Il successo della pallavolo italiana arriva da lontano
Dalle scuole, dove la giocano in tanti, e dalle vittorie della prima Nazionale di Julio Velasco

In questi giorni si è parlato tanto del dominio della pallavolo italiana. Calcio e tennis sono più praticati e seguiti, è vero, ma nulla in questo momento è paragonabile al successo delle nazionali di pallavolo, vincitrici dei Mondiali femminile e maschile a tre settimane di distanza, e a tutto quello che c’è dietro.
Le nazionali giovanili sono tra le migliori al mondo dall’Under 16 (campione europea nel maschile) all’Under 21 (campione del mondo nel femminile, vicecampione nel maschile). Lo stesso vale per le squadre di club: quest’anno Conegliano e Perugia hanno vinto rispettivamente la Champions League (la più importante competizione europea per club) femminile e quella maschile. Addirittura, a conferma di quanto sia alto il livello in Italia, Roma ha vinto la Challenge Cup femminile, terzo torneo europeo per importanza, nella stagione della sua retrocessione in A2 (la seconda categoria del campionato italiano).
Nel frattempo pubblico e praticanti sono in crescita: secondo gli ultimi dati, che andranno aggiornati e saranno in aumento, la Federazione italiana pallavolo (FIPAV) ha 363.639 atleti tesserati, oltre 7mila in più del 2024 e oltre 41mila in più rispetto al periodo pre-pandemia. Tre su quattro circa sono donne. Sono aumentati molto anche gli spettatori delle partite di campionato, sia nei palazzetti sia in televisione, e di quelle dell’Italia. La finale femminile dei Mondiali tra Italia e Turchia è stata vista da 4,3 milioni di persone con il 33,5 per cento di share, quella maschile tra Italia e Bulgaria da 3,3 milioni di persone con il 25,8 per cento di share.
Dopo quest’ultima partita, l’ex allenatore della Nazionale maschile di pallavolo Mauro Berruto ha scritto che «l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e sulla pallavolo».

L’esultanza delle giocatrici della Nazionale dopo la vittoria ai Mondiali (AP Photo/Sakchai Lalit)
La pallavolo in Italia è prima di tutto lo sport che per tradizione si fa a scuola durante le ore di educazione fisica. Molti insegnanti lo prediligono perché è forse lo sport più di squadra di tutti (non si può fare un’azione da soli, come nel calcio o nel basket) e perché, non essendo di contatto, agevola la possibilità di far giocare assieme ragazzi e ragazze (o bambini e bambine) senza che la differenza fisica sia preponderante. Lo ha spiegato di recente Andrea Zorzi, ex pallavolista italiano, in un intervento su Radio Popolare. Si gioca inoltre su un campo più piccolo rispetto a quelli da calcio, da basket o da pallamano, e non è raro che le palestre delle scuole non siano molto grandi, e adatte quindi a ospitare solo un campo da pallavolo.
Su questa base la FIPAV è stata lungimirante a creare negli anni vari programmi nelle scuole, promuovendo corsi e lezioni proprio durante le ore di educazione fisica, così da invogliare i ragazzini e le ragazzine a iniziare a praticare la pallavolo in una delle tante società sportive (già due anni fa erano più di 4mila: solo il calcio ne ha di più). «Il successo della pallavolo made in Italy arriva da lì: dalla ricerca del talento nelle scuole, dagli investimenti alti ma oculati, dall’entusiasmo», ha scritto di recente il quotidiano Domani. È uno sport che piace anche perché è molto corretto: quasi tutti i giocatori e le giocatrici migliori sono percepiti come “bravi ragazzi”; e a livello giovanile l’ambiente è in genere percepito e raccontato come positivo e coinvolgente.
Il movimento è diventato così radicato e partecipato in parte grazie ai successi della cosiddetta “generazione di fenomeni”, la Nazionale maschile, allenata dall’argentino Julio Velasco, che negli anni Novanta vinse tre Mondiali consecutivi, contribuendo alla diffusione della pallavolo in Italia e anche alla crescita della pallavolo femminile (la Nazionale femminile vinse i Mondiali del 2002). Non è inconsueto che i successi di una grande squadra o di un grande campione generino maggiore interesse verso uno sport, e desiderio di emulazione: lo si vede oggi con il tennis grazie a Jannik Sinner.
Sta succedendo di nuovo pure con la pallavolo. Soprattutto grazie a un’altra Nazionale allenata da Velasco: quella femminile, diventata imbattibile negli ultimi due anni, con diverse giocatrici ormai molto conosciute e apprezzate. Si è creato un circolo virtuoso: i successi della Nazionale hanno allargato e consolidato il successo della pallavolo (anzitutto in termini di praticanti) e da lì si sono creati i presupposti per una nuova generazione di fenomene (e di fenomeni, perché anche l’Italia maschile ha pochi eguali al mondo).
– Leggi anche: Com’è che l’Italia femminile è diventata imbattibile, nella pallavolo

Julio Velasco esulta dopo la vittoria dell’Italia contro il Brasile nella semifinale dei Mondiali (Volleyball World)
Nella pallavolo c’è da tempo un’ottima collaborazione tra Nazionali e squadre di club, tra Federazione e campionati: «A differenza del calcio, i diversi attori in campo hanno cercato di far coincidere interessi confliggenti in nome di un unico obiettivo: allevare il talento e costruire un movimento forte», si leggeva già tre anni fa sulla Gazzetta dello Sport.
Con qualche eccezione, come Milano negli ultimi anni, la maggior parte delle squadre migliori viene da città medio-piccole: Conegliano, Trento, Modena, Civitanova, Busto Arsizio, Treviso (una volta). Spesso sono finanziate da gruppi di imprenditori e aziende del luogo, che hanno creato progetti duraturi sul territorio, investendo anche nelle giovanili, nelle strutture. La storia di Conegliano, da anni la miglior squadra di pallavolo al mondo, è forse l’esempio più virtuoso di un club locale che, con progettualità e organizzazione, riesce ad avere un successo internazionale.
Oggi il campionato maschile, la Superlega, e quello femminile, la Serie A1, sono tra i più ambiti e competitivi al mondo. L’obbligo di avere sempre in campo almeno tre giocatori o giocatrici italiane ha consentito da un lato di far giocare e migliorare tanti giovani pallavolisti e pallavoliste italiane, e dall’altro di concentrarsi sull’acquisto degli stranieri più forti. Quasi tutti i migliori giocatori e giocatrici al mondo sono passati dall’Italia, negli ultimi anni, e questo ha alzato il livello di gioco, nell’ennesimo circolo virtuoso creato dalla pallavolo.
Gli accordi televisivi con le principali emittenti, a cominciare dalla Rai (che ancora oggi trasmette le migliori partite dei campionati maschile e femminile su Rai Sport), hanno contribuito a dare visibilità alla pallavolo in Italia.

Le giocatrici di Conegliano durante l’ultima finale di Champions League (CEV)
Un sistema così competitivo ha posto inoltre le basi per la formazione della miglior scuola di allenatori al mondo (per il momento con pochissime allenatrici ad alti livelli, e questa sarà forse la prossima cosa su cui lavorare). Nelle due recenti finali dei Mondiali le avversarie dell’Italia avevano allenatori italiani: Daniele Santarelli per la Turchia femminile e Gianlorenzo Blengini per la Bulgaria maschile. In generale ai Mondiali femminili c’erano 6 allenatori su 32 italiani, a quelli maschili addirittura 10.
Le tante esperienze fatte all’estero dagli allenatori italiani e la consuetudine di avere il doppio incarico (allenando cioè nello stesso momento sia nazionali che squadre di club) hanno arricchito le loro conoscenze e quindi quelle della pallavolo italiana in generale.
Anche la creazione del Club Italia, promossa nel 1998 proprio da Julio Velasco, ha consentito a tante giovani pallavoliste di crescere e diventare professioniste nel contesto ideale. È una sorta di squadra-nazionale che gioca in Serie A2 impiegando solo giovani pallavoliste italiane, che rimangono affiliate ai loro club di appartenenza (che le “prestano” per far fare loro un campionato di categoria). Giocatrici come Paola Egonu, Alessia Orro e Anna Danesi, campionesse olimpiche e mondiali con la Nazionale, hanno un passato nel Club Italia.
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