Un governo normale

Ezio Mauro richiama Mario Monti a maggiore umiltà, oggi su Repubblica

Ieri a Seul il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha commentato l’acceso dibattito politico e sindacale sulla riforma del lavoro con la frase: «Se il Paese attraverso le sue forze sociali e politiche non si sente pronto per quello che noi riteniamo un buon lavoro non chiederemmo di continuare per arrivare a una certa data». Monti ha poi aggiunto: «Finora il paese si è dimostrato più pronto di quello che immaginassi e se qualche segno di scarso gradimento c’è stato è andato verso altri protagonisti del percorso politico, non verso il governo».
L’impressione, a leggere i titoli di oggi, è che i quotidiani non vedessero l’ora di montare una volatile questione epocale intorno alle ritrovate “dichiarazioni” della politica, come ai vecchi tempi. Ma la posizione di Repubblica, che ha un severo editoriale di Ezio Mauro, non è interessante tanto per l’incidente puntuale (né per la richiesta di “deideologizzare” il tema dell’articolo 18, contraddetta dall’atteggiamento di tutti i giornali fino a oggi), ma perché arricchisce il dibattito sulla responsabilità e sull’anomala condizione di un capo del governo anomalo, scelto e incaricato in modo anomalo.

Dunque “se il Paese non è pronto” il governo potrebbe anche lasciare. Non è una frase felice quella pronunciata a Seul dal Presidente del Consiglio riguardo all’articolo 18. Chi certifica infatti quando il Paese è “pronto” e in base a quale canone? E soprattutto non siamo a scuola e non tocca ancora ai governi dare il voto ai cittadini: semmai l’opposto.

Non c’è alcun dubbio che se fino ad oggi il voto dei sondaggi per Monti è stato così alto, questo è dovuto in gran parte a due caratteristiche del Premier: il disinteresse personale e la capacità di decidere. C’è dunque un timbro di sincerità quando il Capo del governo spiega che non tirerà a campare pur di durare e non lascerà snaturare dalle Camere quello che considera “un buon lavoro”.

Tuttavia la terza caratteristica di Monti è sempre stata, finora, il buonsenso governante. E qui nascono due questioni, una formale ed una sostanziale. La prima è che quando si sostiene che il Parlamento sovrano è il principale interlocutore del governo, bisogna poi saper ascoltare la discussione che si svolge nelle sue aule, rispettando la decisione finale.

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