C’è un rischio Spagna?

L'Europa può reggere anche il fallimento del Portogallo, dice il New York Times: ma quello spagnolo no

Secondo il New York Times l’Europa che è sopravvissuta al disastro finanziario greco e che può reggere quelli irlandese e portoghese (se il Portogallo diventasse la terza nazione a chiedere aiuto), deve preoccuparsi invece seriamente della Spagna: un’economia di dimensione doppia delle altre tre messe insieme. Malgrado i piani di austerità varati nel paese, spiega l’articolo, è il sistema bancario della Spagna a potersi rivelare più fragile di quanto speri il governo: proprio come in Irlanda. Questa possibilità rende più precari i prestiti e i tassi crescono anche se il deficit nazionale è stato ridotto e le banche garantiscono di essere forti abbastanza per assorbire i rischi dei prestiti immobiliari. Secondo l’economista Pablo Vázquez sono proprio i le preoccupazioni continentali per l’euro l’estrema garanzia di difesa per la Spagna.

Che gli investitori siano preoccupati lo si vede dal confronto tra le misure di credito a protezione degli investitori sulle obbligazioni di stato decennali spagnole e quelle tedesche, che mercoledì ha mostrato la maggiore differenza dall’introduzione dell’euro: 2,59%. Si tratta dal dato più alto da quando è stato introdotto l’euro ed è dovuto principalmente dal timore percepito dagli investitori, che vedono un maggior rischio di non essere ripagati per i loro investimenti.

Nonostante gli allarmi di numerosi economisti, secondo il ministro delle finanze spagnolo Elena Salgado, il paese non avrà bisogno di alcun piano di salvataggio finanziario paragonabile a quello messo in atto per la Grecia, e negli ultimi giorni per l’Irlanda. La Spagna ha del resto un debito molto alto che supera i 203,3 miliardi di dollari, ma a differenza di altri paesi ha il vantaggio di avere questo debito “spalmato” sulle proprie banche senza particolari debiti con l’estero. Secondo gli analisti, nel caso di un peggioramento delle condizioni economiche della Spagna, le banche nazionali potrebbero essere più interessate a mettere in atto con più rapidità piani per riequilibrare l’assetto economico del paese rispetto alle banche estere.

Il nervosismo degli investitori sta aumentando in un momento in cui Madrid è chiamata a gestire un deficit che ha raggiunto l’11,1% del prodotto interno lordo dello scorso anno. Il primo ministro Zapatero, inizialmente lento nel dare una risposta alla crisi, ha sollecitato in parlamento l’adozione di un piano di austerità lo scorso maggio che comprende 15 miliardi di euro di tagli alla spesa pubblica. Come risultato, il deficit del governo centrale spagnolo è diminuito del 47% nel corso dei primi dieci mesi di quest’anno, stando alle rilevazioni governative fornite martedì. Anche l’Irlanda ha messo in campo dei sensibili tagli, ma un piano di salvataggio alla fine si è reso comunque necessario. Il motivo principale è che le sue banche avevano molti più problemi di quanto avesse immaginato il governo, che non è stato poi in grado di sostenerle senza l’aiuto dell’Europa.

Il nodo centrale dal quale dipende il possibile aggravarsi della crisi in Spagna è proprio questo: le banche spagnole sono così in salute come sostengono di essere e come sostiene il governo? Gli istituti di credito spagnoli hanno superato con buoni risultati gli stress test europei dello scorso luglio, ovvero le analisi condotte per calcolare la disponibilità di capitale e la capacità di reazione alla crisi. La loro solidità potrebbe essere messa in pericolo dalla crisi del mercato immobiliare del paese e dal Portogallo, nel caso in cui dovessero peggiorare le condizioni economiche del paese.

Infine, secondo alcuni economisti, la politica di forti tagli messa in atto dal governo spagnolo per tenere in ordine i conti potrebbe faticare ad affermarsi anche a livello locale. Le spese delle amministrazioni regionali costituiscono il 57% della spesa pubblica e le imminenti elezioni – in Catalogna si vota domenica – potrebbero indurre i nuovi eletti a varare nuovi piani di spesa, che potrebbero complicare la scelta di tagliare i costi adottata a livello centrale. Il governo di Zapatero sembra essere comunque determinato a non concedere nulla: il sindaco di Madrid ha chiesto, per esempio, di poter aumentare la spesa nonostante il debito della città abbia raggiunto i 7,15 miliardi di euro, ma il governo si è fermamente opposto. Per alcuni analisti, il no di Madrid dà chiaramente il polso della situazione spagnola e non manda un messaggio molto incoraggiante sul destino economico del paese nel breve periodo.