La sinistra e i tre Roberto

Pensare che i successi di Saviano, Benigni e Vecchioni siano un segnale politico è inutilmente autoconsolatorio

Qualche giorno fa Barbara Spinelli su Repubblica aveva scritto che in qualche modo la vittoria di Roberto Vecchioni al festival di Sanremo è un segnale della fine del berlusconismo e del cambiamento nel paese. Altre opinioni erano state espresse in questo senso da Gad Lerner e altri, riguardo Vecchioni ma anche riguardo il grande successo che riscuotono spesso Roberto Saviano e Roberto Benigni, gli altissimi ascolti di Vieni via con me, eccetera. Oggi il Corriere della Sera pubblica un articolo sull’argomento di Antonio Polito.

Un acceso dibattito sta divampando sul rapporto tra il berlusconismo e i tre Roberto. Intesi come Roberto Saviano, Roberto Benigni e Roberto Vecchioni. Il contenuto della discussione — in corso su numerosi giornali— è pressappoco il seguente: il successo dei monologhi televisivi di Roberto S, delle performance patriottiche di Roberto B, e della canzone sanremese di Roberto V, come tre indizi fanno una prova che il berlusconismo è agli sgoccioli, e che da qualche parte c’è del nuovo che avanza?

Poiché l’ha innescata Barbara Spinelli, una delle coscienze più pensose dell’antiberlusconismo, una domanda così nazionalpopolare ha fatto sensazione. E provocato più di un sarcasmo da parte dei paladini del berlusconismo, i quali maliziosi ricordano che è meglio non scolpire nel marmo i nuovi versi di Roberto V, che della donna aveva già in passato più prosaicamente cantato «la gioia del suo culo e del suo cuore», e respinto infastidito più femministe ambizioni («prendila tu quella col cervello e col pisello, che si innamori di te quella che fa carriera» ). Sul rapporto tra rima baciata e politica, parole definitive erano del resto già state pronunciate proprio da un altro cantautore: «Non mettetemi alle strette, sono solo canzonette» (Edoardo Bennato). E a quelle consiglio di attenersi. Non ci trovo però niente di male nel fatto che ambienti colti, austeri e progressisti, i quali hanno spesso attribuito il disastro etico ed estetico dell’Italia al Grande fratello o alla Pupa e al secchione, riscoprano una lettura gramsciana dei fenomeni della cultura di massa, e li sdoganino come sintomi di movimenti profondi dell’opinione pubblica.

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