Che cos’era Tripoli ieri

Il racconto di Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere, che ieri ha attraversato la capitale libica vedendo molte cose (e facendosi sparare addosso, tra l'altro)

Lorenzo Cremonesi, giornalista e inviato del Corriere della Sera, si trova a Tripoli. Oggi il grosso dei quotidiani italiani racconta cosa gli è capitato ieri, quando la sua macchina è stata oggetto di una sparatoria nella capitale libica e cinque persone sono morte. Cremonesi sta bene.

Il ragionamento sembrava filare, almeno in apparenza: «Ieri sera (domenica per chi legge, ndr ) le avanguardie della guerriglia sono entrate trionfanti in piazza Verde, accolte dalla folla in delirio, dunque oggi la città sarà ancora più festosa». Così riflettevano ieri mattina, in tantissimi, tra le colonne dei ribelli in armi e gli attivisti civili delle rivolte, che a migliaia, già dopo le otto, davano fondo alle ultime scorte di benzina per tornare a celebrare la caduta di Gheddafi in quelli che sono stati per 42 anni i luoghi-simbolo della dittatura a Tripoli: non solo piazza Verde, ma anche il quartiere Bab al Aziziya, gli odiati uffici di radio e televisione nazionali, i ministeri, le caserme, le prigioni centrali e, nonostante sia di recente costruzione, l’hotel Rixos. Confluivano dalle zone appena liberate della costa e dalla città di Zawiya, scendevano dalle montagne di Nafusa, dai villaggi a Sud della cittadina contesa di Al Garian. Si aspettavano un lunedì di gioia, la conferma tangibile che l’incubo fosse finito davvero e ormai mancasse solo la cattura di Gheddafi per celebrare la vittoria definitiva. (L’inviato del «Corriere» sotto il fuoco – ascolta)

Ma così non è stato, o almeno lo è stato solo in modo molto parziale. Sulla gioia hanno preso ben presto il sopravvento la paura, la preoccupazione, l’insicurezza. La festa è diventata in poche ore il preludio di un possibile incubo, fatto di guerriglia, attentati, vendette violente. Alle nove della mattina, sulla strada litoranea, si svolge tutto come previsto: «Buonanotte Gheddafi», grida a squarciagola un anziano nel sentire che c’è un inviato italiano. I bambini e le donne applaudono al passaggio dei gipponi colorati dei ribelli, sovrastati da mitragliatrici contraeree. Ogni tanto le raffiche di festeggiamento scuotono l’aria. Molti si soffermano a guardare i cancelli divelti e i resti fumanti di ciò che resta della temibile base della «Brigata 32», bombardata nella notte e saccheggiata dai ribelli. Carcasse di tank e cingolati leggeri, bruciate e già spolpate, si incontrano sempre più spesso agli incroci, andando avanti sulla strada costiera. Un paio di caserme della polizia, rase al suolo e sbriciolate, ricordano l’effetto devastante e l’accuratezza dei raid aerei della Nato. Ma che le cose non vadano per il verso giusto si capisce subito, entrando nelle periferie di Tripoli.

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