Fare il morto
Adriano Sofri sulla strage nel canale di Sicilia
Adriano Sofri commenta la strage di ieri nel canale di Sicilia, dove più di 250 persone sono cadute in mare da un barcone di migranti nella notte.
I corpi degli umani annegati galleggiano presto. Anche quelli dei bambini, delle donne. Anche quelli vestiti, se hanno addosso vestiti da poco.
È il modo più facile per imparare il mare, fare il morto. Alcuni sono scampati perfino al deserto così, facendo il morto. Avvistati dall´alto degli elicotteri e degli aerei, “non sollevano il braccio”, dicono i soccorritori. Non fanno il morto, sono morti, a centinaia. Si sono aggiunti alle migliaia cui il Mediterraneo dei nostri anni fa da fossa comune. Senza un segno che distingua un profugo da un clandestino, che distingua le ossa di uno dalle infinite altre che la morte semina in mare e in terra. Sono venuti da lontano, all´appuntamento con l´ultimo mare – in vista di tante isole felici, di tanti solidi bastimenti. Hanno un´intera mappa di violenze, persecuzioni, carestie, tatuata addosso: Somalia, Eritrea, Etiopia, Darfur, Ciad, Nigeria, Costa d’Avorio…
Sono eroi, dell’eroismo che si misura sul numero di guerre dalle quali si è fuggiti, sulle frontiere attraversate e il dazio pagato ai predoni che le presidiano. In Libia avevano già trovato il saccheggio e gli stupri e la schiavitù: e ora un´ennesima guerra. Sembrava averli sciolti, aver sgombrato l´accesso alla costa e al mare. Militi ignoti di nessuna milizia, del desiderio di una vita normale in un mondo in cui inseguire una vita normale vuol dire passare il Sahara e i lager e il mare, e ogni volta pagare ed essere spogliati ed essere violentate. Quattrocento dollari, solo l´ultima tratta. Tutto questo c’è stato, prima che il mare si richiudesse su loro e li rigettasse a galla con le braccia spalancate di poveri cristi d’acqua. Se non si fosse alzata la burrasca, se avessero toccato terra, sarebbero passati tra due file: di poliziotti, di volontari, di medici, di cittadini solidali sì ma perché proprio qui, e così via, chissà per quanto ancora, forse per sempre, una vita intera fra due file.
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