Le guerre del ventunesimo secolo

Christian Rocca e le cose che uniscono gli interventi militari in Bosnia, Kosovo, Afghanistan, Iraq e Libia

Sul Domenicale del Sole 24 Ore, Christian Rocca in un lungo articolo racconta le guerre del ventunesimo secolo e spiega, nelle loro indubbiamente grandi differenze, quello che hanno in comune: sono state guerre contro regimi dittatoriali, con radici ideologiche meno semplicistiche di quanto a volte si sia portati a credere. Sì, “ventunesimo secolo” è per orientarsi: la guerra in Kosovo è datata 1999.

Guerra umanitaria, guerra giusta, guerra democratica. Peace-keeping, peace-enforcing, operazione di polizia internazionale. Difesa attiva. Missione di pace. Operazioni impreviste d’oltremare. Fino all’ultima trovata lessicale coniata in ambito obamiano per descrivere con la neolingua del politicamente corretto l’imposizione della no-fly zone sui cieli libici: azione militare cinetica. Formulazioni retoriche a parte, dal 1999 l’occidente combatte sempre la stessa guerra: la guerra buona, etica e morale ideata un decennio dopo la caduta del Muro di Berlino da due leader della sinistra mondiale, Tony Blair e Bill Clinton. Una guerra capace di mobilitare le coscienze, legittimata a violare la sovranità nazionale in nome del diritto di ingerenza democratica, volta a fermare preventivamente i massacri, i genocidi e la pulizia etnica.

Dietro questa finzione si nasconde il nuovo modo occidentale di fare la guerra, in realtà l’unico. Non c’è grande differenza ideologica tra gli interventi militari in Bosnia, Kosovo, Iraq, Libia e la continuazione della guerra in Afghanistan. Non è un caso che, tranne qualche eccezione, tra i promotori e in prima fila ci siano sempre gli stessi politici e intellettuali americani ed europei: Blair, i suoi eredi di sinistra e di destra; la famiglia Clinton e i suoi consiglieri, esperti e analisti; gli opinionisti Andre Glucksmann, Bernard Henry Lévy, Christopher Hitchens, Leon Wieseltier e Paul Berman; le riviste liberal come «New Republic» e le pagine degli editoriali del «Wall Street Journal». Ideologicamente, interventisti liberal e neoconservatori si dividono soltanto sul ruolo delle istituzioni internazionali, dai neocon giudicate un freno al potere americano e dai liberal come un’utile legittimazione politica del dominio statunitense. Entrambi credono nella promozione della democrazia, nella forza militare come strumento per centrare obiettivi umanitari, nel diritto-dovere dell’occidente di riparare i guasti del mondo. Si arriva a un paradosso, il paradosso umanitario, ha scritto l’opinionista di sinistra David Rieff in Un giaciglio per la notte (Carocci): chi si batte per il rispetto dei diritti umani, per la pace e per la democrazia invoca interventi militari per raggiungere quegli obiettivi. La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni umanitarie, secondo Rieff. La pace può anche essere violenta, argomenta il giurista e romanziere Stephen L. Carter nel saggio The violence of peace con cui esamina le idee di Obama sulla guerra giusta, etica e morale.

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