Democratici, l’Europa è casa vostra

Il Partito democratico ha tutte le ragioni per rifiutare di affidarsi all’attuale governo per uscire dall’emergenza. Ogni confronto con altre situazioni è vanificato dalla incorreggibile propensione dei ministri di Berlusconi alla provocazione e alla divisione del campo degli interlocutori.

Laddove Obama chiama a raccolta una commissione bipartisan del Congresso (anche per rimediare all’orribile performance dei due schieramenti di fronte al rischio del default), qui si fa l’opposto. Non c’è chi non veda calcolo di convenienza politica reciproca, nel dialogo virtuale fra centrodestra e Terzo polo. Ed è micidiale la recidiva del ministro Sacconi, che anche in questi momenti non contiene l’ansia di far fuori la Cgil dai tavoli di confronto e di dividere le opposizioni. Sacconi: uno che a differenza di tanti suoi colleghi il debito pubblico non se l’è trovato in eredità ma ha dato una bella mano a gonfiarlo, quando gestiva nei parlamenti della Prima repubblica le finanziarie del pentapartito.

Non vorremmo però che da qualche parte nel Pd, dietro la giusta richiesta di svolta politica e dietro le sacrosante istanze di equità, si insinuasse un virus pericoloso, una tentazione regressiva e distante dalla tradizione e dalla prassi europeista del migliore centrosinistra. Che cosa significa dire che nei rapporti con l’Europa «non possiamo rinunciare alle politiche di bilancio, dopo aver già rinunciato alla politica monetaria », come fa Stefano Fassina sul manifesto? Oppure (lo stesso responsabile economico del Pd, sul Corriere) rigettare le raccomandazioni di Trichet e Draghi perché verrebbero da un’Europa dominata da governi di destra? Non vantavamo, fra i non moltissimi meriti dell’Ulivo, proprio la conquista dell’euro? E non abbiamo storicamente lamentato come buco nero dell’Unione esattamente l’assenza di politiche economiche, fiscali e di bilancio condivise? E quanto alle “cessioni di sovranità”, a prescindere dal colore dei governi del momento, non erano la bandiera della sfortunata stagione della Costituente europea, quando amavamo dire che l’Unione era la nostra patria?

Certo, sono ricordi sbiaditi. Una scommessa largamente perduta. Alla drammatica e colpevole assenza di un governo politico dell’Unione non si pone però rimedio sognando l’autocrazia laburista dell’Italia. Che tra l’altro per fortuna è molto improbabile, altrimenti ciò che in queste ore è in bilico finirebbe per sprofondare. Tutta l’Europa infatti guarda con ansia alla capacità di leadership di Angela Merkel nei confronti di un paese come il suo, che già non ha voluto condividere il debito pubblico col resto del continente e adesso è fortemente tentato dal mollare al proprio destino partner inaffidabili come Grecia e anche Italia.

In generale, rivendicare all’Italia potere di decisione e di contrattazione può essere giusto. Invece non sembra proprio questo il momento migliore per ribellarsi – appunto, “alla greca” – alle condizioni di chi può permettersi di chiederci rigore in cambio di aiuto. Serve poco nascondersi dietro alle plateali responsabilità di Berlusconi. Le stesse misure che l’Europa chiede a lui (screditato a rilanciarle in Italia), le chiederebbe a chiunque altro. E allora il pensiero più coerente va alle scelte che in condizioni simili seppero fare Ciampi e Prodi. Speriamo che il revisionismo neo-laburista non colpisca anche questi padri della patria progressista, dopo aver gettato nella famosa pattumiera della storia la Terza via di Blair e Clinton.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.