Cinque nuovi indagati sull’attentato dell’Addaura

Un pezzo di stato dietro l'attentato fallito a Giovanni Falcone del 1989?

Ci sono cinque nuovi indagati nell’inchiesta sull’attentato dell’Addaura, il tentativo (fallito) di uccidere Giovanni Falcone durante l’estate del 1989. Un attentato sul quale non si è mai fatta completa chiarezza, e sul quale da anni si discute di un’ipotesi che pare ormai essere piuttosto concreta: tra i mandanti non ci sarebbero stati soltanto mafiosi – Riina, Biondino e Madonna sono stati condannati per l’accaduto – ma anche “un pezzo di Stato”, interessato a togliere di mezzo il magistrato siciliano.

I cinque nuovi indagati della procura di Caltanissetta sono mafiosi accusati di avere avuto contatti e relazioni con uomini dei servizi segreti. Gaetano Scotto (già condannato per l’omicidio di Paolo Borsellino e della sua scorta), Salvino Madonia, Raffaele Galatolo, Angelo Galatolo e il collaboratore di giustizia Angelo Fontana. Ma il quadro non è ancora completo, scrive Alessandra Ziniti su Repubblica.

Il pool di magistrati diretto dal procuratore Lari e dagli aggiunti Gozzo e Marino sta anche cercando di dare un nome agli uomini degli apparati istituzionali che allora appoggiarono e probabilmente prepararono il campo all’attentato, che negli anni hanno depistato le indagini e che, negli ultimi mesi, da quando l’inchiesta ha imboccato la nuova pista, hanno provato a controllare il lavoro dei magistrati. Questa finalità avrebbe avuto l’intrusione scoperta negli uffici della Dia di Caltanissetta, a cui i pm hanno affidato le indagini. Un uomo sarebbe riuscito ad introdursi nella sede e a collegarsi con i computer accedendo a file dell’indagine. Una vicenda poco chiara alla quale non sarebbe estraneo il recente cambio ai vertici della Dia di Caltanissetta. E un’altra talpa delle forze dell’ordine avrebbe invece fatto da regista informando i mafiosi che quel giorno il giudice Falcone sarebbe andato all’Addaura per un bagno. Un disegno che sarebbe stato sventato dall’intervento di altri due uomini dei servizi segreti, Antonino Agostino ed Emanuele Piazza, uccisi mesi dopo in misteriosi agguati. I pm di Caltanissetta hanno disposto un incidente probatorio ordinando il prelievo delle tracce di Dna dalla muta, dalle pinne e dagli occhiali rinvenuti sulla scogliera dell’Addaura per compararlo con quello di Emanuele Piazza e Antonino Agostino. Secondo la nuova pista, infatti, Piazza e Agostino quel giorno sarebbero stati su un gommone davanti casa di Falcone e avrebbero dato l’allarme facendo fallire l’attentato.

Certo non sarà facile ricominciare le indagini adesso. Molti dei personaggi di quegli anni è morto, o ha smesso di parlare. Chi doveva cancellare informazioni, nascondere prove e depistare, ha avuto tutto il tempo di farlo. Lo testimonia il quadro descritto da Attilio Bolzoni, sempre su Repubblica.

Le carte delle stragi siciliane le hanno recuperate un mese fa, appena dopo Pasqua. Erano ammassate in uno stanzone, forse per qualcuno destinate all’oblio perenne. Decine di migliaia di fascicoli, verbali di interrogatorio e di perquisizione, tabulati telefonici, trascrizioni, informative su pedinamenti. Alcuni faldoni erano ammuffiti, altri coperti da escrementi, altri ancora vicini alla decomposizione. […] Le carte – quintali – sono tutti gli atti che non sono mai confluiti nei processi e che, oggi, i magistrati vogliono spulciare una per una per scoprire il patto che ci fu fra Cosa Nostra e pezzi dello Stato. I fascicoli sono stati prelevati e ripuliti, ricomposti e trasferiti alla Questura di Palermo «a disposizione dell’autorità giudiziaria competente». In quella montagna di documenti fradici («Ce n’erano moltissimi divorati dall’umidità e dai parassiti, ancora qualche mese e li avremmo sicuramente ritirati non più integri», assicura chi li ha visti) si possono rintracciare i fili della strategia della tensione che ha portato alla morte di Falcone e Borsellino. Lì dentro gli investigatori sperano di scorgere le impronte di chi ha deviato le indagini, fin dall’attentato sugli scogli dell’Addaura del giugno del 1989.

Quello che gli investigatori hanno trovato nello stanzone rappresenta in modo evidente quanto si tratti di un’indagine proibitiva, e non solo per le condizioni in cui si trovavano i fascicoli.

Basta fare solo un esempio per spiegare cosa hanno «rinvenuto» i procuratori di Caltanissetta sulle tre vicende giudiziarie – attentato dell’Addaura, strage Falcone e strage Borsellino – intorno alle quali un anno fa hanno riaperto le indagini. L’esempio riguarda gli identikit, sei, tracciati dai poliziotti della squadra mobile di Palermo nei giorni successivi al 23 maggio del 1992 degli uomini che erano stati notati da una decina di testimoni «nei pressi del luogo dell’attentato». I magistrati li hanno cercati nel fascicolo dove dovevano stare e lì non c’erano. Li hanno ritrovati alla biblioteca nazionale di Roma su una copia di Repubblica del 13 giugno 1992 (è stato l’unico quotidiano a tiratura nazionale, insieme al Giornale di Sicilia, a diffondere i volti dei sei presunti killer), poi hanno individuato gli identikit – tutti?, mentre scriviamo non abbiamo questa certezza – in altre schede dove invece gli identikit non dovevano stare. Ma, come spiegano alcuni inquirenti, «oltre a quegli identikit lo stato dei fascicoli presenta numerose altre anomalie».

E allora uno si immagina un pool di poliziotti e magistrati che ricomincia da capo, che rovista negli archivi, che si divide i compiti nel tentativo di fare luce. Invece no: manco fossimo dentro una serie televisiva, chi indaga sui mandanti non mafiosi delle stragi è un poliziotto solo.

Uno solo per scoprire i misteri dell’Addaura, per scoprire tutte le trame della trattativa fra i boss e gli 007, per riscontrare le migliaia di rivelazioni di Massimo Ciancimino, per decifrare le ultime manovre di alcune fazioni dei servizi segreti, per individuare gli autori di alcune minacce arrivate ai magistrati. Sembra uno scherzo ma è così: un poliziotto per tutto, un poliziotto solo per riscrivere un pezzo di storia (e non solo giudiziaria) italiana. Dietro di lui una procura sguarnita: quasi un terzo di organico scoperto – 11 sostituti su 16 – la frontiera della criminalità di Gela che assorbe almeno metà delle indagini, magistrati dirottati nel distretto – ai Tribunali di Nicosia e di Enna – e il resto delle forze – il procuratore capo Sergio Lari e i suoi aggiunti Nicolò Marino, Domenico Gozzo, Amedeo Bertone – a fare ogni mattina udienze e il pomeriggio indagini su Capaci. Il part time giudiziario sulle stragi di mafia.