Cos’è la revisione del processo

È l'ultima possibilità per la giustizia italiana di rimediare a un errore giudiziario che può essere accertato solo dai giudici della Corte di Appello chiamati a esaminare nuove prove portate dalla difesa

Foto di Rosa Bazzi nel 2008 che testimonia durante un'udienza
Rosa Bazzi, condannata per la strage di Erba per cui è stato chiesto un processo di revisione (JENNIFER LORENZINI/ANSA)
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La revisione del processo è l’estrema e straordinaria possibilità prevista dal codice di procedura penale italiano di correggere un errore giudiziario che ha portato a una condanna definitiva e irrevocabile. A questa possibilità accede un numero molto limitato di casi: di fatto la revisione del processo è un nuovo processo, chiamato appunto “processo di revisione”, che viene istituito soltanto in presenza di argomenti e prove molto forti per sovvertire la decisione di colpevolezza. Questi argomenti devono essere valutati con criteri molto stringenti da una Corte d’Appello che ne deve decidere l’ammissibilità, prima di avviare l’eventuale nuovo processo che si può concludere comunque con una conferma della condanna.

In Italia la richiesta di revisione di un processo segue un percorso stabilito dall’articolo 630 del codice di procedura penale: secondo l’articolo 632 dello stesso codice può essere chiesta dalla persona condannata o da un suo parente («prossimo congiunto») attraverso la difesa, oppure dal procuratore generale presso la Corte d’Appello nel cui distretto, cioè l’area di competenza della Corte, fu espressa la sentenza di condanna.

La revisione del processo può essere chiesta «se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto». Oppure «se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato». Dal 2011 la Corte Costituzionale ha stabilito che il processo di revisione può essere concesso anche dopo una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Le prove che esistevano già prima della sentenza possono sostenere la richiesta di revisione, quando non acquisite nei primi processi per svariate ragioni tra cui la negligenza o per deliberata intenzione dell’accusa. Questi elementi rientrano comunque nell’ambito delle prove nuove insieme a quelle scoperte dopo la condanna. L’unica richiesta ammessa è il proscioglimento: non si possono chiedere diminuzioni di pena o sconti, perché l’obiettivo della revisione del processo è correggere decisioni palesemente errate.

Se il processo di revisione sovverte le sentenze dei tre gradi di giudizio e si conclude con un’assoluzione si può parlare di errore giudiziario, previsto dall’articolo 24 della Costituzione («La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari»): secondo le norme del ministero delle Finanze che provvede ai risarcimenti eventuali, «l’errore giudiziario si verifica quando un soggetto, dopo aver espiato una pena, o parte di essa, per effetto di una sentenza di condanna, venga successivamente riconosciuto innocente in seguito ad un nuovo processo di “revisione”, strumento di impugnazione straordinario».