Troppa memoria

Il direttore del Corriere della Sera affronta il problema della conservazione della storia e del Giorno della Memoria in tempi di troppe informazioni

La questione della memoria storica, del suo valore e della sua conservazione, ha prodotto negli ultimi anni delle sottoquestioni in parte legate ai cambiamenti portati dalle nuove tecnologie, in parte alla velocità dei cambiamenti: come mantenere un’attenzione critica sul passato mentre il futuro ci precipita addosso, come conciliare le necessità culturali di conservazione della memoria con la nuova richiesta del diritto all’oblìo, come dare senso alla grande quantità di informazioni sul passato e impedire che diventino irrilevanti per eccesso. In coincidenza col Giorno della Memoria il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli oggi ha scritto alcune riflessioni non banali su questi temi.

Viviamo schiacciati in un disperato presente e a volte ci assale un senso di vuoto che mette in forse anche la nostra incerta identità italiana. Se è consentito per un attimo evadere dalla stretta e pruriginosa attualità, senza che questo appaia una forma di disimpegno morale, vorremmo cogliere l’occasione della prossima giornata della memoria, 27 gennaio, il ricordo dell’immane tragedia della Shoah, per parlare un po’ di noi stessi e discutere di quello che stiamo diventando: un Paese smarrito che fatica a ritrovare radici comuni e si appresta a celebrare distrattamente i 150 anni di un’Unità che molti mostrano di disprezzare.
Noto una certa stanchezza, nell’approssimarsi di una ricorrenza (il 27 gennaio del ’45 venne liberato il campo di Auschwitz), peraltro istituita con una legge dello Stato soltanto undici anni fa. Avverto un pericoloso scivolamento nella retorica o nella ritualità dei ricordi. Anna Foa, sul Sole 24 Ore di ieri, giustamente ci metteva in guardia dall’ipertrofia della memoria, che rischia di far perdere l’indispensabile nesso fra funzione conoscitiva (sapere perché non accada più) e funzione etica (cittadini consapevoli dei valori universali e, dunque, migliori). Non mancano, e sono numerose, le eccezioni positive, soprattutto nel mondo della scuola, ma ciò non è sufficiente a dissipare la sensazione di un progressivo distacco dagli avvenimenti, la cui comprensione profonda è indispensabile alla nostra formazione culturale e civile. Avvenimenti che tendono ad allontanarsi, e non solo per effetto del tempo che passa, dal nostro orizzonte identitario, come accade per il Risorgimento o per la Resistenza, di cui la nostra Costituzione è figlia. I negazionisti o i mistificatori abbondano in Rete. Ma dobbiamo temere anche gli indifferenti, e non sono pochi, davanti ai quali le testimonianze dell’esistenza di un male assoluto scorrono come le immagini di una qualsiasi fiction: sembrano non penetrare le coscienze e non muovere alcuna forma di commozione. Svaniscono un attimo dopo essere state viste, nel trionfo di una memoria digitale tanto abbondante quanto fredda.

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