• Italia
  • Martedì 23 dicembre 2025

La storia di Alaa Faraj, che è stato parzialmente graziato da Mattarella

Ha trent'anni ed è in carcere da dieci, quando arrivò in Italia via mare, per un reato che dice di non aver commesso

Un fermo immagine di Alaa Faraj durante la trasmissione Il cavallo e la torre su Rai 3
Un fermo immagine di Alaa Faraj durante la trasmissione Il cavallo e la torre su Rai 3

Dieci anni fa Alla F. Hamad Abdelkarim, conosciuto come Alaa Faraj, studiava ingegneria a Bengasi, nella Libia orientale, e sperava di diventare un calciatore professionista in Europa. In Libia era iniziata da quattro anni la guerra civile, scoppiata dopo la caduta del regime del dittatore Muammar Gheddafi. In quegli anni diversi ragazzi libici si imbarcarono in mare insieme a persone di moltissime altre nazionalità per cercare di raggiungere l’Italia.

Abdelkarim aveva 20 anni, quando riuscì a sbarcare a Catania. Oggi ne ha 30. Tutti questi anni li ha passati in un carcere a Palermo, con una condanna definitiva a trent’anni di reclusione per omicidio plurimo e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, in concorso con altri. La giustizia italiana lo ha ritenuto uno dei cosiddetti “scafisti” di un’imbarcazione che il 15 agosto del 2015 fu soccorsa al largo della Sicilia: sopra c’erano 362 persone migranti, 49 delle quali furono trovate morte nella stiva.

Lunedì Abdelkarim ha ricevuto la grazia dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella insieme ad altre quattro persone. Nel suo caso la grazia è soltanto parziale, perché estingue solo una parte della sua pena: gli rimangono da scontare ancora più di nove anni in carcere. Per un reato che lui sostiene di non avere commesso, e che secondo diversi esperti di migrazione non punisce davvero le persone che organizzano il traffico di esseri umani.

– Leggi anche: Chi sono i cosiddetti “scafisti”

Nell’agosto del 2015 Abdelkarim e due suoi amici, Tarek Laamami Jomaa e Arahman Abd Al Monssif, decisero di lasciare Bengasi per provare a raggiungere l’Europa. In Libia erano calciatori professionisti e avevano l’ambizione di poter fare lo stesso lavoro in Germania. Abdelkarim avrebbe anche voluto studiare ingegneria, in Svizzera. Come ha raccontato Claudia Gazzini, analista dell’organizzazione no profit International Crisis Group ed esperta della Libia che ha seguito il caso dall’inizio, all’epoca il campionato di calcio libico era fermo per via di pesanti scontri tra il generale Khalifa Haftar, che controllava l’est del paese, e varie milizie armate a ovest. I tre amici insomma volevano scappare dalla violenza e cercare nuove opportunità.

Andarono a Tripoli, nell’ovest del paese, per cercare di ottenere un visto. Scoprirono però di non avere alcuna possibilità di raggiungere legalmente l’Europa, come del resto la stragrande maggioranza dei migranti che cercano di arrivare in Italia via mare. Accettarono quindi di pagare dei trafficanti per partire dalle coste di Zuwara, una città portuale a ovest di Tripoli, su un barcone in legno insieme ad oltre trecento persone. La sera del 14 agosto Abdelkarim e i due amici furono fatti salire tra gli ultimi sulla barca, e si sistemarono nella stiva. Il viaggio cominciò intorno a mezzanotte. All’alba l’imbarcazione fu segnalata alle autorità italiane al largo della Sicilia e poche ore dopo venne raggiunta da una nave della Marina militare.

La Marina militare soccorre un gommone con a bordo persone migranti nel Canale di Sicilia nel Mediterraneo, 9 luglio 2016 (ANSA / U.S. MARINA MILITARE)

Le autorità italiane si accorsero che nella stiva c’erano decine di persone. In seguito gli esami sui corpi stabilirono che la causa della morte era stata l’asfissia provocata dall’inalazione dei fumi del motore all’interno di uno spazio angusto: una causa di morte piuttosto frequente per i migranti della rotta del Mediterraneo centrale. Sia i morti sia le 313 persone sopravvissute furono trasferite sulla nave Siem Pilot di Frontex, la criticata agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera, che era stata chiamata dalla Marina militare. La Siem Pilot sbarcò poi a Catania la mattina del 17 agosto.

– Leggi anche: Per anni Frontex ha condiviso informazioni con le polizie europee in modo illegale

Nelle ore successive, mentre la maggior parte delle persone soccorse venne portata nei centri di accoglienza, Abdelkarim e i suoi due amici vennero portati nel carcere Piazza Lanza di Catania per essere interrogati. Erano già sospettati di essere gli “scafisti” dell’imbarcazione – un termine generico e usato quasi solo in Italia, che identifica chi a vario titolo guida o governa un’imbarcazione di migranti – sulla base di informazioni raccolte fino a quel momento dalle forze dell’ordine, in modo piuttosto sommario.

Il giornalista Lorenzo D’Agostino ha ricostruito per un’inchiesta pubblicata da IrpiMedia che tra il 15 e il 17 agosto i militari italiani, l’equipaggio di Frontex e poi agenti di polizia e finanzieri avevano cercato di individuare in tre diversi momenti i trafficanti o i cosiddetti scafisti, chiedendo alle persone migranti di indicarglieli, senza successo. Secondo IrpiMedia le procedure adottate in quella fase erano state piuttosto inconcludenti, e partivano dalla convinzione che i «responsabili della strage fossero da trovare, a tutti i costi, tra gli stessi passeggeri dell’imbarcazione».

Tra le varie procedure IrpiMedia cita un metodo noto come il profiling, per cui i potenziali sospettati vengono individuati in base ad alcuni criteri fisici e comportamentali: in questo caso i sospettati furono considerati tali tra le altre cose perché un ispettore capo li vide riuniti tra loro, isolati dal resto delle persone, con «un atteggiamento di evidente timore e spiccata curiosità» nei confronti della polizia giudiziaria che stava effettuando le indagini.

Stando ai documenti resi noti da IrpiMedia, inoltre, diverse testimonianze raccolte dalle forze dell’ordine a Catania furono parecchio incongruenti e confuse, segno che le indagini non furono condotte in maniera adeguata.

Ci sono dichiarazioni di persone diverse sostanzialmente identiche tra loro, come se fossero state copiate quasi parola per parola tra un verbale e l’altro. Tra gli interrogati in quelle prime ore ci furono anche alcune donne originarie della Costa d’Avorio, che erano in stato di shock, alle quali venne chiesto di riconoscere i presunti membri dell’equipaggio su album fotografici, e un uomo pakistano che parlò prima di tre membri dell’equipaggio, poi di cinque e poi di quattro (elemento che doveva fare quantomeno dubitare della sua attendibilità). Due testimoni su nove dissero che Abdelkarim distribuiva l’acqua alle persone sul barcone e cercava di mantenere l’ordine.

Parlando con l’Espresso l’avvocata di Abdelkarim, Cinzia Pecoraro, ha ipotizzato ulteriori lacune nell’indagine: «Abbiamo scoperto che alcuni di quei testimoni sono stati sentiti con interpreti sbagliati, o non sono mai stati messi davvero nelle condizioni di riconoscere qualcuno. C’è chi ha detto di aver visto chiaramente i volti grazie alla luna piena, ma quella notte, il 15 agosto 2015, c’era luna nuova. Non si vedeva niente».

(AP Photo/Joan Mateu Parra)

Nonostante queste e altre mancanze, otto persone furono rinviate a giudizio per omicidio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Per tre di loro, che scelsero il rito abbreviato, la condanna a vent’anni di carcere è diventata definitiva nel 2019; Faraj e altri sono stati condannati a trent’anni di reclusione in primo grado nel 2017, poi in appello nel 2020 e infine in Cassazione, l’ultimo grado di giudizio, nel 2021.

Il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione, approvato nel 1998 e ancora in vigore, prevede pene fino a cinque anni per chiunque «promuove, dirige, organizza, finanzia» l’ingresso di migranti irregolari nel territorio italiano, ma anche per chi ne «effettua» il trasporto. È il cosiddetto reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Da anni diverse procure italiane interpretano questa norma in maniera molto ampia, processando centinaia di persone accusate di avere guidato, anche solo per un tratto o per un brevissimo periodo, una imbarcazione con a bordo migranti.

È una tendenza che permette alle procure e ai governi di potersi vantare di avere messo in carcere diversi “scafisti”: nella pratica, si tratta quasi sempre di persone estranee alle reti criminali che organizzano i viaggi, il cui arresto quindi non ha alcun impatto sulle traversate.

L’ultimo aggiornamento di un rapporto compilato da una serie di associazioni che si occupano di immigrazione, intitolato “Dal mare al carcere”, stima che nel 2024 in Italia siano stati arrestati 106 “scafisti”, un dato in calo rispetto agli anni precedenti. Sempre secondo il report, alla fine dell’anno scorso le persone detenute con l’accusa di aver favorito l’immigrazione clandestina erano 86.

Nei mesi scorsi Pecoraro ha chiesto la revisione del processo proponendo due nuove testimonianze da persone che si trovavano sulla barca il 15 agosto del 2015 e che avrebbero detto che non c’era alcun equipaggio di persone in combutta coi trafficanti. La revisione del processo è l’estrema e straordinaria possibilità prevista dal codice di procedura penale italiano di correggere un errore giudiziario che ha portato a una condanna definitiva e irrevocabile, a cui accede un numero molto limitato di casi. La richiesta di revisione del processo di Abdelkarim è stata respinta sia dalla Corte d’Appello di Messina che dalla Cassazione, lo scorso giugno.

Oggi Abdelkarim è detenuto nel carcere Ucciardone di Palermo. In questi dieci anni ha finito le scuole medie, si è diplomato alle superiori e si è iscritto all’università. Il 29 settembre ha ottenuto il primo permesso speciale per uscire dal carcere per presentare a Palermo il libro che ha scritto durante la detenzione sulla sua storia. Si intitola Perché ero un ragazzo ed è stato pubblicato da Sellerio questo settembre: nasce da uno scambio di lettere con la ricercatrice e attivista Alessandra Sciurba, conosciuta durante un laboratorio in carcere. Abdelkarim ha definito quell’occasione «un miracolo», dato che fino a quel momento dell’Italia aveva visto soltanto carceri e tribunali.

– Leggi anche: Il campionato di calcio libico si sta giocando a Milano, a porte chiuse