Tremonti e i film in lingua originale

In una lettera al Corriere della Sera, l'ex ministro esorta la RAI a trasmettere i film stranieri con i sottotitoli per rendere l'Italia "più competitiva"

In una lettera al Corriere della Sera, l’ex ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti ha esortato oggi la RAI a trasmettere i film in inglese in lingua originale, senza doppiaggio e con i sottotitoli in italiano. Un provvedimento del genere, scrive Tremonti, renderebbe l’Italia più competitiva perché l’inglese “è la lingua della globalizzazione”, anche se “da noi non è diffusa”, e il servizio pubblico potrebbe aiutare gli italiani a superare il loro handicap. L’ex ministro dell’Economia fa anche esplicito riferimento all’idea delle «3 I» (impresa, informatica, inglese), uno slogan delle campagne elettorali di Berlusconi di cui Tremonti dice di essere stato autore e sostenitore da più di quindici anni.

Caro direttore,

tanti oggi si adoperano per rendere «più competitiva» l’Italia. Ci sono tanti modi per farlo, anche modi non direttamente «economici». Eccone uno. Nella globalizzazione, i popoli di lingua inglese hanno un vantaggio competitivo di partenza: parlano l’inglese, la lingua della globalizzazione. Gli altri popoli hanno per contro un handicap: l’inglese lo devono imparare. Molti popoli — a nord, ad est, nel centro Europa — hanno peraltro una naturale, davvero grande capacità nell’apprendere le lingue straniere e, tra queste, l’inglese. In ogni caso, oltre a questa, ogni giorno hanno accesso a media, soprattutto a televisioni che sistematicamente trasmettono film e programmi direttamente in lingua inglese. Per gli italiani, che pure hanno molti altri caratteri positivi, non è così: l’inglese da noi non è diffuso e le statistiche lo dimostrano. Eppure anche per l’Italia la diffusione su vasta scala dell’inglese è strategica, essenziale per la nostra «competitività».

Quella delle «3 I» (impresa, informatica, inglese) è una idea che ho esposto in due vecchi libri: nel 1997 e prima ancora nel 1995. Una idea che ha poi avuto un successo più comunicativo (elettorale) che operativo (governativo). Non è questa la sede per verificare cosa allora è successo o più propriamente cosa allora non è successo, quali meccaniche politiche di disinteresse/interesse si sono allora attivate. Ciò che vorrei qui rilevare è che l’idea di utilizzare il servizio pubblico televisivo per la diffusione dell’inglese è ancora valida. Infatti, se gli Italiani sanno poco l’inglese, vedono molto la televisione. Ed è proprio questa particolare relativa asimmetria che può essere trasformata in una opportunità. Nell’Ottocento, nel Novecento i vecchi Stati-nazione investivano enormi risorse finanziarie nella pubblica formazione: tanto nella scuola pubblica, quanto nelle leve militari («… masse di operai addensate nelle fabbriche vengono organizzate militarmente. E vengono poste, come soldati semplici dell’industria, sotto la sorveglianza di una completa gerarchia di sottoufficiali e ufficiali». Se di questi tempi questa citazione non fosse ritenuta sconveniente dai benpensanti o addirittura proibita, tenderei ad attribuirla a K. Marx).

Oggi un equivalente strategico investimento pubblico in formazione, operato usando la televisione, può avere un costo minimo, ma per contro un forte ritorno competitivo, a nostro vantaggio.

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Luca Sofri: La i di inglese e la televisione