Renzi ha vinto, Salvini ha vinto, il giornalismo ha perso


Anche se può essere ugualmente teso ed emozionante, un “duello” televisivo non è un vero duello; non è un match, non è una partita. La differenza sostanziale sta nel risultato: un duello è definito dal fatto che non possa che esserci un vincitore. Quando il vincitore non c’è, come in quel film di Ridley Scott, il duello non è davvero finito. Anche nello sport è quasi sempre così (il calcio è un’eccezione). I dibattiti televisivi non sono così, anche quando cercano di vendersi come “duelli”, come quello di ieri sera da Vespa. A proposito: secondo voi ha vinto Matteo Renzi o Matteo Salvini? È una domanda retorica, scusate, in realtà non m’importa così tanto del vostro parere. Suppongo che dipenda molto da quanto vi risulta simpatico uno dei due, o da quanto vi stiano antipatici entrambi. Ma il solo fatto che il giorno dopo se ne possa discutere (“chi ha vinto”?) dimostra che non stiamo parlando di un duello – che viceversa è la negazione di un dibattito. Fino a qualche decennio fa spesso serviva a terminarlo una volta per tutte: io dico che tu sei un farabutto, tu neghi l’affermazione, per decidere chi ha ragione ci si vede domattina dietro al convento dei carmelitani scalzi.

(Fermatevi per un attimo, gustatevi l’immagine dei due Mattei in manica di camicia, che si allontanano nella bruma con una pistola in mano, mentre su un lato Bruno Vespa conta i passi. Quello sarebbe stato un duello).

Invece in un dibattito televisivo possono vincere entrambi, anzi; il motivo per cui a volte due politici acconsentono a un “duello” è proprio che entrambi ritengono di poter ottenere qualcosa senza rimetterci molto (non sono mica politici per caso). È più o meno il caso del dibattito di ieri sera: entrambi avevano un’occasione per mettersi in mostra al loro pubblico di riferimento, ed entrambi hanno cercato di impiegarla al meglio. Entrambi ora possono pubblicare sui loro profili social qualche spezzone che dimostri in modo equivocabile ai loro fan che hanno ‘asfaltato’ l’avversario. Quanto a noi, possiamo anche assegnarci il ruolo di esperti di comunicazione (su internet è gratis), inforcare un monocolo immaginario e cercare di capire/spiegare chi dei due abbia fornito la prestazione migliore. Boh. Quasi quasi direi Renzi: ha rischiato di più, anche perché aveva meno da perdere. Ma a questo punto è chiaro che non stiamo più parlando di una competizione tra i due, quanto di una gara che ognuno stava ingaggiando con sé stesso, e con le aspettative che ormai il pubblico ha nei suoi confronti. Salvini da questo punto di vista ha giocato in difesa, recitando senza sbavature il ruolo di Matteo Salvini: ma non è quello che i suoi elettori pretendono da lui?

E quindi ci troveremmo di fronte a un esempio lampante di gioco win/win: entrambi vincono, entrambi ci guadagnano. E allora perché io spettatore mi sento defraudato? Mi aspettavo davvero che almeno uno stramazzasse al suolo? No, onestamente non ci speravo: queste cose non succedono, da Vespa poi. Però devo ammettere che per quanto basse fossero le mie aspettative, sono rimasto deluso, in alcuni momenti persino disgustato. Non tanto da Renzi e Salvini, che stavano facendo il loro mestiere. Forse nemmeno da Vespa, che si limitava a contare i minuti e a prevenire quei corpo-a-corpo che sul ring diventano anti-spettacolari. Quelli che mi hanno messo davvero in imbarazzo sono i “giornalisti”.

Lo scrivo tra virgolette perché la considero una citazione: a un certo punto Vespa ha annunciato che nella seconda parte del dibattito ci sarebbero stati i “giornalisti”. Voi li avete sentiti? Uno in effetti a un certo punto ha osato fare una domanda, ma è stata un’eccezione. Gli altri si sono fatti un’ora e mezza di diretta tv per niente e umanamente mi spiace per loro; immagino che sia faticoso rimanere per tanto tempo sotto i riflettori cercando di mantenere un’aria concentrata, contenere gli sbadigli eccetera. Poi spero che abbiano protestato, perché, insomma, che ci sono andati a fare? Già.

E allo stesso tempo, che ci aspettavamo da loro? Cosa avrebbero dovuto fare? Le domande. Quelle scomode, quelle che avrebbero dovuto mettere in difficoltà i due duellanti. Ma come Vespa ha prontamente capito, non ce n’è stato bisogno: i due le domande se le stavano già facendo tra loro e sembravano già abbastanza ‘scomode’. Un intervento terzo sarebbe stato ridondante. Renzi e Salvini non solo hanno vinto, ma hanno sconfitto i giornalisti, li hanno ammutoliti. Alla fine anche la loro tacita presenza ha avuto un senso: hanno rappresentato per un’ora e mezza la sconfitta del “giornalismo” da talk-show. Nessuno ha dato loro la parola perché nessuno ne sentiva il bisogno; i politici le domande se le sanno fare da soli.

Ora immagino un’obiezione: forse i giornalisti non dovrebbero semplicemente fare le domande, forse da loro ci aspettiamo qualcosa di più. Il fact-checking? Ho letto qualcuno proporre un fact-checking, magari approfittando dei break pubblicitari per appurare se quanto dicevano i due fosse vero o falso. Sono un po’ scettico. Il fact-checking è una cosa delicata: se lo fai in diretta rischi di commettere ulteriori errori davanti a due contendenti che non vedono l’ora di strumentalizzarli. Ma non credo nemmeno che avrebbero accettato un rischio del genere: un tizio super partes che a un certo punto del duello si mette tra i due e si mette a contare per filo e per segno tutte le affermazioni false? Non è così che funziona in tv, perlomeno da noi. Il fact checking si può fare sui giornali del giorno dopo: ecco una delle tante cose a cui i giornali possono ancora servire. Giusto.

E tuttavia.

E tuttavia, davvero possiamo permettere che i politici in televisione affermino tutto quello che vogliono senza che nessuno mai si alzi a chiedere, semplicemente: ma cosa sta dicendo costui? Anche questa è una domanda retorica: Porta a Porta funziona così, e funziona da così tanto tempo che ormai in Italia un’intera generazione, se cambiando canale inciampa in Via col vento, si domanda cosa sia questo film che ha rubato la sigla a Bruno Vespa. Ma in generale i talk italiani sono così. Se vuoi un politico, lo devi ascoltare e al massimo ogni tanto annuire. Se vuoi più azione puoi mandargli contro un altro politico, e a quel punto le domande se le faranno da soli, e anche al fact-checking dovranno pensarci loro. Non è un’iperbole, ieri a un certo punto Renzi ha deciso di interpretare il ruolo di fact-checker di Salvini, con risultati non sempre soddisfacenti: per più di una volta gli ha permesso di affermare serenamente che grazie a lui i morti annegati nel Mediterraneo sarebbero diminuiti. Ecco, quando parlavo di disgusto mi riferivo a cose del genere: possibile che nessuno in quel momento abbia osato chiedergli in che modo li stava contando, i morti annegati nel Mediterraneo? Ormai sappiamo che il famoso “pull factor” non esiste; sappiamo che non basta chiudere i porti (o dichiarare i porti “chiusi”) per evitare che la gente in Libia si imbarchi. Quindi Salvini è davvero convinto che basta mandare meno navi a contare meno morti annegati per risolvere il problema? Ovvio che no, ovvio che sta semplicemente prendendo in giro i suoi interlocutori. Davvero nessuno poteva farglielo presente, in quel momento, se Renzi in quel momento pensava ad altro o non voleva insistere? Davvero l’unico limite alle sparate di uno dei due contendenti dev’essere l’attenzione dell’altro? E se a entrambi conviene dichiarare il falso su un argomento?

La cosa più disgustosa è successa alla fine, e almeno su questo livello io posso dichiarare un vincitore: a disgustarmi di più è stato Matteo Salvini che ha chiuso il dibattito facendo con le mani il segno delle forbici, a indicare il trattamento che gli piacerebbe riservare nei confronti dei molestatori dei bambini. Dove il linguaggio verbale non poteva arrivare, il gesto è arrivato forte e chiaro e a quel punto non c’era comunque il tempo, né lo spazio, né l’opportunità di alzarsi e domandare: onorevole Salvini, ma a chi la vuole dare a bere? Lei non castra nessuno. Non ne ha il potere, non ne avrebbe la forza, le mancherebbe il coraggio. Tutto quello che ha osato fare è proporre in parlamento una cosa che dietro un nome minaccioso (“castrazione chimica”) nasconde una banale cura ormonale: una terapia che in teoria, solo in teoria, dovrebbe inibire gli atteggiamenti violenti dei maniaci sessuali. Niente forbici, onorevole Salvini, non siamo all’asilo e non ci vanno nemmeno i suoi elettori. Ecco, qualcuno avrebbe dovuto rispondergli così. Non poteva essere il suo avversario, che doveva coprirsi e non poteva rischiare di passare davanti ai telespettatori assonnati come un difensore dei maledetti pedofili. Non poteva essere l’arbitro-presentatore. Avrebbero potuto essere i giornalisti, ma a quel punto forse si erano addormentati anche loro: e li capisco.

Leonardo Tondelli

Da Modena. Nel 1984 entra alla scuola media, non ne è più uscito. Da 15 anni scrive su uno dei più verbosi blog italiani, leonardo.blogspot.com. Ha scritto sull'Unità e su altri siti. Sul Post scrive di Dylan e di altri santi del calendario.