Le pensioni del futuro

I risultati di uno studio dell'INPS fanno dire al Corriere della Sera che "la situazione previdenziale dei giovani non è drammatica come sembra"

Un anno fa erano molto circolate online alcune parole del presidente dell’INPS, molto fuori contesto, secondo cui le pensioni delle giovani generazioni saranno molto basse, basse al punto da non poter diffondere delle proiezioni salvo rischiare “un sommovimento sociale”. Oggi il Corriere della Sera pubblica e commenta i risultati di uno studio dell’INPS che fornisce invece numeri ben più incoraggianti.

Si andrà in pensione più tardi, sempre più tardi. Ma proprio il pesante allungamento dell’età minima per lasciare il lavoro, conseguente alle riforme più recenti, farà sì che l’importo della pensione non sarà così basso come si è stimato finora: potrà essere pari al 70% dell’ultimo stipendio per un lavoratore dipendente e del 57% per un parasubordinato. È l’effetto del metodo di calcolo contributivo che si applica, integralmente, a chiunque abbia cominciato a lavorare dopo il 1995: più anni di contributi si versano, più tardi si va in pensione, è più si prende. Bisogna quindi rivedere il discorso che si è sempre fatto sul contributivo che falcidiava le pensioni, riducendo il tasso di copertura rispetto all’ultimo stipendio a circa la metà dello stesso. Questo era vero fino a quando l’età pensionabile era rimasta più o meno la stessa di prima: 58-60 anni per la pensione di anzianità (con 35 anni di contributi) e 65 per quella di vecchiaia (60 per le donne). Ma la situazione è molto cambiata per chi comincia a lavorare oggi.

Costui non potrà andare in pensione prima di aver raggiunto 65 anni e 3 mesi (nel 2046) se avrà i 35 anni di contributi necessari per la pensione anticipata, senza differenze tra uomini e donne. Altrimenti dovrà attendere fino a 69 anni e 3 mesi. Sarà infatti questa l’età di pensionamento di vecchiaia richiesta nel 2046, per effetto di tre misure: finestra mobile (la pensione decorre con ritardo di 12-18 mesi rispetto alla maturazione dei requisiti); aumento a 65 anni dell’età di vecchiaia per le donne; adeguamento automatico ogni tre anni dell’età pensionabile alla speranza di vita. Il risultato è che anche le pensioni di vecchiaia avranno alla fine almeno 35 anni di contributi alle spalle. Di qui la necessità di rifare i calcoli sul tasso di copertura. Cosa che ha fatto Stefano Patriarca, responsabile dell’area pensioni dell’ufficio studi dell’Inps in un rapporto (che non impegna l’istituto) che verrà presentato lunedì alla Scuola superiore di economia e finanze Ezio Vanoni.

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