Le regionali dicono che c’è partita
Nel senso che in vista delle politiche c'è molto equilibrio, anche perché Meloni appare meno imbattibile

Questo lungo autunno elettorale non ha smosso poi molto il quadro politico nazionale. In tutte e sei le regioni in cui si è votato, tra settembre e novembre, sono stati riconfermati i presidenti o le coalizioni che governavano: 3 regioni (Toscana, Campania e Puglia) sono rimaste al centrosinistra, e 3 (Marche, Calabria e Veneto) al centrodestra. Tutto bene o male nel rispetto dei pronostici.
– Leggi anche: La destra ha vinto in Veneto, il centrosinistra in Campania e in Puglia
Tuttavia questa situazione di sostanziale equilibrio non è un dato scontato come sembra: nel senso che il voto nelle varie regioni, che ha coinvolto circa 19 milioni di elettori potenziali, ha dimostrato che in prospettiva di una sfida politica nazionale c’è partita. Se fino a qualche mese fa la supremazia del centrodestra era tutto sommato un dato accettato, adesso il confronto tra le due coalizioni è più bilanciato, e l’esito delle prossime elezioni politiche appare dunque incerto.
Le ragioni sono due, al di là della dettagliata analisi dei dati. Giorgia Meloni esce un poco ridimensionata nei rapporti di forza interni alla coalizione di destra, e forse per la prima volta da quando è presidente del Consiglio, cioè dall’ottobre del 2022, deve accettare un risultato elettorale, quello in Veneto, molto al di sotto delle sue aspettative. La sua leadership non è in discussione, e il gradimento che la destra continua a ottenere dopo oltre 3 anni di governo è un fatto notevole; tuttavia, il risultato della Lega in Veneto e quello di Forza Italia al Sud lasciano presupporre che per Meloni non sarà facile imporre la propria linea, nei prossimi mesi.
Dall’altro lato, invece, Elly Schlein trova conforto in questi risultati, che le consentono di respingere le critiche crescenti che in questi mesi ha ricevuto soprattutto da esponenti della sua area politica. La segretaria del Partito Democratico può rivendicare di aver consolidato una coalizione, quella del cosiddetto “campo largo”, che fino a un anno fa era piuttosto frammentata. La linea «testardamente unitaria», come viene spesso definita, rende effettivamente competitivo il fronte progressista, senza generare grossi contraccolpi sul PD stesso.
Questo per quanto riguarda le analisi politiche. Passando ai dati nudi e crudi, quello più significativo riguarda il Veneto. La vittoria di Alberto Stefani, giovane promettente della Lega, è stata larghissima come previsto. Ma la cosa che bisognava tenere d’occhio era la competizione interna alla coalizione. I dirigenti di FdI hanno a lungo sperato di affermarsi come primo partito, e hanno fatto una campagna elettorale tutta finalizzata a questo obiettivo, puntando peraltro sul precedente positivo delle europee del 2024, quando il partito di Meloni aveva ottenuto il 37,6 per cento, quasi triplicando il consenso della Lega (13,1).
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Ma anche grazie alla candidatura come capolista dell’ex presidente Luca Zaia, che è ancora molto apprezzato tra i veneti, la Lega ha ribaltato i rapporti di forza: prende più del 36 per cento, doppiando FdI (intorno al 19). E un distacco così netto rafforza molto quegli esponenti “nordisti” della Lega che si oppongono in ogni modo alla cessione delle regioni settentrionali a FdI: un discorso che varrà soprattutto per la Lombardia, nei prossimi mesi. Meloni puntava a ottenere prima il Veneto con un suo candidato per poi rivendicare anche la Lombardia: dopo aver dovuto cedere la candidatura al leghista Stefani, e dopo questo brutto risultato della sua lista, anche le ambizioni per la Lombardia vengono ridimensionate.
Contestualmente Fratelli d’Italia accusa un indebolimento anche al Sud, sia pur di dimensioni più contenute. In Campania il candidato della coalizione era il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, cioè un pezzo grosso di FdI, e ministri, dirigenti nazionali e perfino (irritualmente) il presidente del Senato Ignazio La Russa si erano spesi molto nelle ultime settimane di campagna elettorale.
Eppure Fratelli d’Italia ha superato di un solo punto percentuale Forza Italia. È vero che al 12 per cento circa di FdI andrebbe sommata buona parte del 6 per cento ottenuta dalla lista di Cirielli, tuttavia il risultato è ugualmente al di sotto delle aspettative di Meloni. Anche in Calabria a inizio ottobre Forza Italia aveva ottenuto risultati molto positivi (il 18 per cento, più il 12,4 della lista del presidente), e in quella occasione pure molto superiori a quelli di FdI (che si era fermata all’11,6).
Non è un caso che vari dirigenti di Fratelli d’Italia, tra cui Giovanni Donzelli, sono già tornati a invocare una riforma della legge elettorale. Con quella attuale, se si votasse oggi, ci sarebbe un sostanziale pareggio tra destra e centrosinistra, e la coalizione di Meloni rischierebbe, secondo proiezioni ancora provvisorie ma attendibili, di eleggere appena una manciata di senatori dal Lazio in giù. Ma il fatto che ora per Meloni il cambio delle regole elettorali sia più urgente indebolisce un po’ la sua posizione: sapendo che per lei la questione è prioritaria, Lega e Forza Italia avranno più margine per trattare. Soprattutto su una questione su cui si oppongono da tempo: l’ipotesi di inserire una norma per indicare nella scheda elettorale il candidato premier della coalizione (che sarebbe quello di Meloni, evidentemente). Sarà questa la trattativa politica più delicata dei prossimi mesi, e Meloni non ci arriva nel migliore dei modi.
Quanto a Schlein, per lei era importante andare bene soprattutto in Campania. In Veneto la sconfitta era scontata, così come il largo successo in Puglia con Antonio Decaro (e in entrambi i casi, per quel che vale, il partito ottiene comunque buoni risultati nel voto di lista). In Campania invece Schlein si giocava molto. Aveva dovuto fare una mediazione complicata per far accettare la candidatura unitaria di Roberto Fico, esponente del M5S particolarmente inviso al presidente uscente Vincenzo De Luca, che peraltro è uno degli esponenti del PD più critici verso di lei. Con la vittoria di Fico, invece, Schlein ottiene tre risultati positivi.
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Innanzitutto consolida l’alleanza con Giuseppe Conte, consapevole che solo mantenendo il M5S nel campo progressista ha speranza di eleggere suoi presidenti di regione. In secondo luogo, ribadisce che comunque nel centrosinistra, anche al Sud, e anche nelle regioni dove in passato il M5S era stato più forte del PD, è proprio il PD a riguadagnare l’egemonia del centrosinistra: la sola lista del PD prende circa il 18 per cento, più della somma della lista del M5S (poco più del 9 per cento) e di quella di Fico (circa il 5,5). Infine, Schlein ridimensiona la forza elettorale che De Luca vantava di avere, e in virtù della quale minacciava di condizionare Fico e il PD: la lista del presidente uscente, “A Testa Alta”, ha ottenuto solo l’8 per cento.
La Campania è un buon esempio di come Schlein sia riuscita a costruire una coalizione molto ampia – da Alleanza Verdi e Sinistra ai moderati che fanno riferimento a Matteo Renzi: una cosa difficilmente immaginabile, un anno fa – dove il PD è il primo partito e dove un po’ tutti hanno motivo di essere mediamente soddisfatti.
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Nel complesso, considerando le 6 regioni in cui si è votato con la legge elettorale maggioritaria (dunque con l’esclusione della Valle d’Aosta, che ha regole e logiche politiche tutte sue), il PD è il primo partito con poco meno di 1,8 milioni di voti, a fronte dei quasi 1,5 milioni ottenuti da FdI; e il centrosinistra ha ottenuto 4 milioni di voti, contro i 3,8 milioni del centrodestra (è un calcolo fatto sulla base di dati ancora non definitivi in Puglia, Campania e Veneto, dunque da prendere con un minimo di cautela).
Il risultato va considerato come un’indicazione di massima, perché alle regionali si vota spesso sulla base di logiche diverse da quelle che muovono i flussi elettorali alle elezioni nazionali, con un peso maggiore dei candidati presidenti e dei candidati consiglieri e con una minore incidenza del voto d’opinione: e dunque sarebbe sbagliato proiettare in modo preciso questi numeri su scala nazionale. Però sono comunque numeri che indicano un equilibrio tra centrosinistra e destra maggiore rispetto a qualche mese fa.



