Il caso Fassina

Da dove comincia lo scontro che ieri ha portato a una richiesta di dimissioni del responsabile economico del Partito Democratico

Una corrente del Partito Democratico, quella dei Liberal, ha chiesto ieri le dimissioni di Stefano Fassina da responsabile economico, dando ufficialità formale al dibattito interno piuttosto vivace che il PD sta affrontando da qualche mese sui temi economici. Stefano Fassina ha 46 anni e fa parte della segreteria del PD dal 2009: laureato in Economia all’università Bocconi di Milano, ha lavorato a lungo con Pier Luigi Bersani, è stato consigliere economico del ministero del Tesoro, ha lavorato al Fondo Monetario Internazionale e al ministero dell’Economia nel corso dell’ultimo governo Prodi.

Negli ultimi mesi dentro il PD si è molto parlato delle posizioni di Fassina. Il responsabile economico del partito si era dichiarato tassativamente contrario a un’imposta patrimoniale, quando l’aveva proposta Veltroni («L’abbiamo detto e ripetuto mille volte, noi, il PD, un’imposta sul patrimonio non la vogliamo»), per poi dirsi favorevole qualche giorno fa («Serve un’imposta patrimoniale significativa, ordinaria, che esenti i piccoli patrimoni»); si era detto contrario alla reintroduzione dell’ICI e poi, oggi, possibilista. Fassina ha molto criticato il contenuto della lettera della BCE, dicendosi concorde con chi sostiene che il PD dovrebbe schierarsi «dall’altra parte» rispetto alle istituzioni europee e sostenendo che le indicazioni del commissario europeo Rehn sono «deprimenti sul piano intellettuale ed economico». Ha descritto Matteo Renzi come «figlio di papà, portaborse miracolato» e le proposte di Ichino su lavoro come «espresse a titolo personale». E soprattutto – vengono da qui i nervosismi di Liberal – Fassina ha sostenuto più volte che le idee liberali della minoranza del PD sono frutto di «un impianto culturale di tipo neoliberista» da cui «il centrosinistra si è lasciato troppo affascinare».

La fine del governo Berlusconi e la nascita del governo Monti hanno portato con loro altre polemiche. Prima Fassina ha detto che «il governo d’emergenza non è necessariamente una soluzione migliore delle elezioni anticipate», poi ha detto che sarebbe dovuto durare solo «qualche mese», suggerendo un ritorno al voto nella primavera del 2012. Entrambe le cose sono state smentite dalla linea di Bersani e quando Mario Monti – che promette di attuare gli impegni assunti con l’UE criticati da Fassina – ha delineato una riforma del mercato del lavoro molto simile, se non identica, a quella proposta dal senatore Pietro Ichino, il Corriere della Sera ha parlato esplicitamente di “caso Fassina”. Le voci di richieste di dimissioni nei suoi confronti erano circolate nei giorni scorsi, ma Fassina aveva detto di volerle commentare solo quando a queste fossero state affiancate delle firme e delle facce. È successo ieri con questo documento della corrente Liberal.

“Le posizioni che Stefano Fassina ha assunto prima, durante e dopo la crisi del governo Berlusconi sono pienamente legittime in un partito in cui convivono sensibilità e storie diverse. Quello che non è comprensibile è che esse siano espresse dal Responsabile Economico del PD, ed appaiano in netta dissonanza rispetto alle linee di responsabilità e di rigore assunte giustamente dal Segretario Bersani. Criticare aspramente la linea di rigore e sviluppo assunta prima dalla Banca d’Italia e poi dalla BCE, bollare come liberiste posizioni ‘liberal’ come quella del senatore Ichino, prospettare soluzioni ispirate alle vecchie culture politiche del secolo passato, non è compatibile con il dovere di rappresentare il complesso delle posizioni assunte dal PD. I Liberal PD chiedono a Stefano Fassina di fare un passo indietro, e di sostenere le sue idee liberamente, senza il vincolo della responsabilità politica che gli è stata affidata.”

Il testo è firmato da Enzo Bianco, Ludina Barzini, Andrea Marcucci e Luigi De Sena. Inizialmente si era detto che anche Ichino fosse tra i firmatari, ma questo ha poi smentito e si è dissociato dalla richiesta. Ieri Fassina è stato difeso da molti esponenti del PD, e tra questi anche molti di quelli che in questi mesi hanno più discusso con lui, come Walter Veltroni ed Enrico Letta. E naturalmente è stato difeso anche dal segretario del PD, Pier Luigi Bersani, che ha detto: «Il PD ha una linea certificata approvata da tutti gli organi del partito. E Fassina si rifà a quella. Questa richiesta di dimissioni francamente non la capisco». Alessandro Trocino sul Corriere della Sera di oggi scrive anche che “nel colloquio a quattr’occhi” tra Bersani e Fassina il segretario del PD avrebbe invitato il responsabile economico “a moderare i toni e le dichiarazioni, per non creare troppe polemiche”.

Anche Fassina ribadisce spesso che le sue idee sono quelle approvate dagli organi del partito, «all’unanimità», facendo riferimento alla conferenza sul lavoro dello scorso giugno a Genova. In quell’occasione ci fu un confronto vivace tra i sostenitori di due documenti, uno di Fassina e uno di Ichino, e alla fine i sostenitori del documento Ichino decisero, su invito di Bersani, di ritirare il loro documento per non spaccare il partito: per questo i Liberal considerano provocatorio che si brandisca contro di loro il documento Fassina «approvato all’unanimità» o si considerino «a titolo personale» le proposte di Ichino (sottoscritte tra l’altro da 55 senatori del PD, la maggioranza del gruppo parlamentare). Dall’altro lato, i sostenitori di Fassina dicono che simili discussioni andrebbero affrontate in un congresso, e dato che l’ultimo è stato vinto da Bersani questo ha pieno diritto di delineare la sua linea politica ed economica anche in disaccordo dalla maggioranza – sebbene della maggioranza faccia parte pure Enrico Letta, vicesegretario del PD e avversario di Fassina.

Stefano Fassina ha risposto al documento dei Liberal dicendo che ha intenzione di regalare a chi lo contesta «un abbonamento al Financial Times, così possono trovare, aggiornate e non ideologiche, le posizioni della cultura liberale».

Che cosa c’è dietro il caso Fassina, di Stefano Menichini
L’errore dei Liberal su Fassina, di Francesco Costa

foto: Mauro Scrobogna/LaPresse