Cosa succede con la riforma del lavoro

Tutti i giornali oggi parlano di "accordo vicino", vediamo di che si tratta concretamente

“La partita si è sbloccata e la riforma si può fare”, scrive oggi il Corriere della Sera e lo stesso scrivono tutti i giornali italiani. Il riferimento è alla riforma del mercato del lavoro, al centro da settimane di un negoziato tra il governo, i rappresentanti dei lavoratori e quelli delle imprese. Il governo ha sempre detto di voler fare la riforma comunque, anche senza il sostegno delle cosiddette “parti sociali”, ma è evidente che il raggiungimento di un accordo renderebbe estremamente più semplice il passaggio della riforma in Parlamento e la sua digestione, diciamo, da parte del Paese. Ieri il Sole 24 Ore aveva pubblicato le bozze dei documenti del governo sulla riforma. La trattativa naturalmente è ancora in corso, ci sono molte cose che possono cambiare e il contenuto dell’ultimo incontro non è stato reso pubblico dai vari interlocutori. Prendendo tutto con le opportune cautele, però, la lettura dei giornali di oggi è utile a indicare la direzione verso cui ci stiamo muovendo.

L’articolo 18
L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, al centro di molte battaglie simboliche più che al centro della trattativa, oggi tutela chi lavora in imprese con più di 15 dipendenti garantendo il reintegro in caso di licenziamento “senza giusta causa”. Chi lavora nelle imprese con meno di 15 dipendenti ha invece diritto a un indennizzo economico. Ferma restando la tutela dai licenziamenti discriminatori, che nessuno vuole toccare, l’accordo prevederebbe innanzitutto una migliore definizione della “giusta causa” e dei “motivi disciplinari”. Il diritto al reintegro rimarrebbe solo per i licenziamenti discriminatori, al quale sarebbe accompagnato un risarcimento pari a 24 mesi di stipendio. I licenziamenti per motivi economici sarebbero compensati con un indennizzo, come avviene in Germania. Ovviamente ogni decisione resterebbe appellabile ai tribunali del Lavoro, com’è adesso, ma con una “procedura d’urgenza” per i processi in materia di licenziamento, così da velocizzarli e far sì che durino al massimo 24 mesi.

(Che cos’è l’articolo 18)

Precarietà
Accanto ai contratti a tempo indeterminato, il canale principale di ingresso nel mondo del lavoro diventerebbe il contratto di apprendistato. Il contratto di apprendistato potrà essere stipulato solo dalle imprese che negli anni precedenti hanno confermato “una certa percentuale” di apprendisti e la formazione dovrà essere garantita dalla “presenza obbligatoria del tutore”. I contratti a termine costeranno qualcosa in più alle aziende rispetto ai contratti a tempo indeterminato, ma la differenza potrà essere recuperata dalle aziende se il lavoratore precario viene assunto a tempo indeterminato. L’aumento dell’intervallo temporale tra un contratto a termine e l’altro sarà aumentato, per limitarne gli abusi. La quota contributiva all’INPS dei contratti co.co.pro. sarà aumentata e “avvicinata alle aliquote previste per il lavoro dipendente” e si stabilisce “una definizione più stringente del progetto”. La riforma comprenderà anche misure volte a contenere l’abuso delle partite IVA nei casi di collaborazioni coordinate e continuative. Delle decine di tipologie di contratti a termine ne resterebbero in tutto 7, scrive il Corriere, “ma sarebbero più difficili da utilizzare”.

Ammortizzatori sociali
Gli ammortizzatori sociali sono gli strumenti di sostegno del reddito per chi perde il lavoro o lo sta cercando. Oggi i principali sono: la cassa integrazione ordinaria, che integra parte dello stipendio dei lavoratori che lavorano a orario ridotto o non lavorano del tutto a causa di un momento di difficoltà della loro azienda, se questa ha più di 15 dipendenti e le difficoltà si devono a eventi congiunturali, crisi economiche o del mercato non direttamente imputabili agli operai o all’imprenditore; la cassa integrazione straordinaria, che si può applicare anche ai lavoratori di imprese fallite o in corso di fallimento, e non solo a quelle che attraversano un momentaneo periodo di difficoltà; la cassa integrazione in deroga della quale, soprattutto dal 2008, possono usufruire anche le piccole imprese e alcune tipologie di lavoratori atipici; le indennità di mobilità e di disoccupazione, cioè prestazioni economiche erogate dall’INPS per un certo numero di mesi ai lavoratori licenziati o per alcuni casi di dimissioni, se iscritti alle liste di disoccupazione e mobilità. Il problema principale della cassa integrazione è che privilegia la tutela del posto di lavoro rispetto alla tutela del lavoratore, tenendo spesso lavoratori attaccati per anni a imprese destinate al fallimento, o trovandosi spesso utilizzata come ponte verso il prepensionamento, tradendo la sua missione originaria. Senza contare che non include chi ha contratti atipici, quindi praticamente tutti i lavoratori precari.

(La partita sulla cassa integrazione)

Con la riforma, le cose cambierebbero così. Sarebbe introdotta l’ASPI, Assicurazione Sociale Per l’Impiego, che sostituirebbe le indennità di mobilità e di disoccupazione ordinaria e sarebbe, scrive Francesca Basso sul Corriere, “uno strumento universale di assicurazione del rischio di disoccupazione involontaria, che possa coprire in proporzione anche i lavoratori con minore esperienza lavorativa”. Per accedervi basterebbero due anni di anzianità assicurativa e almeno 52 settimane di lavoro negli ultimi due anni, indipendentemente dal tipo di contratto, precario o non precario.

Sarà esteso l’ambito di applicazione e ne potranno beneficiare anche gli apprendisti e gli artisti dipendenti che attualmente sono esclusi da ogni strumento di sostegno del reddito. L’assegno avrà l’importo massimo di 1.119,32 euro e durerà fino a 12 mesi per i lavoratori con meno di 55 anni di età, 18 mesi per chi avrà almeno 55 anni. La contribuzione sarà estesa a tutti i lavoratori che rientrino nell’ambito dell’Aspi: aliquota dell’1,3% per chi è a tempo indeterminato; aliquota aggiuntiva dell’1,4% per chi non lo è. […] In caso di licenziamenti collettivi l’indennità di mobilità può arrivare fino a 48 mesi per gli over 50 nel Sud: con la proposta del governo questo istituto verrebbe cancellato. Ma potrebbe essere sostituito da un fondo di solidarietà che erogherebbe un sussidio per i lavoratori che raggiungerebbero la pensione entro i quattro anni dal licenziamento. Salterebbe quindi il contributo, previsto dall’esecutivo, dello 0,30% della retribuzione per la mobilità a carico delle aziende (che possono usare lo strumento, quindi quelle industriali con almeno 15 dipendenti o commerciali con almeno 200), le quali però si troverebbero a pagare un «contributo di licenziamento», ovvero, nel caso appunto di licenziamento, mezza mensilità ogni anno per gli ultimi tre anni.

La riforma, per il momento, non tocca la cassa integrazione ordinaria e straordinaria e sostituisce la cassa integrazione in deroga con alcuni precisi fondi di solidarietà. Su questo punto meglio usare ancora più cautele, visto che il governo ha sempre manifestato la voglia di riformare almeno la cassa integrazione straordinaria, quella applicabile anche ai lavoratori di imprese fallite o in corso di fallimento, limitandola o sostituendola con altri strumenti.

La fase di transizione
La riforma entrerà pienamente in vigore nel 2017, due anni dopo quanto proposto dal ministro Fornero, così da dare ai sindacati e alle imprese più tempo per gestire le oltre 200 crisi aziendali già aperte con gli attuali strumenti e avvicinare alla pensione i lavoratori anziani oggi in mobilità. L’auspicio è anche che nel frattempo le condizioni economiche del paese si siano stabilizzate e quindi si possano investire altri soldi negli ammortizzatori sociali.

Che cosa succede adesso
Oggi Monti vedrà Alfano, Bersani e Casini. Poi passerà il weekend a Milano e parteciperà a un convegno di Confindustria. Martedì vedrà nuovamente a Palazzo Chigi i sindacati e i rappresentanti delle imprese, il Corriere lo definisce “il gran finale”. Come dichiarato, l’obiettivo è chiudere entro la settimana prossima.

foto: LaPresse