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  • Domenica 6 luglio 2025

Una vita da Dalai Lama, quasi tutta in esilio

La massima autorità spirituale del buddismo tibetano compie 90 anni, 88 dei quali passati a fare lo stesso lavoro

L'inizio delle celebrazioni dei 90 anni del Dalai Lama (AP Photo/Ashwini Bhatia)
L'inizio delle celebrazioni dei 90 anni del Dalai Lama (AP Photo/Ashwini Bhatia)
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Tenzin Gyatso, il quattordicesimo Dalai Lama, sostiene di aver appreso dai suoi sogni che vivrà «almeno fino a 110 anni, ma forse oltre». Oggi, 6 luglio, ne ha compiuti 90: inevitabilmente si parla della sua morte e della sua successione da un po’. Il Dalai Lama è la massima autorità spirituale del buddismo tibetano, nonché la guida riconosciuta del popolo tibetano, nonostante abbia abbandonato il potere politico nel 2011: ipotizzare chi gli succederà non è solo una questione religiosa, ma anche politica.

Al momento però il Dalai Lama sembra in discreta salute, per un novantenne: gli ultimi giorni sono stati di grandi impegni e grandi celebrazioni, ma anche in settimane normali le sue attività sono costanti.

Tenzin Gyatso ha passato 88 dei suoi 90 anni di vita da Dalai Lama, e 66 in esilio in India, dopo una fuga dal Tibet per scappare dall’esercito cinese. Da allora vive a Dharamsala, nello stato settentrionale dell’Himachal Pradesh, dove si sono trasferiti anche i leader del buddismo tibetano e il governo in esilio. A Dharamsala c’è il parlamento tibetano e l’amministrazione gestisce scuole, ospedali, monasteri e cooperative agricole: dei 140mila tibetani in esilio, la metà sono in India.

Le celebrazioni per il nuovo anno tibetano nel 2016 a Dharamsala, India (AP Photo/Ashwini Bhatia)

I tredici Dalai Lama prima di Tenzin Gyatso sono vissuti tutti in Tibet, a parte brevi fughe. Nel 1913, dopo la nascita della Repubblica Cinese, il suo predecessore Thubten Gyatso dichiarò l’indipendenza del Tibet dalla Cina, che però non fu mai riconosciuta dai governi cinesi. Gyatso morì nel 1933, a 57 anni, e come prevede la religione buddista tibetana a quel punto partì la rituale ricerca della sua “reincarnazione” fra i bambini nati in quel periodo.

La ricerca, effettuata da un consiglio di importanti monaci buddisti, durò due anni e portò alla famiglia di agricoltori di Tenzin Gyatso. La madre raccontò che i monaci arrivarono durante l’inverno tibetano, in una giornata con una grande nevicata. Il Dalai Lama – un’espressione che unisce un termine mongolo e uno tibetano e che si può tradurre come “maestro supremo” – fu riconosciuto e si trasferì a Lhasa (Tibet) per ricevere l’educazione religiosa.

Avrebbe dovuto assumere direttamente il potere politico a vent’anni – così era stato stabilito – ma la rivoluzione di Mao Zedong cambiò le cose.

Nel 1950 l’esercito cinese invase il Tibet centrale, occupandolo. Tenzin Gyatso assunse quindi l’incarico prima del tempo, nel 1951, quando aveva ancora 15 anni, per affrontare la crisi. Il nuovo Dalai Lama iniziò a trattare con Mao, con cui firmò poi un accordo in 17 punti che riconosceva la sovranità della Repubblica Popolare sul Tibet in cambio di una limitata autonomia della regione: nello specifico l’intesa prevedeva che la Cina mantenesse l’esercito nel territorio tibetano e il controllo della politica estera, ma si impegnasse a non interferire negli affari interni del Tibet.

Il Dalai Lama nel 2015, a 80 anni (AP Photo/Ashwini Bhatia)

Negli anni successivi però gli spazi di autonomia del Tibet si ridussero progressivamente. Nel 1959 la Cina represse con la violenza una ribellione contro il regime cinese a cui parteciparono anche i monaci buddisti: soldati cinesi arrivarono a Lhasa, e il Dalai Lama con una piccola comitiva iniziò una lunga fuga a piedi che lo portò dopo 14 giorni in India.

Da allora non è mai più tornato in Tibet. Ha detto recentemente: «Speravo di poterlo fare prima di morire, ma diventa sempre più improbabile».

– Leggi anche: Quando il Dalai Lama fuggì dal Tibet, attraverso l’Himalaya

Nei decenni di esilio il Dalai Lama è diventato un simbolo globale di lotta non violenta, di tolleranza religiosa e di resistenza all’oppressione. Ha girato per il mondo e raccolto fondi e sostegno per la causa tibetana.

Nel 1989 vinse il premio Nobel per la Pace, dal 2001 iniziò a delegare molte delle sue funzioni di governo, nel 2011 si dimise da capo dell’esecutivo in esilio, abbandonando il potere politico e mantenendo solo quello spirituale. Poco dopo si svolsero le elezioni del governo tibetano in esilio (non riconosciuto dalla Cina né da nessun altro paese) che furono vinte da Lobsang Sangay, il primo laico a diventare Kalon Tripa, primo ministro, a cui nel 2021 è succeduto Penpa Tsering.

Per la Cina il Dalai Lama rimane ancora oggi un leader separatista, a cui sono state offerte opzioni di riavvicinamento in cambio di un riconoscimento della sovranità cinese sul territorio tibetano. La Cina minaccia ripercussioni anche ai leader dei paesi stranieri che lo incontrino ufficialmente: l’ultimo è stato nel 2016 l’allora presidente statunitense Barack Obama.

Il Dalai Lama ha scritto decine di libri, fra cui due autobiografie, molti trattati sulla filosofia e sulla pratica buddista, saggi sul miglioramento personale e sulla coesistenza fra religione e scienza. Voice for the Voiceless (“Una voce per coloro che non hanno voce”) del 2025 è quello più politico, sui rapporti con la Cina e sulle lotte del popolo tibetano.

Negli anni il Dalai Lama ha avuto una lunga e costante attività di conferenze e lezioni pubbliche in giro per il mondo: dal 2024, dopo un’operazione al ginocchio a cui si sottopose negli Stati Uniti, questo genere di attività è stata molto ridotta. A Dharamsala però cinque volte alla settimana, per un’ora al giorno, incontra e benedice i fedeli. La sua mobilità è limitata: arriva su una macchinetta di quelle usate nei campi da golf e viene aiutato da due-tre monaci per compiere brevi spostamenti a piedi.

Durante una visita a Parigi nel 1986 (AP Photo/Adeline Bommart)

Due anni fa era molto circolato un video problematico in cui baciava sulla bocca un bambino che gli si era avvicinato per salutarlo. Nello stesso video in un secondo momento chiedeva al bambino: «Succhiami la lingua», tirandola fuori.

Nonostante il successivo messaggio di scuse e il tentativo poco convincente di spiegazioni, il comportamento del Dalai Lama era stato definito scioccante e incomprensibile. In precedenza per due volte, a distanza di anni (2015 e 2019), aveva scherzato sulla possibilità che il prossimo Dalai Lama potesse essere una donna, dicendosi d’accordo, ma a patto che «fosse molto carina». Queste dichiarazioni avevano causato molte critiche e in entrambi i casi si era dovuto scusare, parlando di problemi di traduzione e di contesto in una battuta che voleva essere divertente.

Nonostante questi casi, tutti avvenuti nell’ultimo decennio e superati gli 80 anni di età, il Dalai Lama resta una figura rispettata come leader spirituale, anche fra i non fedeli e nei paesi occidentali. Per quasi tutti i contemporanei, Tenzin Gyatso è stato l’unico volto del buddismo tibetano, nonché l’espressione più riconoscibile dei movimenti di resistenza non violenta dopo Mohandas Gandhi, ucciso nel 1948.