento della popolazione è composta dagli uiguri, musulmani turcofoni che costituiscono la maggioranza relativa della popolazione nello Xinjiang. Da anni assistono al fenomeno di una grande immigrazione di cinesi di etnia han, che costituisce circa il 92 per cento della popolazione cinese. Gli uiguri temono che il continuo afflusso di nuovi immigrati faccia perdere la loro cultura e le loro tradizioni, e abbia serie conseguenze per la loro economia.

Nella regione sono attivi gruppi organizzati che portano avanti diversi tipi di protesta per promuovere le loro rivendicazioni. C’è chi chiede pacificamente che il governo centrale cinese riservi agli uiguri un trattamento più equo, mentre ci sono altri gruppi che pensano alla secessione dello Xinjiang, se necessario con l’uso della forza. Il problema più sentito resta comunque quello delle restrizioni per quanto riguarda la religione: gli uiguri devono utilizzare una versione del Corano approvata dal governo, le moschee sono gestite da funzionari governativi, gli uomini che vogliono avere incarichi nella pubblica amministrazione sono costretti a radersi la barba e alle donne viene vietato di portare il velo.

Urumqi, Xinjiang, Cina

Nel 2009 le tensioni tra uiguri e han portarono a violenti scontri a Urumqi nei quali morirono circa 200 persone. Da allora sono diventati più frequenti gli attentati, organizzati da gruppi armati separatisti. Alla fine dello scorso aprile tre persone sono morte in un attentato alla stazione di Urumqi eseguito con esplosivi e coltelli. Un mese prima una trentina di persone erano state uccise nella stazione di Kunming nel sud della Cina, lontano dallo Xinjiang ma secondo il governo cinese comunque opera di un gruppo terroristico riconducibile agli uiguri. A ottobre 2013 cinque persone furono uccise in piazza Tienanmen a Pechino da un’auto che investì alcuni passanti e prese poi fuoco, a bordo c’erano tre persone di etnia uigura.

Il governo cinese dice di avere avviato da mesi una serie di importanti investimenti nella regione dello Xinjiang, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della popolazione e allentare le tensioni. Ma gli uiguri continuano a criticare il governo per le restrizioni legate alla religione e per non avere ancora limitato i flussi migratori da altre aree della Cina. L’attentato a Urumqi è arrivato a pochi giorni di distanza dall’arresto di 39 persone, accusate di avere partecipato all’organizzazione di iniziative terroristiche.