I legami tra l’amministrazione Trump, la destra statunitense e i fratelli Tate
Li racconta un'inchiesta del New York Times su come i Tate, molto noti nella “manosfera”, hanno lasciato la Romania per tornare negli Stati Uniti

Il 27 febbraio del 2025 Andrew e Tristan Tate atterrarono in Florida a bordo di un aereo privato, dopo che un giudice in Romania aveva revocato le restrizioni di viaggio permettendo loro di rientrare negli Stati Uniti. Andrew Tate, il più noto dei due, è un imprenditore e influencer con posizioni misogine, violente e razziste, molto noto nel mondo della manosfera e dell’estrema destra. Insieme al fratello Tristan è accusato in Romania e nel Regno Unito di vari reati, tra cui violenza sessuale e traffico di esseri umani, per aver messo in piedi un giro di prostituzione basato sull’inganno e la coercizione di decine di donne. Sul loro conto è stata aperta anche una terza indagine in Florida.
Già allora diversi giornali, tra cui per primo il Financial Times, avevano scritto che i fratelli Tate erano riusciti a riottenere i passaporti dalle autorità giudiziarie rumene su pressione dell’amministrazione statunitense di Donald Trump. Ora un’inchiesta del New York Times ha ricostruito con maggiori dettagli i molti legami tra i Tate, l’amministrazione Trump e la famiglia del presidente.
Tra le novità principali ci sono due messaggi che Andrew Tate aveva inviato a persone a lui vicine nei giorni immediatamente precedenti al rientro negli Stati Uniti. I messaggi parlano in modo abbastanza inequivocabile di un intervento diretto dell’amministrazione Trump.
Il 14 gennaio Andrew Tate scriveva: «L’amministrazione Trump mi ha fatto sapere che se ne occuperanno loro. Mi hanno detto che sarò libero e che il presidente Trump ha bisogno di incontrarmi presto a Miami». Poco più di un mese dopo i due sono atterrati all’aeroporto di Fort Lauderdale, in Florida, il secondo più vicino a Mar-a-Lago, la residenza di Trump (a un centinaio di chilometri da Miami). Trump ha negato di avere avuto a che fare col loro rilascio.
In un altro messaggio, inviato il 26 febbraio, Andrew Tate scriveva: «Ho ricevuto istruzioni molto dettagliate dagli americani su come attraversare il confine, sui telefoni, i passaporti, ecc. Non posso dire altro». Il giorno dopo i fratelli Tate erano volati negli Stati Uniti, documentando il loro ritorno con un video pubblicato su Rumble (hanno doppia cittadinanza, britannica e statunitense).
Nel video Andrew Tate dice esplicitamente che era stato concesso loro di tornare «a patto che [il viaggio] avvenisse in segreto». Dice che l’aeroporto di Bucarest, in Romania, aveva riaperto appositamente per loro alle due del mattino, ma che erano stati bloccati per qualche ora dalla polizia rumena. Aggiunge di aver chiamato una persona rumena, di cui censura il nome, che sarebbe arrivata di lì a poco per risolvere la questione prima dell’alba: «Perché se il sole sorge, i media si accorgono e non siamo partiti, sarà un incubo».
Una volta partiti, i giornalisti chiesero a Joseph D. McBride, avvocato dei Tate che difese anche alcuni dei sostenitori di Trump che assaltarono il Congresso statunitense il 6 gennaio del 2021, se l’amministrazione avesse avuto un ruolo nel loro rientro. Lui rispose: «Fatevi due conti, i ragazzi sono sull’aereo».
Come riportato dal sito di inchieste statunitense ProPublica già mesi fa, al loro arrivo negli Stati Uniti gli agenti della polizia doganale avevano sequestrato i loro telefoni, non è chiaro su richiesta di quale autorità (come detto, i Tate erano coinvolti in indagini in più paesi). Con una procedura del tutto inusuale, era intervenuto un funzionario della Casa Bianca chiedendo per iscritto alle autorità di restituirli. Quel funzionario era Paul Ingrassia, prima avvocato degli stessi Tate e ora funzionario di collegamento tra il dipartimento di Sicurezza interna e la Casa Bianca.
Il New York Times ha anche trovato nuove conferme a un’informazione che era già emersa a febbraio sui giornali, e cioè che Richard Grenell, inviato speciale dell’amministrazione Trump e noto sostenitore dei Tate, avesse parlato esplicitamente del loro caso con funzionari rumeni di alto livello. Uno sarebbe Victor Ponta, consulente dell’allora primo ministro rumeno Marcel Ciolacu: inizialmente aveva lui stesso fatto intendere al New York Times di aver discusso dei Tate con Grenell, ma poi aveva ritrattato; l’altro sarebbe Emil Hurezeanu, allora ministro degli Esteri. Sia il governo rumeno sia Grenell hanno ridimensionato o negato di aver avuto un ruolo nella liberazione dei Tate.

Richard Grenell alle spalle di Donald Trump, 17 marzo 2025 (Pool via AP)
Infine il giornale ha messo insieme interviste, podcast e dichiarazioni dei diretti interessati, per ricostruire il legame tra i fratelli Tate, la famiglia Trump e vari esponenti importanti della destra statunitense.
Per esempio scrive che Andrew Tate aveva conosciuto personalmente Donald Trump Jr., uno dei figli di Donald, alla Trump Tower nel 2017, e nel 2018 aveva detto in un podcast che lo sentiva «ogni due giorni». O che un amico in comune aveva confermato che anche Barron Trump, il figlio più piccolo di Trump, ora diciannovenne, aveva una grande ammirazione per Andrew e che i due si erano sentiti almeno una volta su Zoom. In quell’occasione i due avevano parlato anche del fatto che l’inchiesta rumena fosse un modo per silenziare i fratelli Tate, sempre secondo la fonte del New York Times.
Tra le celebrità della destra con cui i Tate avevano buoni rapporti o da cui avevano ricevuto sostegno ci sono anche Tucker Carlson, il noto commentatore conservatore che aveva fatto un’intervista molto accondiscendente con Andrew Tate; Candace Owens, una podcaster molto conosciuta; e lo stesso Charlie Kirk, uno dei più noti attivisti della destra statunitense, ucciso a inizio settembre durante un evento pubblico.
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