Breve storia di Fabrizio Cicchitto

Dal marxismo al socialismo, dalla P2 alle elezioni del 1994 contro Berlusconi: da dove viene il personaggio che martedì ha sorpreso molti

Da anni Fabrizio Cicchitto è uno dei personaggi più noti del centrodestra italiano, nonché uno dei più vicini a Silvio Berlusconi: è stato capogruppo del PdL, è stato ministro, e sia nelle dichiarazioni pubbliche che nelle combattive ospitate nei talk show è sempre stato uno dei più solidi e convinti alleati e sostenitori di Berlusconi. In questa fase politica però Cicchitto si trova sorprendentemente tra i più critici con Silvio Berlusconi e con la sua decisione di far dimettere i ministri del PdL e togliere la fiducia al governo Letta, ammesso che questo accada, e martedì 1 ottobre ha molto litigato sul tema con il direttore del Giornale Alessandro Sallusti durante la trasmissione Ballarò.

Durante la lite Sallusti ha detto a Cicchitto che uscire dal PdL per sostenere il governo Letta sarebbe una mossa “da veri democristiani”. Ma per Fabrizio Cicchitto – nato a Roma il 26 ottobre 1940, laureato in giurisprudenza – essere definito “democristiano” è molto probabilmente un insulto. La sua formazione politica è avvenuta nel socialismo, come per molti altri esponenti importanti del PdL, tra cui Renato Brunetta. Ci sono tracce su Internet di una “Relazione del compagno Fabrizio Cicchitto alla conferenza operaia nazionale“, che il compagno, già 37enne, tenne al Teatro Nuovo di Torino nel maggio del 1977 (se sentite di non poterne fare a meno, ci sono ancora copie in vendita su eBay).

Nel 1977 Cicchitto era già in parlamento da un anno e faceva parte della direzione nazionale come responsabile sindacale. Apparteneva alla corrente più di sinistra del PSI, quella di Riccardo Lombardi, vicina alle posizioni marxiste, ed era stato segretario della sezione giovanile del partito. Era stato direttore del giornale giovanile di partito, dal battagliero nome “La conquista”, e ai tempi del referendum sul divorzio era a capo della sezione “stampa e propaganda”. In quegli anni, far parte dell’ambiente politico di Cicchitto voleva dire essere parecchio antiamericani in politica estera – Cicchitto fu tra quelli che parlarono di un ruolo della CIA nel sequestro Moro – e altrettanto critici anche verso le politiche degli stessi socialisti al governo (nel 1980 Cicchitto definì “svolta conservatrice” la modifica della cosiddetta “scala mobile”, che farà pochi anni dopo il governo Craxi).

Nel gennaio del 1981 si parlava di Cicchitto come possibile vicesegretario del PSI di Craxi – come rappresentante dell’opposizione interna del partito – e i giornali lo definivano “brillante e giovane esponente della sinistra del PSI”. Ma poche settimane dopo successe uno degli episodi più gravi della sua carriera politica: si trovò il suo nome nelle famose liste degli iscritti alla loggia P2 ritrovate nel marzo di quell’anno. Cicchitto fu tra i primissimi socialisti ad ammettere di averne fatto parte – mentre molti negavano o prendevano tempo – definì quella scelta “un errore” e si disse disposto a dimettersi dalla direzione del PSI. Poco dopo venne sospeso da tutte le cariche e, quando finì il suo mandato parlamentare alla Camera nel giugno del 1983, non venne ricandidato, dopo sette anni da deputato.

Il suo ritorno ai massimi livelli della politica italiana fu molto lento: per una decina d’anni rimase fuori dal Parlamento e lontano dall’attenzione pubblica. Ritornò parlamentare, ancora con il PSI e questa volta in Senato, con le elezioni del 1992, ed era di nuovo in prima fila quando scoppiò l’enorme scandalo di Tangentopoli che provocò la fine di parecchi partiti italiani tra cui lo stesso PSI: era tornato “in tempo per vedere la fine di tutto”, come disse in un’intervista del novembre 1993.

Nel 1994, al momento della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, Cicchitto aveva 54 anni e ne aveva quindi viste già parecchie. Alle elezioni del marzo 1994, quando Forza Italia si presentò per la prima volta (e vinse), Cicchitto era tornato tra i più importanti esponenti del PSI ed era alleato del PdS di Achille Occhetto contro Berlusconi: non fu tra i 14 deputati socialisti eletti nel nuovo parlamento – due anni prima erano stati 94 – e il suo partito storico, ormai moribondo, si sciolse a novembre di quell’anno. Da quegli anni è rimasta a Cicchitto, tra le altre cose, anche una certa fissazione con i temi del garantismo e della giustizia: uno dei suoi libri più recenti, pubblicato da Mondadori, si intitola sinteticamente proprio “L’uso politico della giustizia” (lo ha nominato anche martedì sera durante il litigio con Sallusti).

Dopo qualche anno in una serie di partitini della cosiddetta “diaspora socialista”, a partire dal 1994, arrivò l’altra svolta importante della sua carriera politica: l’ingresso in Forza Italia. Nella breve biografia pubblicata sul suo sito personale, Cicchitto descrive così il passaggio chiave della sua vita politica: “Dopo il crollo del sistema dei partiti della prima Repubblica e dopo aver cercato di ricostruire il PSI, verificata l’impossibilità di questa impresa, nel 1999 aderisce a Forza Italia”.

Gli furono subito affidati incarichi a livello nazionale e nei giorni migliori di Forza Italia, quelli del trionfo elettorale del 2001, Fabrizio Cicchitto era il coordinatore nazionale del partito. Nel 2003 il suo posto passò a Sandro Bondi e lui venne retrocesso a vice (Bondi gli dedicò anche una delle sue famose poesie).

Sembra spesso difficile chiarire le posizioni politiche diverse all’interno di Forza Italia e poi del PdL, ma Cicchitto ha sempre cercato di difendere in qualche modo il suo passato legato al socialismo, come ha fatto negli ultimi anni in parecchi libri, solitamente pubblicati da piccole case editrici, sulla storia dei partiti italiani e in particolare del partito socialista.

L’ultima iniziativa di questo tipo è dell’ottobre del 2012, quando ha promosso “Per un manifesto Lib-Lab”. Il progetto, esposto in un lungo documento di proposte e analisi politiche che partono proprio dagli anni di Tangentopoli, è quello di “coniugare la tradizione socialista con il riferimento più puntuale alle istanze del liberalesimo”, come spiega il periodico del movimento: che si chiama L’ircocervo, un animale mitologico metà cervo e metà caprone utilizzato a volte per descrivere qualcosa di bizzarro e inesistente.

Foto: Vittorio Zunino Celotto/Getty Images